GLI ANZIANI E QUELLE CASE PRIGIONE DA CUI È IMPOSSIBILE USCIRE

In un’Italia sempre più vecchia e urbanizzata troppe barriere architettoniche minano la qualità di vita degli anziani. Le istituzioni latitano, ma serve una rigenerazione urbana a 360 gradi.

di Micaela Mauro

Quante volte vi è capitato nel corso della vostra giornata di giungere in soccorso di un anziano, incapace di portare un peso, di salire una rampa di scale senza aiuto, di scendere da un autobus pubblico privo di un sostegno? Quello che spesso non salta agli occhi, però, è l’incubo in cui gli anziani sono costretti a vivere all’interno delle loro stesse abitazioni, case vecchie, poco sicure, prive di ascensori e per questo inaccessibili.

Anziani che vedono la propria mobilità ridotta a causa dell’impossibilità di uscire di casa, complice l’assenza di ascensori e montascale, le barriere architettoniche, le infinite rampe di scale in abitazioni che necessiterebbero di interventi strutturali, per rendere gli stabili agibili anche alla terza età.

 

I DATI. Il quadro che si delinea non è certo dei più rosei. Attualmente in Italia vivono 12 milioni di anziani, che vantano un’età superiore ai 65 anni. Tra questi quasi 10 milioni vivono in case di proprietà, ma non si tratta certo di abitazioni recenti. Ben il 70% di queste case ha più di 50 anni, mentre nel 20% dei casi sono ancora più vecchie, e solo il 10% è stato realizzato dopo il 1992. Questo comporta una serie di problematiche strutturali legate all’agibilità degli stabili, che, seppur in buone condizioni, sono dotati di impianti vecchi, fuori norma in materia di sicurezza e in cui sono presenti barriere architettoniche di ogni tipo, rendendo necessari interventi di messa in sicurezza.

abitare e anzianiMa, nonostante la popolazione anziana risulti autosufficiente dal punto di vista patrimoniale, potendo vantare nella maggioranza dei casi la proprietà dei beni immobili di cui dispone, la dilagante povertà dal punto di vista reddituale rende difficile e spesso impossibile sostenere gli ingenti costi che un piano di interventi di questo tipo potrebbe comportare. Per non parlare dell’ampiezza delle abitazioni, che nel 37% dei casi risultano troppo grandi da gestire per un anziano solo, e degli impianti di riscaldamento, che nel 7% dei casi risultano assenti, mentre il 19% degli anziani dichiara di utilizzare apparecchi singoli, come stufe elettriche o a gas.

Anche l’accessibilità degli stabili, purtroppo, sembra essere ridotta e carente: nel 76% delle case con anziani manca addirittura l’ascensore. E una casa senza ascensore per un anziano diventa un carcere, un luogo da cui è impossibile uscire se non con l’aiuto di terzi e vivendo enormi difficoltà. Questo è il quadro che emerge dal secondo Rapporto sulla condizione abitativa degli anziani che vivono in case di proprietà del 2015, promosso dall’associazione Abitare e Anziani, Auser nazionale e Spi Cgil, sempre attuale anche a tre anni di distanza. Il risultato? Nel 2014, secondo i dati Istat presentati durante l’incontro su abitare e anziani, 700mila persone hanno dichiarato di aver subito un incidente domestico, e oltre un terzo degli incidenti (36%) ha riguardato una persona di 65 anni o più, costretta a vivere in una condizione abitativa inadatta alle proprie necessità e spesso pericolosa.

 

GLI ORIZZONTI FUTURI Attualmente un quarto della popolazione mondiale risulta avere dai 65 anni in su, ma questa situazione prossimamente potrebbe cambiare, superando negli anni la soglia del 30%. Secondo uno studio del 2015 dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel 2050 gli anziani saranno 2,4 miliardi nel mondo, mentre nel 2015 in Italia erano meno di 900 milioni, corrispondenti al 20% della popolazione.

