MATRIMONIO PRECOCE: PER SCARDINARLO BISOGNA INVESTIRE SULLE DONNE
Il matrimonio precoce è il grande assente nelle Strategie di inclusione eppure per le donne Rom vuol dire povertà, niente scuola e lavoro. Prevenirlo significa prevenire i meccanismi che bloccano l'inclusione, partendo proprio dalle donne
24 Maggio 2017
Quello del matrimonio precoce tra i Rom e i Sinti è un tema molto complesso, fatto di tensioni contrastanti: tra la società maggioritaria e i Rom, tra la forza del richiamo alla tradizione e la spinta alla modernità, tra l’affermazione individuale e la coesione della comunità.
Un tema che deve la sua complessità al coesistere di motivazioni diverse. Da un lato la tendenza che nega che il matrimonio precoce sia una tradizione Rom e le Strategie europee e nazionali per l’integrazione che non lo riconoscono tra gli elementi di intervento necessari. Dall’altro i media e la retorica comune, che lo presentano, invece, come una delle regole imposte dalla stessa tradizione. Contribuendo, così, ad affermare generalizzazioni dannose, a fornire ulteriori giustificazioni ai sentimenti di ghettizzazione e razzismo, ad aumentare le distanze tra un “noi” in cui le donne hanno raggiunto una certa affermazione del sé e del proprio ruolo sociale e un “loro” fatto di tradizioni retrive e immutabili.
Il matrimonio precoce nella cultura Rom esiste. Tuttavia, così come non si può negarlo, non si può appiattire nella generalizzazione tutte le componenti sociali, culturali, di vita quotidiana che contribuiscono alla sua esistenza.
Le prime a pagarne le conseguenze, sono, naturalmente le donne. Per loro matrimonio precoce significa niente scuola, niente lavoro, rischi per la salute, povertà. Eppure può essere l’unico orizzonte che le aiuta ad immaginare un possibile futuro.
È da loro, dalle giovani vite coinvolte e dai loro diritti che riparte “Sposati quando sarai pronta”, il progetto co-finanziato dal Programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza dell’Unione europea e coordinato da Spes, Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio, che vede tra i partner reti, istituzioni europee ed associazioni di donne attiviste Rom di Italia, Romania, Bulgaria, Croazia e Austria, che hanno costruito una comune e innovativa proposta politica.
“Sposati quando sarai pronta” propone, quindi, linee di indirizzo pratico e politico per prevenire e contrastare il matrimonio precoce nelle comunità Rom attraverso una migliore strategia di integrazione, che investa sui percorsi individuali delle giovani donne Rom attraverso il lavoro di comunità. Un percorso durato 18 mesi, i cui risultati sono stati presentati ieri mattina a Roma, alla Camera dei Deputati, insieme alle proposte di intervento per il futuro.
«Prevenire il matrimonio precoce», ha ribadito durante la presentazione Saska Jovanovic Fetahi, presidente Romni Onlus, una delle organizzazioni che hanno dato vita al progetto, «significa prevenire quei meccanismi che bloccano i percorsi di emancipazione ed inclusione. Il matrimonio precoce è sempre stato il grande assente nel dialogo e nella pianificazione politica sul tema, il grande assente nella Strategia nazionale di inclusione di Rom, Sinti e Camminanti, che dovrebbe essere ormai in piena fase attuativa. Con questo progetto abbiamo lavorato sulla consapevolezza delle famiglie Rom, dei genitori di ragazzi e ragazze. Ogni genitore Rom che sceglie di rimandare il matrimonio, di rispettare le scelte di una figlia, di assicurarle una adeguata scolarizzazione è per noi una vittoria. Ogni persona che comprende che un’alternativa è possibile è per noi una vittoria».
Eppure, ha sottolineato Fetahi, in molti hanno paura. Perché il razzismo della società maggioritaria spegne le spinte di innovazione, spinge alla difesa identitaria, porta alla chiusura».
Matrimonio precoce: qualche numero
Alfredo Alietti, dell’Università di Ferrara ha presentato i dati di una ricerca azione condotta in Italia all’interno del progetto europeo che, attraverso 210 interviste a 64 uomini e 146 donne rom condotte a Roma, Torino, Pavia e Isernia, indicano le future prospettive di intervento che, per essere efficaci, dovranno puntare su inclusione ed emancipazione femminile.
