CORONAVIRUS: A CENTOCELLE C’È LA SCUOLA SOLIDALE
I docenti dell'IC di Via dei Sesami donano pacchi spesa e tablet alle famiglie degli alunni in difficoltà, insieme al volontariato. Ma soprattutto tengono i rapporti
06 Maggio 2020
Da quando in Italia ci siamo trovati alle prese con l’emergenza del Coronavirus abbiamo assistito a molte storie di solidarietà, di impegno e di coraggio. Quella che vi raccontiamo oggi arriva da Roma, dal quartiere di Centocelle, e da una scuola solidale, l’Istituto Comprensivo di Via dei Sesami, che conosciamo da tempo come un esempio di apertura verso il quartiere, la cittadinanza e per la sua cultura di partecipazione e solidarietà. In occasione dell’emergenza Covid 19, che ha bloccato molte attività e messo in difficoltà molte famiglie, i docenti della scuola si sono mobilitati, e, insieme ad alcune associazioni di volontariato, hanno deciso di aiutare le famiglie che ne avevano bisogno. Hanno così deciso di utilizzare alcuni fondi, che la scuola aveva a disposizione, per donare ad alcune famiglie di alunni che frequentano la scuola dei pacchi spesa e dei tablet per la didattica a distanza.
Una scuola aperta
Ma come si è arrivati a questa idea di solidarietà? «Abbiamo come politica della scuola di tenere costantemente i rapporti con le famiglie anche al di là dello specifico didattico», spiega Alessandro Natalini, insegnante e collaboratore del dirigente scolastico. «Anche in situazioni di normalità cerchiamo di agire come luogo di supporto, laddove ci accorgiamo di poter fare qualcosa per chi ne ha bisogno. È qualcosa che è nelle indicazioni del Dirigente, Marco Pintus, e che è nelle corde di gran parte dei colleghi».
L’idea di scuola che hanno a Via dei Sesami è qualcosa che va al di là del semplice insegnamento. «La nostra scuola è sempre aperta, e non solo in senso metaforico», spiega Natalini. «E questo ci consente di avere il polso della situazione in cui i ragazzi si trovano, anche durante il corso dell’attività didattica normale. Ovviamente questo ci ha facilitato, ci ha aiutato a comprendere quali fossero i bisogni e le necessità degli studenti. Non è stato difficile comprendere che chi non si collegava alle lezioni on line, chi faticava ad avere rapporti con noi con questa modalità, nascondeva un disagio che nasceva da altre problematiche. Così ogni coordinatore, ogni consiglio di classe, in base alla percezione e alla conoscenza che aveva dei ragazzi, incrociando con quello che sapeva il dirigente, ci ha permesso di fare un monitoraggio costante». «Ovviamente conosciamo i nostri limiti e non siamo neppure sicuri e certi di aver coperto quello che c’era da coprire, ma non ci siamo sottratti a quello che poteva essere un ruolo di sostegno verso chi ha perso il lavoro, chi lavorava in condizioni di precarietà strutturale», commenta Natalini. «In questo periodo si sono aperte delle voragini. Allora, grazie a questo approccio, che è il tratto con cui la scuola opera da anni, abbiamo cercato di capire chi di loro fosse in difficoltà in questo momento, sempre con la dovuta delicatezza».
Una scuola solidale
In questo modo i professori dell’Istituto comprensivo di Via dei Sesami sono riusciti a realizzare una prima mappatura delle famiglie in difficoltà, e hanno portato la discussione in collegio docenti.
«Abbiamo deciso di utilizzare i fondi, che normalmente raccogliamo con la Festa di Primavera, che sono destinati ad acquistare materiali che lo Stato non ci fornisce, o permettere a ragazzi che hanno difficoltà a partecipare a un campo scuola o a qualche uscita particolarmente costosa di riuscire ad esserci», racconta Natalini. «Abbiamo deciso di utilizzare questa risorsa, che riuscivamo a capitalizzare grazie al contributo delle famiglie. Quest’anno, non potendo fare la Festa di Primavera a maggio, abbiamo pensato di utilizzare i fondi che avremmo destinato a farla partire – perché è un meccanismo che si rinnova – in quest’altra direzione, per sostenere le situazioni di difficoltà».
Non si tratta ovviamente di numeri molto ampi. Così i professori della scuola hanno deciso di trovare ulteriori fondi in un altro modo. «Ci siamo autotassati, abbiamo dato un contributo dai nostri stipendi, visto che, a differenza di molti altri, continuano ad arrivare», racconta il professor Natalini. «E con questa tassazione interna abbiamo mantenuto viva questa forma di solidarietà e contiamo di arrivare almeno fino a giugno». «È una goccia nel mare del disagio, per cercare di attenuare le situazioni più gravi», continua. «Esiste anche un conto corrente, con un iban, e chi vuole può donare». «Sono fondi che la scuola ha, ottenuti attraverso forme di solidarietà attivate nel passato, o attraverso una forma di mega colletta tra colleghi», precisa il professore. «Non abbiamo attinto ad alcun contributo pubblico».
Una scuola che collabora
Una volta presa questa decisione, si trattava di capire come organizzare al meglio la consegna dei pacchi spesa. La decisione migliore è sembrata quella di collaborare con il mondo del volontariato. «Abbiamo deciso di affidarci a un’associazione che ha una grande esperienza in attività di solidarietà che è Nonna Roma, con cui avevamo già legami e rapporti per le vie più dirette», spiega Natalini. «Alcuni di noi hanno fatto volontariato con loro, andando in prima persona a distribuire i pacchi alle famiglie. Abbiamo pensato che il meccanismo più semplice, invece di far venire le famiglie a scuola, fosse quello di appoggiarci all’associazione e supportare la sua rete di solidarietà. Loro si sono dimostrati molto attenti, molto professionali, e grazie a questa sinergia siamo riusciti a raggiungere le situazioni più difficili».