Anche la concentrazione della popolazione cambia: secondo le previsioni nel 2050 il mondo sarà solo per un terzo rurale (34%), e per due terzi urbano (66%), un fenomeno che ribalta diametralmente la situazione abitativa del XX secolo. Un processo di trasformazione demografica di grandissima portata, di cui risentiranno prevalentemente bambini e anziani e che avrà importanti conseguenze sulle politiche di welfare ambientale, che vanno ripensate nell’ottica di queste previsioni. Per questo l’abitabilità, all’interno di città e comunità sostenibili, viene considerata uno degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’agenda ONU, da raggiungere entro il 2030.

Un processo di trasformazione demografica che sta coinvolgendo anche il nostro Paese, uno dei più longevi del pianeta. La previsione demografica Istat 2017 per l’Italia delinea, infatti, uno scenario che vedrà il Paese perdere nel 2065 10 milioni di abitanti (scendendo così a 53 milioni), mentre gli anziani aumenteranno, così come è in aumento la vita media, che crescerà fino a 86,1 anni e fino a 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne. Ogni due persone, una avrà più di 65 anni (passando così dai 24 milioni del 2015 ai 33 del 2065). Il picco di invecchiamento colpirà l’Italia nel 2045-50, quando si riscontrerà una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%.

 

L’ASSENZA DELLE ISTITUZIONI. Nonostante ciò, i bisogni della popolazione anziana non sono al centro dei pensieri delle Istituzioni. E in particolare, secondo Claudio Falasca, direttore di Abitare e Anziani, in Italia negli ultimi 50 anni non lo sono mai stati, come dimostra il mancato aggiornamento del DM 1444/1968 sugli standard urbanistici.

abitare e anziani
Occorre riconvertire il patrimonio abitativo esistente in un progetto di rigenerazione urbana che valorizzi i bisogni dei cittadini anziani

Degli standard edilizi ed urbanistici da rispettare per favorire l’invecchiamento attivo, e dell’esigenza di pensare a nuovi modelli abitativi per rispondere ai profondi cambiamenti in atto si è parlato a Roma durante il seminario nazionale organizzato dall’associazione Abitare e Anziani, giovedì 11 gennaio 2018.

Ciò che è emerso, come indica il rapporto UE “Anziani e casa nell’Unione Europea”, è la necessità di ripensare la relazione degli anziani con il contesto abitativo della casa e del quartiere, nell’ottica della loro crescente esigenza di domiciliarità, della necessità di affrontare l’ostacolo costituito dalla rarefazione dei servizi di presenza e prossimità, dell’importanza per gli anziani di avvalersi di tecnologie assistite che migliorino qualitativamente la propria esperienza di vita nell’abitazione. Le alternative alla domiciliarità possono essere solo le RSA, le strutture per l’ospitalità degli anziani non autosufficienti, o l’ospedalizzazione, due opzioni che vedrebbero però ricaderne i costi sulla spesa pubblica.

 

LO SPORTELLO. Tutto questo nell’ottica di quella che Giancarlo Storto, esperto di politiche urbane e abitative, definisce un’edilizia residenziale sociale a 360°, riprendendo il concetto giapponese di “Apomoku”, una visione a 360° che consenta di percepire le esigenze delle popolazione in modo totale e completo, e di rispondere ad esse iniziando a riconvertire il patrimonio abitativo esistente in un progetto di rigenerazione urbana che valorizzi i bisogni dei cittadini anziani, nell’ottica di un invecchiamento attivo. Obiettivi che si potranno raggiungere solo lavorando per promuovere politiche abitative di lungo respiro, programmi finalizzati all’adeguamento delle abitazioni degli anziani per eliminare le barriere architettoniche, rendere più fruibili gli spazi di vita attrezzandoli con impianti domotici e tecnologici che rispondano ai loro bisogni di autonomia.
Con un ultimo obiettivo posto dall’associazione Abitare e Anziani, nelle parole del suo direttore Claudio Falasca, con la proposta di lanciare in tutta Italia lo sportello “Anziani abitare sicuri”, un punto di riferimento sul territorio per la terza età e per i familiari delle persone anziane, in cui trovare risposte alle problematiche della vita quotidiana, legate alla casa e all’abitare.

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