STORIE DI RINASCITA DELLE DONNE ROM DAL CAMPO ALLA CASA

Nel saggio reportage di Ilaria De Bonis sei storie al femminile in cui l'uscita dal campo porta con sé l’abbandono di degrado, povertà, violenza fisica e psicologica

di Laura Badaracchi

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«La casa è un diritto per tutti, e i Rom non fanno eccezione». Lo racconta la giornalista Ilaria De Bonis nel saggio-reportage A second life. Rinascita delle donne rom nel passaggio dal campo alla casa (Tau editrice), in cui sintetizza sei storie al femminile di uscita dal campo che portano con sé anche l’abbandono di situazioni di degrado, povertà, violenza fisica e psicologica. Come quella di Bimba: lei e suo marito si sono trasferiti in un appartamento popolare di Cinecittà, lasciando per sempre il container in lamiera del campo rom La Barbuta di Ciampino. Un sogno reso possibile da un’alleanza solidale fra donne che ha vinto i pregiudizi. «In totale, ad oggi, ben 400 alloggi sono stati consegnati, chiavi in mano, ad altrettante famiglie le cui pratiche sono state seguite esclusivamente dalla volontaria e mediatrice Patrizia Allaria e dal suo team di donne. Le prime domande sono partite tra luglio e dicembre del 2017; circa 150 richieste invece tra 2018 e 2019, dai campi di Castel Romano, di via Candoni, Salviati, Gordiani e via di Salone. Bimba, Anita, Gelsomina, Mevi, Sara, Elizabeta e Sam sono le pioniere delle case popolari: hanno aperto il varco ad altre 400 famiglie per un totale di circa 2.000 persone».

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Ilaria de Bonis: «La casa è un diritto per tutti, e i Rom non fanno eccezione»

Non farsi prevaricare dalla narrazione dominante

Nell’universo femminile rom l’autrice ha trovato «coraggio e innovazione. Grande affiatamento (non di clan ma di genere) e desiderio profondo di cambiare il proprio destino e quello collettivo. In queste donne è prevalso il superamento dello status quo e il bisogno di non farsi prevaricare dalla narrazione dominante». Patrizia Allaria, «loro sorella, accompagnatrice e mentore, ha reso più accessibile il sogno dell’assegnazione di una casa popolare: e tutte insieme hanno compreso che chiedere un appartamento vero non era fuori dalla loro portata. È stato molto bello incontrare diverse bambine nate dopo il 2016 che si chiamano Patrizia, in segno di rispetto, gratitudine e affetto per l’amica di famiglia». E lei, operatrice sociale dentro i campi Rom della Capitale, ricorda: «Sono andata persino nei cassonetti a cercare il ferro con quelle famiglie, e a chiedere l’elemosina insieme. Perché la verità è che se non si vive la stessa vita, almeno per un po’, non la si potrà mai comprendere fino in fondo».

Donne rom dalla normalità negata

Alcune donne «sono state due volte vittime: dei mariti (nonché delle comunità di appartenenza) e della società dei gagè, ossia noi non rom; ma nella maggior parte dei casi la famiglia d’origine è stata invece un forte alleato. Sono donne che hanno cercato con ogni mezzo di diventare delle mamme comuni, di seguire i propri figli nel percorso scolastico, di renderli uguali ai coetanei. Hanno voluto uscire dalla bruttezza e dalla pericolosità dei ghetti, nonostante quei campi fossero diventati per loro anche una comfort zone. Desideravano una routine, una normalità di vita e di contesto: andare al supermercato, a colloquio con gli insegnanti dei figli, al lavoro, in palestra, al parco e poi a sera tornare in un appartamento vero, con le scale, l’ascensore, i balconi, le porte, i vicini di casa, eccetera». Una normalità a lungo negata per i pregiudizi annosi e conquistata, fra le altre, da Anita, «che ha invertito il suo percorso di vita e anzi è riuscita ad aiutare altre persone come lei a partecipare ai bandi pubblici per l’assegnazione della casa negli ultimi cinque anni. Nata a Sarajevo, arriva a Roma nel 2010 dove conosce suo marito che la porta a vivere nel campo Rom di Castel Romano, sulla Pontina. In Bosnia aveva una casa di famiglia e studiava Scienze politiche; a Roma finisce per anni a rincorrere una stabilità che non esiste. Nascono i suoi 4 bimbi, 3 femmine e un maschio. La più grande oggi ha 13 anni». La coppia ha iniziato il percorso per la casa popolare nel 2019 e nel luglio del 2020, dopo otto mesi, è arrivata nella zona di Acilia: un ex rudere di campagna con l’orto sul retro, che Anita trasformerà in una villetta col giardino. «Ogni centesimo che ho impiegato per ristrutturare questa casa l’ho guadagnato col mio lavoro: facevo le pulizie, servivo al bar, lavoravo per realizzare un censimento sui Rom; consegnavamo i pacchi e mi davano un piccolo stipendio. Alla fine ce l’ho fatta! Da quando viviamo ad Acilia è cambiato tutto per noi: lo stile di vita, il rendimento scolastico delle bambine. Ma soprattutto sono cambiati gli occhi degli altri su di noi», dice Anita, che oggi lavora in un centro commerciale e «fa la mediatrice culturale volontaria, per sostenere altre famiglie Rom nella richiesta della casa popolare».

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Una rivoluzione culturale

Finora oltre 700 famiglie Rom, per un totale di più di 4 mila persone, «tra il 2018 e il 2023 hanno fatto domanda e ottenuto l’assegnazione di una casa di edilizia popolare a Roma. Ci sono riuscite seguendo l’iter che qualsiasi cittadino in difficoltà economiche può compiere partecipando all’assegnazione di un bando comunale. Nella capitale esistono circa 77 mila alloggi popolari: i numeri che riguardano i Rom sono dunque una piccola parte, ma di grande importanza per la rivoluzione culturale che rappresentano». Secondo i dati forniti da Roma Capitale, a luglio dello scorso anno i Rom presenti nei 6 villaggi attrezzati rimasti in città erano 2.261 tra il campo di via Candoni (669 persone), nel Municipio XI, Castel Romano (con 439 residenti); via Salviati (per un totale di 427), nel V Municipio; via di Salone (con 350) nel VI Municipio, via Gordiani (228) in V Municipio e il campo di via Cesare Lombroso (148 residenti) nel Municipio XIV. «Nonostante i significativi progressi che si sono realizzati negli ultimi anni, l’Italia rimane il Paese dei campi, quello che a livello europeo impiega il maggior numero di risorse nel mantenimento in essere di un sistema segregante e discriminatorio». Secondo le stime fornite dall’Associazione 21 Luglio, «più di 15 mila persone vivono in baraccopoli, formali o informali, all’interno delle quali, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono minimamente rispettati gli standard internazionali in materia di diritti abitativi. Sebbene dal 2016 al 2023 il numero dei soggetti relegati all’interno di insediamenti monoetnici sia significativamente diminuito del 40%, l’obiettivo del superamento definitivo dei “campi nomadi” è ancora lontano», scrive nella prefazione Elia Tornesi, dell’Area ricerca e documentazione della Fondazione Migrantes.

In copertina Patrizia Allaria tiene in braccio uno dei figli di Sam, appena arrivata nella sua nuova casa. Foto Ilaria De Bonis

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A second life
Rinascita delle donne rom nel passaggio dal campo alla casa
Ilaria De Bonis
Tau editrice, 2024
pp. 140, € 15

STORIE DI RINASCITA DELLE DONNE ROM DAL CAMPO ALLA CASA

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