UNA CASA E UN NUOVO PROGETTO PER L’ASSOCIAZIONE CHE DIFENDE I DIRITTI DEI ROM

Si chiama Romni Onlus e lavora per l'integrazione. Una voce che risuona forte in Europa, meno a Roma

di Riccardo Annibali

Siamo andati nel cuore del quartiere popolare della Borgata Finocchio, appena fuori dal raccordo anulare di Roma, per raccontare la realtà di un’associazione che si prefigge l’arduo compito di favorire l’integrazione delle popolazioni rom, ed altre comunità viaggianti, nella società, attraverso il contrasto di pregiudizi e discriminazioni, con azioni ben mirate e sul territorio. Il nome è Romni Onlus e la fondatrice, nonché presidente dell’associazione, è Saska Jovanovic, che dal 2010 si batte per i diritti del suo popolo.

Domenica 15 aprile avete aperto la prima sede ufficiale di Romni Onlus, in via Letoianni 24, non a caso nel cuore di uno dei quartieri più multietnici della Capitale. Come è iniziato questo percorso?
Dal 2010 abbiamo iniziato con il network a favore delle donne rom e sinte, nel 2014 abbiamo fondato il vero e proprio network a livello nazionale ed internazionale Rowni (Roma Women Network Italy). Nonostante che esistiamo da 8 anni, non siamo mai riusciti ad avere un nostro spazio da poter dedicare agli incontri e laboratori con la comunità, e questa che apriamo oggi è la nostra prima sede “normale”. Prima d’ora, infatti, la sede di questa e di altre tre associazioni di miei colleghi era casa mia: ci siamo arrangiati cosi, per gestirci al meglio le poche risorse economiche. La nostra prima sede è quindi, per l’associazione e per la mia famiglia, un grosso sacrificio economico in quanto non ci appoggiamo su sovvenzioni statali, ma è tutto a carico nostro, e la nostra speranza è di renderci economicamente autonomi grazie al nostro lavoro e ai nostri progetti, e perché no, aumentando anche il numero dei soci.

 

Romni Onlus
La festa di inaugurazione della sede di Romni Onlus

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Perché avete scelto proprio questa zona di Roma?
Perché qui, quando si parla di associazionismo, non esiste niente, perché in questa borgata abitano tantissime famiglie rom e sinte, centinaia di case, e nessuno parla di loro, perché l’attenzione mediatica è sempre rivolta ai campi rom. Questa è una comunità composta da jugoslavi, tanti sinti italiani e rom italiani, e dall’immigrazione dai paesi balcanici, che risale agli anni ‘50/’60. Una periferia storica dove penso che il 90% della popolazione è straniera e che ha bisogno di aiuto, il mio sogno infatti è, che questa sede non rimanga un ritrovo ad uso esclusivo di Rom e Sinti ma sia esteso a tutta la popolazione del quartiere, di altre etnie, anche agli italiani. Io mi ritengo un’attivista dei diritti umani, senza distinzione di razza, religione o provenienza geografica.

L’impegno di Romni Onlus nasce quindi da questo territorio?
Purtroppo non abbiamo mai lavorato a livello nazionale, proprio per la difficoltà di ricevere fondi ed investimenti, ma abbiamo sempre lavorato con progetti Europei. Siamo partiti un po’ al contrario rispetto alle altre associazioni, abbiamo iniziato dall’Europa e ora ci avviciniamo al territorio nazionale. È stata una scelta dettata anche dalla possibilità all’accesso ai fondi: per quanto riguarda l’Europa, i bandi sono accessibili nonostante il grande numero di partecipanti, ma per quanto riguarda l’Italia, e Roma in particolare, sono quasi impossibili. Pensate che vengono richieste fideiussioni, che in pratica significa avere a disposizione grandi risorse personali, solo per avere la possibilità di partecipare, poi gli accadimenti di Mafia Capitale hanno bloccato tutta la distribuzione dei fondi statali e comunali.