La metà del campione femminile, evidenzia la ricerca, si sposa tra i 16 e i 20 anni, il 40% prima dei 15 anni e solo il 10% dopo i 20 anni, mantenendo una certa continuità con la generazione precedente. L’età media del matrimonio, 16 anni circa, quindi è più o meno la stessa delle madri. Il primo figlio arriva nella maggioranza dei casi entro i 18 anni.
In oltre l’84% dei casi il partner appartiene allo stesso gruppo etnico e nel 60% gli intervistati hanno dichiarato di conoscere bene il futuro marito o la futura moglie. Risultati che, secondo Alietti, evidenziano come le possibilità di scelta del proprio compagno di vita siano interne alla famiglia o al gruppo etnico. Una chiusura legata ad un «mix tra reali circostanze nelle quali si cresce e si socializza e la qualità dell’abitare, caratterizzato in certi casi dalla segregazione socio-spaziale».
Se la scelta del matrimonio è sempre più una scelta personale (nel 46% dei casi), resta, comunque, una percentuale rilevante (oltre il 28%) di situazioni in cui i futuri sposi scelgono di fuggire insieme.
Il 75% dell’intero campione – maschile e femminile – percepisce come negativa la scelta del matrimonio prima dei 18 anni e il 64% circa lo considera una vera e propria violenza prima dei 15 anni. Emerge, quindi, un movimento verso l’autonomia, se la quasi totalità del campione (l’86%) afferma che non debba essere la famiglia a scegliere il partner e a prendere decisioni sul matrimonio.
Dai dati e dalle motivazioni personali che portano alla scelta del matrimonio – nella grande maggioranza l’amore e la volontà propria degli sposi, ma anche il valore della verginità, l’onore ed il buon nome della famiglia – emerge l’esistenza di «un conflitto tra aspirazioni personali, condizioni di vita e modelli di socialità».
Quello che la ricerca azione mostra è, quindi, un quadro di opposizioni, di tradizione e cambiamento, di codici di comportamento dati e tensioni all’autonomia decisionale. Da un lato si mantiene una continuità tra generazioni, dall’altro, emerge dalla ricerca un’apertura a rimettere sul piatto della bilancia la scelta del matrimonio precoce a favore di aspirazioni e volontà personali.
«È interessante notare, ha proseguito Alietti, come, sia per il campione maschile che femminile degli intervistati, tra le ragioni a favore del rinvio del matrimonio ci siano borse di studio e lavoro a 18 anni. Serve il concorso delle istituzioni pubbliche e della società civile nell’offrire chance educative, lavorative e abitative. Serve puntare sulle giovani rom e sinte, offrendo loro opportunità formative e lavorative, consentendo loro di sviluppare il proprio potenziale individuale.
Le proposte
Il progetto si concluderà a Giugno. Ne emergono una serie di raccomandazioni rivolte alle istituzioni e alla politica focalizzate sulle ragazze, sui bambini, sui giovani e sulle giovani donne Rom. Ne emerge il bisogno di un approccio intersettoriale al problema, del coinvolgimento di scuola, istituzioni locali, società civile.
«Non può esserci nulla di buono», ha ribadito l’Onorevole Giovanna Martelli durante la presentazione, se non nasce nella comunità e nulla di buono può nascere senza il coinvolgimento delle donne. Nell’attuazione della Strategia di inclusione Rom, Sinti e Camminanti e nella scrittura delle progettualità future. Per molte ragazze Rom il matrimonio è l’unico immaginario di futuro. Un futuro legato alla sola funzione riproduttiva, elemento di ulteriore discriminazione. Tutta al femminile».
La Strategia di inclusione va rivista, ha affermato Vojislav Stojanovic, coordinatore di progetto per la città di Torino. «I quattro pilastri di inclusione non hanno fondamenta forti perché la questione Rom è sempre stata affrontata dall’alto». Manca nella nostra strategia, ha sottolineato Stojanovic, l’educazione alla cittadinanza ed alla legalità, mentre alla formazione sono dedicate due righe». Bisogna allora, ha ribadito, puntare sul lavoro di comunità, coinvolgere dal basso, pensare sul lungo periodo, creando vera inclusione, non assimilazione. Questa è la strategia operativa che questo progetto si è data: lavoro nelle comunità degli operatori sociali, dei mediatori e degli attivisti Rom, coinvolgimento diretto di tutte le generazioni, delle famiglie, degli stessi genitori, protagonismo delle donne Rom, vere e preziose agenti di cambiamento.
Si ringrazia per le immagini l’associazione Romni onlus