OPERATORI SOCIALI: GLI EQUILIBRISTI DEL BENE COMUNE
Il lavoro sociale è sottovalutato e misconosciuto. Un libro spiega perché c'è bisogno di una nuova narrazione, ma anche di innovazione
08 Settembre 2015
Stipendi da fame, orari disagevoli, precariato, scarso o nullo riconoscimento da parte dell’opinione pubblica… Il lavoro sociale oggi è spesso frustrante e schiacciato da mille contraddizioni, tanto da rischiare di perdere di vista il proprio senso: «da una parte messo in discussione e in molti casi umiliato, dai tagli, dalle disattenzioni, dal non vedersi riconosciuto. Dall’altra parte spinto ad assumere ruoli di contenimento delle situazioni di maggior marginalità», scrive Andrea Morniroli nel libro che ha curato e che le Edizioni Gruppo Abele hanno pubblicato con il titolo “Equilibristi. Lavorare nel sociale oggi“.
Un libro a più mani che analizza il lavoro sociale oggi, ma soprattutto ne scandaglia il senso, per il bene comune delle comunità e per lo sviluppo dei territori.
Sono tanti, quelli che lavorano nel sociale. Gli assistenti sociali sono 40mila, nell’area delle dipendenza ci sono 15mila operatori e altrettanti nella disabilità e nella psichiatria. In più i ci sono tutti quelli impegnati nei servizi per gli adulti in difficoltà, in quelli per i minori, per l’integrazione dei migranti, le badanti… Secondo l’Istat nel Terzo settore i lavoratori dipendenti sono più di 680mila. Secondo il Cnca la cura delle persone offre lavoro a un milione di persone. Comunque, circa il 4% dei lavoratori italiani sono operatori sociali.
Un problema di comunicazione
Sono tanti, dunque, ma poco conosciuti, e soprattutto poco riconosciuti, dall’opinione pubblica. Spesso impopolari, perché “troppo amici dei nemici”, cioè di quelle persone che troppi vorrebbero escludere invece che includere, o perché associati a vicende tipo mafiacapitale. Nel migliore dei casi associati all’immagine di “buoni samaritani” e niente di più.
Il lavoro sociale ha bisogno oggi di una rappresentazione diversa, di una narrazione che faccia capire che questi operatori non sono tanto tecnici della riabilitazione, quanto persone che individuano i bisogni, cercano risposte e dunque animano le comunità. E faccia capire come «lo sforzo per l’integrazione di singoli e specifici gruppi produca una maggiore coesione e protezione della società nel suo insieme» (Leopoldo Grosso). Insomma, il loro lavoro non fa bene solo a specifiche persone portatrici di specifici bisogni, ma a tutta la comunità.
Un problema di innovazione del Terzo settore
Accanto al problema della comunicazione c’è un problema sostanziale che riguarda il Terzo settore e le contraddizioni che si porta dentro, tra cui quella, strutturale, tra vocazione sociale e necessità di fare impresa.
Come scrive nel testo Giacomo Smarrazzo, per ridare senso al lavoro sociale occorre rivedere i modelli delle imprese cooperative, da una parte facendo i conti anche con la dimensione imprenditoriale, che non è più eludibile, e dall’altra puntando su «una rinnovata alleanza con il territorio» e su «una forte propensione al cambiamento continuo, ad allargare la propria sfera di influenza in funzione degli obiettivi di comunità, fuori da logiche autoreferenziali». Perché «il futuro della cooperazione sociale e del suo singolare modello d’impresa non può che stare nella comunità, perché è lì che essa è nata ed è da lì che può ritrovare la nuova linfa grazie alla quale consolidare un patrimonio di esperienze e ripartire con una proposta di cambiamento».
Un problema politico
Altrettanto urgente da affrontare è la questione del rapporto con la politica: è necessario superare il clientelismo, le piccinerie legate alle gare d’appalto al ribasso, che tagliano le gambe ai progetti di qualità, l’incapacità delle istituzioni di programmare, che riduce la vita dei progetti e dei servizi a tempi troppo corti perché possano risultare efficaci. Il lavoro sociale produce capitale sociale ed è quindi fondamentale per lo sviluppo del territorio. per questo non può non avere una dimensione politica.
Ma, come scrive Luca Borgomeo nel libro, «il Terzo settore assumerà una dimensione politica esplicita e percepibile, quando maturerà un netto, convinto e diffuso giudizio sul rapporto tra sviluppo e welfare; quando si convincerà che il suo lavoro non è “altra cosa” rispetto alle grandi questioni dello sviluppo, ma che anzi dello sviluppo il rafforzamento del capitale sociale è la premessa indispensabile». Insomma, prima deve autoconvincersi della centralità del proprio ruolo, per poi rappresentarsi come tale e rivendicare finalmente un ruolo che lo veda impegnato nella coprogettazione e nella coprogrammazione delle politiche e degli interventi sociali.
“Equilibristi”
a cura di Andrea Morniroli
Edizioni gruppo Abele 2015
pp. 192, € 15,00
(La foto in alto è stata scattata da maria Topputo nella cooperativa Sinergie di Fiano)