 

Romni Onlus
Due partecipanti alla festa

Inizia oggi “Rom e non Rom, insieme si può”. Di cosa si tratta?
È un progetto nazionale, lavoriamo gomito a gomito con i colleghi di Roma, Torino, Isernia e Pavia.  Nelle altre tre città si è già instaurato da tempo un rapporto di collaborazione con le amministrazioni, qui no, e infatti dobbiamo ancora capire il municipio di riferimento, perché nessuno ci ha ancora risposto alle lettere che abbiamo inviato. È stato più facile aprire le porte della Commissione europea di Strasburgo che aprire le porte del V Municipio di Roma: in Commissione sono stata invitata ed ascoltata da tutti i presenti, di ogni paese membro, ma non qui al V municipio.

Quali sono le problematiche maggiori che la vostra comunità deve affrontare quando si parla di integrazione?
L’iscrizione a scuola dei bambini è un processo pieno di ostacoli, ed è un’assurdità, perché è proprio dall’integrazione scolare, che comincia il processo di inserimento nelle dinamiche della comunità e del lavoro. Un altro mito da sfatare è l’assenteismo scolare dei bambini dei campi rom, sono numeri molto più bassi di quello che si pensa, anche perché sono seguiti dagli assistenti sociali. E poi le donne rom e sinti, invisibili perché una grande parte di loro non possiede documenti personali se non il certificato di nascita, niente permesso di soggiorno, passaporto o carta d’identità, documenti necessari all’accesso ai servizi di qualsiasi Paese. Come si può parlare di non inserimento nel mondo del lavoro, se non si risolve a monte questo tipo di problematica?

 

Romni onlus
L’inaugurazione della nuova sede è avvenuta durante il Good Deeds Day

Oramai sono venti anni che vivi qui in Italia, prima a Montefiascone poi a Roma, hai percepito un cambiamento nel rapporto tra gli Italiani e la vostra comunità?
Non ho mai avuto problemi con gli italiani, ogni volta che mi veniva chiesta la mia provenienza rispondevo Rom, e pensavano fossi romena, ma personalmente non ho avuto difficoltà a cercare lavoro, per esempio. Il vero ostacolo è stato trovare un appartamento in affitto, non per le mie referenze, il lavoro, la caparra ma per il mio aspetto, perché quando il proprietario di casa mi incontrava, cambiava idea. Quello che ho pensato al momento è stato che sarebbe stato impossibile integrarmi a queste condizioni, ed è per questa mia esperienza che credo che il Piano Rom, previsto dall’Amministrazione di Roma, sia destinato a fallire. Tutt’ora non vedo la possibilità, per una persona che vuole uscire da un campo, di poter trovare lavoro e una casa a queste condizioni.

Una delle battaglie più importanti di Romni Onlus è stata quella della lotta ai matrimoni precoci nei campi rom, come vi siete organizzati e come l’avete portata avanti?
Con Rowni abbiamo lavorato contro i matrimoni precoci insieme a Spes (il Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio ndr) e con la comunità dei campi, rischiando noi stessi la vita, andando contro ai precetti dei capi famiglia che li controllano. Inevitabile è dover fare prevenzione con lezioni ai ragazzi e bambini, ma in quelle comunità un po’ chiuse e sospettose siamo stati accusati di lavorare con la polizia. Siamo orgogliosi di essere stati i primi a portare alla luce questa tematica non solo a livello nazionale ma anche europeo insieme a quattro associazioni appartenenti a quattro Paesi diversi: Austria, Romania, Bulgaria e Croazia, in più soci partner come Bosnia, Macedonia, Serbia e Montenegro. Insieme ad associazioni di questi Paesi ma soprattutto alle attiviste dei diritti delle donne siamo riuscite a portare questa problematica in commissione europea.

Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazione@cesv.org

 

 

UNA CASA E UN NUOVO PROGETTO PER L’ASSOCIAZIONE CHE DIFENDE I DIRITTI DEI ROM

UNA CASA E UN NUOVO PROGETTO PER L’ASSOCIAZIONE CHE DIFENDE I DIRITTI DEI ROM