BAMBINI IN CARCERE: IL LOCKDOWN HA DIMOSTRATO CHE LE ALTERNATIVE CI SONO
Le riflessioni dell'associazione A Roma Insieme, che ha ripreso le attività dopo l'emergenza. E vuole tirare fuori dal carcere i bambini con le loro mamme
22 Luglio 2020
Nel lockdown dovuto al Covid-19, per un periodo è stato bloccato l’ingresso di mamme e bambini nelle carceri e sono state trovate soluzioni alternative. Dal 1991 l’associazione A Roma, Insieme si propone l’obiettivo che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere. Da un lato promuove e realizza attività che mirano a limitare i danni del carcere sui bambini e ad aiutare le donne a gestire il rapporto con i propri figli durante la detenzione, favorendo il loro reinserimento sociale, dall’altro sensibilizza l’opinione pubblica e lavora per ottenere risposte adeguate da parte delle istituzioni.
«Sono 29 anni che ci battiamo per le soluzioni alternative alla detenzione per mamme con figli piccoli. Sono ottimista, i mesi scorsi hanno dimostrato che ciò è possibile», dice Giovanna Longo, presidente di A Roma, Insieme.
Le alternative nel lockdown
Prima della pandemia, c’erano 11 bambini e 11 mamme all’interno del carcere femminile di Rebibbia. Con l’esplodere del Covid-19, seguendo le direttive conseguenti all’emergenza, le mamme con figli al di sotto dei 18 mesi sono state trasferite ai domiciliari, una mamma è stata accolta in casa famiglia, altre mamme avevano finito i termini e sono uscite. «Per un breve periodo è rimasto in carcere solo un bambino, Edward, perché la mamma ha una lunga pena da scontare, ma in poco tempo altre donne con figli sono entrati, subito dopo la fine dell’emergenza», racconta Lungo. «Per adesso, purtroppo tutto è tornato come prima, ma i fatti degli scorsi mesi, durante la fase di emergenza più acuta, hanno dimostrato che si potrebbero trovare alternative, ad esempio braccialetti elettronici alle madri, per seguirne i movimenti all’interno delle case famiglia o ai domiciliari».
Finché sta con la madre, infatti, il bambino deve restare all’interno delle Sezioni nido del carcere fino al compimento del terzo anno di età, dopo deve andare via, o con un parente o se ne prende carico l’associazione con degli affidi momentanei. Nelle case famiglia protette i bambini possono rimanere fino ai dieci anni di età. Si cerca di mandare via insieme mamme e bambini, ma se le mamme devono scontare tanti anni di carcere questo ovviamente non è possibile.
«Noi come associazione abbiamo dovuto aiutare il più possibile dall’esterno del carcere, non potendo entrare né noi volontari né i parenti. Da marzo scorso non abbiamo più potuto svolgere laboratori, ma abbiamo fatto da ponte con la famiglia esterna per le esigenze economiche e materiali, abbiamo cercato di aiutare le famiglie che seguiamo, con generi alimentari e non. È stato un periodo molto faticoso».
La ripresa delle attività
I colloqui con i familiari sono ripresi su appuntamento, dietro il plexiglass. «I bambini nella Sezione Nido sono attualmente cinque», spiega Giovanna Longo. «Ora noi delle associazioni possiamo entrare nelle carceri, a turno, ognuna scegliendo mezza giornata a settimana. I nostri laboratori riprenderanno, speriamo, a settembre».
A Roma, Insieme organizza per i bambini e le mamme laboratori di musicoterapia e movimento. Per le donne, propone danza e attività manuali con la produzione di oggetti, per i bambini organizza laboratori di lettura, quest’anno in collaborazione con il palazzo delle Esposizioni, dove i volontari dell’associazione hanno poi portato i piccoli a vedere quello che avevano imparato in carcere.
