LO SPETTACOLO DELLA MAFIA: COME NASCE IL MODO IN CUI LA PENSIAMO
In un libro di Marcello Ravveduto la letteratura, il cinema, la fiction, le canzoni che raccontano la mafia. E attraverso cui la mafia si racconta.
26 Agosto 2019
La fiction su Riina, Il Capo dei Capi, ha ispirato la nascita su Facebook di un gruppo (oggi non più visibile) dedicato a «Le più belle frasi di Totò Riina», con la locandina della fiction come foto del profilo e 3.200 iscritti. L’episodio è interessante perché ci ricorda come i processi comunicativi non sono mai controllabili fino in fondo: chi riceve il messaggio interpreta, manipola, usa, innesca percorsi imprevisti. Una fiction che avrebbe dovuto far conoscere il potere e la crudeltà della criminalità organizzata aveva fornito lo spunto per uno spazio di ammiratori della cultura mafiosa. E ci dice anche quanto è facile parlare di mafia, ovunque e comunque, nel bene e nel male.
L’episodio è raccontato nel libro di Marcello Ravveduto, Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione, edito di recente da Edizioni Gruppo Abele. Marcello Ravveduto, che è uno storico, cerca di rispondere alla domanda: a che cosa pensiamo, quando parliamo di mafie? E per farlo ricostruisce i modi in cui la criminalità organizzata è stata raccontata nei diversi ambiti della comunicazione, in che modo la mafia e i mafiosi si sono autorappresentati, e in che modo li hanno rappresentati gli altri.
LE PAROLE DEI MAFIOSI. Già, perché, come scrive nella prefazione Enzo Ciconte, non è vero «che i mafiosi non hanno mai parlato… In realtà chi non ha mai parlato è sempre stata la vittima, non il mafioso, che ha trovato il modo di farsi sentire sempre, anche quando non ha pronunciato nemmeno una parola». Il sasso nella bocca del cadavere della vittima, ad esempio, è un messaggio esplicito e immediatamente comprensibile. E il silenzio stesso è un linguaggio potente, che i mafiosi sanno usare sapientemente, senza per questo rinunciare ad usare i più diversi strumenti per rappresentare se stessi e la propria cultura, anche aggiornandosi e seguendo le innovazioni digitali e le mode.
Di messaggi filomafiosi sono piene, per esempio, le canzoni dei neomelodici, ma se ne trovano anche nella musica trap, con successi imprevedibili: il trapper napoletano Capo Plaza ha fatto quasi 62 milioni di visualizzazioni su YouTube con Giovane fuoriclasse, che racconta la storia di una gang di spacciatori la cui bravura è paragonata a quella dei campioni dello sport come Ronaldo.
E se al loro arrivo i social network sono stati usati in maniera un po’ goffa (alcuni latitanti sono stati arrestati grazie alla geolocalizzazione), oggi si parla di Google Generation Criminale per quei giovani nati tra la fine degli anni novanta e i primi del duemila, che usano i social per diffondere la cultura criminale, mostrando modi di vestire, frasi da dire, armi da usare, dialoghi da ricordare, perfino tatuaggi da imitare…
LA SAGGISTICA E LA LETTERATURA. Lo spettacolo della mafia propone un viaggio con molte tappe attraverso il racconto sulle mafie, iniziando con la saggistica e la letteratura: partendo dall’ottocento, quando la tendenza era di rappresentare la criminalità organizzata come espressione delle “classi pericolose”, per i cui i criminali erano in qualche modo “estranei” alla maggioranza della popolazione, un gruppo a parte (elemento, questo, a cui il racconto dominante sulle mafie rimane fedele per un paio di secoli); passando poi per quelle rappresentazioni che mettono in scena la mafia come «setta vendicatrice delle ingiustizie subite dal popolo», anche grazie alla diffusione di leggende come quella dei Beati Paoli.