Una scuola che dona
Ma gli aiuti non si sono fermati ai pacchi spesa. «Abbiamo anche dato alle famiglie dei tablet per le attività didattiche a distanza: alcune richieste ci erano giunte dalle famiglie, ma facendo una mappatura le abbiamo incrociate con quanto ognuno di noi sapeva», racconta Natalini.
«Abbiamo privilegiato le situazioni di difficoltà. Se un ragazzino riusciva a connettersi e aveva un suo cellulare, quel ragazzino non è il primo a cui abbiamo consegnato il tablet: abbiamo indirizzato il materiale prima a chi faceva videolezioni con un cellulare condiviso con la mamma, il papà o il fratellino, e a volte non poteva fare lezione perché qualcuno stava usando il suo stesso strumento. Abbiamo incrociato anche qui le informazioni, e abbiamo assegnato i tablet con questo criterio».
Le famiglie che sono state raggiunte con la consegna dei pacchi sono 35-40. I tablet distribuiti sono una trentina, e sono in arrivo altri cinque o dieci. Tutto questo su un migliaio di famiglie. In alcuni casi le famiglie che hanno ricevuto i tablet coincidono con quelle che hanno ricevuto gli aiuti alimentari, in altri casi no. «Ci siamo appoggiati anche ad altre associazioni con cui collaboriamo, come Tandereig», racconta Natalini. «Insieme a loro, nell’ambito di un progetto che stavamo portando avanti insieme, abbiamo fatto qualche ricarica telefonica, abbiamo attivato quest’altra risorsa. In questo caso attingendo in parte a un fondo istituzionale, ma è un’operazione a latere».
Una scuola che interroga le istituzioni
Sulla scelta di destinare i fondi della scuola alle famiglie in difficoltà non ci sono mai stati dubbi. «L’unica questione è stata come concretamente portarla avanti, come materialmente far sì di raggiungere un’area di disagio che è più vasta», confessa Natalini. «Il nostro dispiacere è stato non poter sostenere tutti, ma sul fatto di portare avanti questa iniziativa non abbiamo mai avuto dubbi. Abbiamo aiutato alcune famiglie a ottenere il contributo dal Comune di Roma, e magari quella famiglia è uscita dal nostro circuito e ha lasciato posto ad altre».
Ma questo non vuol dire che vada bene così, neanche per una scuola solidale. «E non perché non ci venga naturale farlo, è un momento in cui chiunque possa dare è bene che lo faccia», riflette il professore. «Ma rimaniamo convinti che, a livello istituzionale, dovrebbero esserci delle soluzioni che tutelino le situazioni più fragili. Da una parte noi facciamo tutto quello che è in nostro possesso con la generosità che ci piacerebbe fosse un tratto comune della nostra società, perché è qualcosa che poi ritorna. Però ci piacerebbe vivere in un paese in cui fossero le istituzioni, in modo trasparente e lineare, il supporto quando si creano situazioni di difficoltà».
Una scuola attiva
Quella di Via dei Sesami è la scuola che ci piace di più, quella che tutti vorremmo. Ogni anno a ottobre viene organizzato un incontro con le famiglie per recepire critiche e informazioni, le feste vengono organizzate con il mondo dell’associazionismo, che per la scuola è linfa vitale.
Una di queste è la Festa della Cultura, con i ragazzi che vanno per le strade del quartiere a recitare poesie, leggere brani, suonare, dipingere murales: in questo modo si sentono di far parte di una comunità. La scuola pubblica anche dei libri scritti dagli studenti (“Il mio compagno di banco è uno straniero” e ” Io, me, mio…nostro”, che ha ricevuto l’apprezzamento con lettera personale del Presidente Mattarella, mentre è in fase di pubblicazione “Dal mondo della fantasia alla realtà: chi sono i veri eroi?”). «A noi piace pensarci come una parte del quartiere e come un luogo che abbia costantemente le porte aperte», ragiona Natalini. «La nostra sede centrale è aperta tutti i giorni dalle 8 del mattino alle 18.30. E non è un modo di dire. Noi non riusciamo a immaginare un modo che non sia questo, di fare formazione. Non è soltanto una trasmissione di conoscenze o una verifica di competenze, ma è essenzialmente andare a creare quelle condizioni che consentano apprendimento felice e un progetto di crescita di quelli che saranno i futuri cittadini che sia reale. Che parta dal capire che la scuola non è tua nemica, ma neppure un luogo in cui verificano ciò che fai. La scuola è uno strumento per entrare nel mondo degli adulti. E in questo sono fondamentali e strategiche le figure apicali: il dirigente, Marco Pintus, e il vicepreside, il professor Sandro Alquati».
Alla scuola di Via dei Sesami credono nel dialogo. «Quando dobbiamo prendere un provvedimento disciplinare chiamiamo la famiglia, lo concordiamo con lei, cerchiamo di spiegare perché procediamo in quel modo», spiega Natalini. «È il nostro stile. E non potremmo immaginarne un altro. Il mondo della scuola nasconde molte zone d’ombra, molte criticità. Ma è anche fatto di molte realtà che, nonostante le difficoltà di questi anni, hanno contribuito a tenere vivo un altro orizzonte possibile. Ed è praticabile solo se le famiglie dialogano, se si sentono corresponsabili, se si sentono cittadine e cittadini ogni volta che varcano quella soglia».
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