«Nel caso in cui ci sia una seconda ondata, continueremo le nostre attività, facendo da tramite tra le donne in carcere e le famiglie fuori, per far stare le donne più tranquille possibili. A meno che i bambini possano stare in un ambiente tranquillo e protetto, su indicazioni del Direttore sanitario. I piccoli in carcere sono ospiti, il Direttore non decide nulla: dipendono dalla Asl, che stabilisce anche se ci sono le condizioni per farli andare all’asilo nido, sempre che riaprano da settembre. La nostra lotta è che i bambini, come tutti gli altri, possano uscire la mattina e tornare il pomeriggio, per vivere mezza giornata a contatto con la realtà normale. La mamma, durante le ore di scuola, è libera o di andare anche lei a scuola o di lavorare. Chi paga di più in ogni situazione sono sempre i più piccoli».
Con un’eventuale seconda ondata di Covid-19, A Roma, Insieme riprenderebbe i laboratori con gli adulti via Skype, come già fatto nel il carcere maschile Regina Coeli.
Il mondo del carcere
«Una volta entrati nel mondo delle carceri, capita di esserne coinvolti a tal punto da non poterlo lasciare più», dice Giovanna Longo. «È un ambiente molto delicato: facciamo tanta fatica per arrivare a nuove piccole conquiste e a volte basta un minuto per perderle», dice la presidente.
Nella capitale, in questi ultimi due anni, l’associazione è stata attiva nel carcere maschile Regina Coeli con laboratori di musicoterapia e hanno aperto una falegnameria, con un professionista che ha insegnato l’arte del legno; hanno iniziato creando giochi per bambini, poi insieme all’associazione Libera hanno costruito dei mobiletti per una scuola. Se arrivano dei finanziamenti, ripeteranno l’anno prossimo il progetto della falegnameria, che ha avuto molto successo. A Rebibbia maschile l’associazione ha organizzato diversi corsi di scrittura e letteratura e pubblicato dei libri. A Rebibbia femminile svolge incontri una volta al mese, con la psicologa, l’assistente sociale, la ginecologa, l’avvocato, su varie problematiche.
«Per i bambini, abbiamo sempre tanti progetti: l’uscita del sabato, la gita al mare, la visita allo zoo, i laboratori per i bambini più grandi che vengono in carcere una domenica al mese a trovare le madri. Negli anni passati, abbiamo fatto molte più attività anche fuori dalla città. Quando c’era Leda Colombini, fondatrice dell’associazione, riusciva molto più facilmente a fare tante cose».
A casa di Leda
«Leda Colombini», racconta Giovanna Longo, «era una persona meravigliosa, che “mi ha fregato”, mi ha coinvolto in quest’associazione da quasi 30 anni. Era una persona che accoglieva e sapeva capire tutti. Aveva una dote rarissima: riusciva a prendere il buono di ognuno».
Nel volontariato non tutto è semplice, soprattutto in ambiti difficili come il carcere. Eppure «una volta che si entra in contatto con la realtà del carcere si capisce quanto è dura e quanto serve esserci: io ho mollato tutte le altre cose che facevo per dedicarmi solo all’associazione. Non è tutto rose e fiori, con Leda litigavamo tanto, ma erano scontri molto costruttivi, era politicamente corretta, una cosa non da poco ai giorni d’oggi».
A Leda Colombini è dedicaato “A casa di Leda”, un progetto nato con l’ex assessora alle politiche sociali Francesca Danese, attivo dal 2017. La struttura, confiscata alla mafia, si trova a Roma, all’Eur, accoglie le madri detenute (che non devono scontare lunghe pene) con figli. La casa protetta può ospitare 6 utenti in pena alternativa alla detenzione o agli arresti domiciliari con 8 figli minori da 0 a 10 anni. Gli ospiti sono seguiti da educatori e operatori, il servizio mira ad assicurare il benessere dei bambini e sostenere le madri nelle loro funzioni genitoriali.
In questo momento, ospita tre madri con i rispettivi figli. «Non è semplice gestire una struttura del genere, non è facile far comprendere a tutte le detenute che se devono accompagnare il figlio a scuola, entro mezzora poi devono rientrare perché può esserci un controllo. Cerchiamo sempre di “raddrizzare i colpi” di quello che non funziona. Ma noi siamo contrarie agli Icam, gli Istituti a custodia attenuata per detenute madri, riservato a mamme detenute e bambini fino a 6 anni: non cambia molto, a nostro avviso, rispetto a far stare mamme e bambini in una zona del carcere».
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