E parliamo di mafia perché le altre organizzazioni criminali hanno avuto meno spazio, almeno fino al ’92, l’anno delle stragi. Il cambiamento nelle rappresentazioni, comunque, diventa visibile a partire dai primi anni ottanta, con l’uccisione di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Entrano allora nella letteratura nuovi aspetti tematici: la prospettiva politica e giudiziaria; il genere biografico dedicato alle vittime anti-mafia; il piano finanziario-industriale delle organizzazioni criminali.
I FILM E LA FICTION. Nella costruzione dello spettacolo della Mafia, ricchissima è stata la filmografia: Lo Spettacolo della Mafia tra il 1948 e il 2018 si articola grazie alla realizzazione, in Italia, di 337 film sulle criminalità organizzate. Significa che questo filone non solo ha influenzato l’immaginario collettivo, ma ha avuto un peso rilevante nell’economia dell’industria cinematografica. E poi sono arrivate le fiction (tra 1988 e 2018 Rai e Mediaset hanno prodotto oltre 100 fiction), così influenti, che perfino i boss stessi si sono specchiati nei protagonisti della tv, ispirandosi ad essi, prendendoli «come modelli di comportamento da imitare nello stile, negli atteggiamenti e perfino nell’abbigliamento e negli arredi delle abitazioni».
Spesso le fiction sono state accusate di offrire un’immagine negativa di interi territori (che sia la Sicilia o che sia un quartiere di Napoli non importa), a volte perfino di proporre alle nuove generazioni “eroi negativi” da imitare. Ma hanno il merito raccontare le mafie come realtà profondamente radicate nelle culture locali, ma nello stesso tempo globalizzate.
L’ANTIMAFIA E I SUOI MARTIRI. Naturalmente, anche l’antimafia ha le proprie narrazioni, soprattutto a partire dalla stagione delle grandi stragi: narrazioni che si rilanciano l’una con l’altra, creando un tessuto in cui le immagini dei funerali distato, la fiction e i documentari, e ancora una volta il cinema e la musica trasformano le persone in personaggi (basti pensare a Falcone e Borsellino), creando icone destinate a fissarsi nel tempo e nella memoria. E un ruolo in questo senso lo gioca anche YouTube, dove si possono trovare video e montaggi che hanno ottenuto numeri di visualizzazioni importanti: L’omicido di Giovanni Falcone in Tv, ad esempio, è un montaggio di scene prese da diversi film e fiction, che ha totalizzato quasi 900mila visualizzazioni. Quelli pubblicati su YouTube sono per lo più video prodotti da organi di informazione, ma anche da associazioni e singoli utenti che affermano così il proprio impegno per la legalità. In questo si esprimono e si accumulano le memorie di un’Italia divisa, che si unifica in quella che è stata definita la Repubblica del Dolore.
È l’impegno contro la mafia, per la legalità e la giustizia, del resto, che offre oggi un catalogo di “eroi” e di “martiri” – i viventi e le vittime -, punti di riferimento di una religione civile, che offre ai cittadini italiani una speranza di salvezza. I nomi dei martiri sono diventati – oltre che protagonisti di libri, film, fiction eccetera – nomi di strade e di piazze (nel 2011 erano 740 i Comuni che ne avevano intitolate una a Falcone o Borsellino o a tutti e due): non solo le immagini, la parole, la musica fanno memoria, ma anche i luoghi.
Tutto questo ha ovviamente influenzato l’immaginario collettivo: Marco Ravveduto dimostra che i modelli, i linguaggi, i miti della criminalità organizzata sono entrati in modo massivo nei nostri media – cinema, televisione, musica, social network, con esiti talvolta imprevisti – come nel caso del gruppo Facebook che abbiamo citato all’inizio – e talvolta visibili. Il risultato è che le mafie sono oggi percepite come «solide comunità», che «si spostano lungo la storia». Con una buona dose di stereotipi che rischiano di farci perdere di vista la loro capacità di penetrazione (ad esempio l’idea che se non c’è violenza non c’è criminalità).
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Marcello Ravveduto
Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione
Edizioni Gruppo Abele, 2019
pp. 208, € 15,00