ABOLIRE IL CARCERE. LA PROPOSTA DEL MOVIMENTO NO PRISON
Il libro “Perché abolire il carcere. Le ragioni di No Prison”, di Livio Ferrari e Giuseppe Mosconi, spiega perché e come il carcere si può abolire
09 Giugno 2021
Abolire il carcere si può? O è pura utopia? Il Movimento No Prison, nato nel 2014, continua la sua attività di sensibilizzazione attraverso un nuovo libro: “Perché abolire il carcere. Le ragioni di No Prison” (Apogeo Editore), di Livio Ferrari e Giuseppe Mosconi. Oggi sembra non possa esserci alternativa al carcere, mentre, secondo il movimento No Prison, è necessario progettare la sua abolizione e sostituzione con forme diverse di gestione degli illeciti (ne avevamo parlato qui).
L’abolizione della prigione non è un’utopia. «No Prison è un’idea nata nel 2012», ci ha raccontato Livio Ferrari, giornalista e scrittore, fondatore e portavoce del movimento (qui il sito).
«Nove anni fa diversi di noi, i cosiddetti “esperti del carcere”, furono coinvolti in un incontro del gruppo Abele. Ci confrontammo per una serie di proposte e di possibili politiche riguardanti il mondo del carcere. A me, come a Massimo Pavarini, venne una nausea grande. Dopo 30 anni di attività, sentire sempre i soliti discorsi, le solite cose che non vanno, le solite toppe da mettere, non andava giù. Sono discorsi che in casa sua uno non fa: se hai un frigo rotto o lo ripari o lo cambi. Il mio intervento a quel summit fu l’unico che non rientrò negli atti, era troppo dissacrante…». «Dopo mesi in cui mi bolliva dentro un grande fastidio, chiamai Massimo. Venne a trovarmi a Rovigo e iniziammo a costruire il manifesto No Prison. Nel 2014 lo presentammo a Firenze. Nel 2015 uscì il mio libro “No Prison, il fallimento del carcere”, in cui ho scritto tutto quello che ritenevo dovesse essere scritto, per dire che è un sistema che non funziona. Ho visitato 40 istituti in tutta Italia e ho viste le condizioni in cui vivono i detenuti».
Il carcere nasce per tenere i poveri ai margini
La povertà, per chi è ristretto nelle carceri italiane, è l’elemento caratterizzante della distanza che li separa dal resto della società. Ed è una delle cose di cui tenere conto quando parliamo della prigione. «Il carcere nasce verso la fine del 1500 per i poveri, non per i reati», spiega Ferrari. «Nasce per tenere ai margini della società i poveri. Nel 1700 a Napoli fu costruito il Real Albergo dei Poveri che diventò una prigione: prendevano tutti quelli che facevano accattonaggio e piccoli furti e li mettevano lì. Il carcere nasce per togliere dalla società le persone che davano fastidio». E così continua ad esistere, nel totale disinteresse o, nel peggiore dei casi, dell’odio nei confronti di chi è detenuto da parte dei liberi che non hanno nessuna voglia di approfondire la questione. «La vendetta fa parte della nostra storia umana», riflette Ferrari. «Ci fu qualcuno, dicono che fosse Dio, che quando Caino uccise Abele disse “chiunque tocchi Caino se la dovrà vedere con me”».
Restituire il danno alle vittime e dignità alla persona
No Prison allora vuole provare ad andare oltre a questo sistema. «È un’idea semplice», spiega Livio Ferrari. «Qualsiasi soggetto che ha compiuto un reato, indipendentemente dal reato, se non è pericoloso, non ha nessun senso che venga privato della libertà. Intendiamo non pericoloso nel senso che non può fare del male».
«Io non dico che deve essere immediatamente libero», precisa Ferrari. «Ma dopo un lasso di tempo può tornare in libertà. Se lasci una persona per tanti anni a pagare con il carcere lo sollevi dalle responsabilità. Ma una persona, che abbia fatto del male o meno, deve avere responsabilità. Allora quella condanna la metti in atto in libertà, in modo che possa restituire il danno alle vittime. E dignità alla persona».
Ma come si fa, in pratica, a restituire il danno arrecato? «Ci sono due percorsi sui quali confrontarci», spiega Ferrari. «Se è un danno materiale la restituzione può avvenire attraverso il lavoro, le attività. Se però è un danno umano, uno ha ucciso e non può restituire la vita, ci può essere un percorso di restituzione alla società».
Carceri: fatte per l’afflittività
La prigione umilia, annulla, stigmatizza e impone il dolore, la sofferenza, è crudeltà, crea la mancanza di responsabilità verso il proprio comportamento e aumenta la pericolosità di tutti coloro che vi transitano. È importante allora che si pensi a una sua sostituzione con forme diverse di gestione degli illeciti. «Le carceri che abbiamo noi sono luoghi disumani, che non sono stati fatti per la rieducazione ma per l’afflittività», spiega Livio Ferrari. «Hai fatto del male e ti restituisco un momento in cui devi star male a tua volta». La conformazione delle carceri, in qualche modo, è paradossale. «La cosa emblematica è che le carceri sono molto grandi, ci sono corridoi lunghissimi, spazi mostruosi e i luoghi dove vivono le persone sono buchi di tre metri» riflette.
«Dobbiamo tenere conto che ci sono quei soggetti per i quali non è possibile tornare in libertà. Ci sono soggetti che non vogliono cambiare e sono pericolosi. O hanno problemi di natura psichiatrica, come i serial killer, che se tornano in libertà riproducono le dinamiche che li hanno portati a delinquere. Queste persone non possono vivere dentro un buco tutta la vita: è disumano. Bisogna ripensare completamente gli spazi della non libertà: devono dare la possibilità di vivere come e in altri posti e di muoversi. E il tempo che i detenuti trascorrono in carcere deve venire usato per aiutare le persone a riscattarsi e in modo che possano dare dei benefici restitutori alla libertà». «E nel momento in cui un soggetto non è pericoloso rientra in casa sua, entra in un programma sociale con una serie di attività si restituzione del danno attraverso il lavoro e altre cose indicate dal programma» continua.
You may say I’m a dreamer
Ma, chiediamo a Ferrari, in questi anni il movimento no prison ha suscitato polemiche, ha avuto oppositori, c’è stata una parte della popolazione che si è dimostrata contraria a questa idea. «C’è un gran silenzio», risponde con rimpianto Ferrari. «A noi sarebbe molto piaciuto che qualcuno avesse fatto presente la sua contrarietà, e il motivo di tale contrarierà. Invece non ho avuto nessun tipo di critica. Il massimo delle critiche che ho avuto è stato sentirmi dire che sono un utopista, un sognatore, e che un po’ di utopia fa bene alla società”.
«Anche i sindacati della polizia penitenziaria – e da anni scrivo cose pesanti su questo corpo – hanno recensito bene il mio libro, e mi hanno invitato a confrontami con loro, perché hanno molte cose da raccontare».
Ma Ferrari è anche molto deluso dal mondo dell’informazione. «Sui grossi media non riusciamo ad arrivare», racconta. «Anche se inviti a una presentazione un giornalista di un famoso giornale italiano, viene a moderare un dibattito e poi gli proponi “facciamo un articolo per il tuo giornale”, poi dice di no».
Ma c’è un altro ambito dove le istanze del movimento No Prison non vengono ascoltate. «Un mondo che abbiamo cercato e non abbiamo trovato, è l’attuale mondo politico» ci svela Ferrari. «Alcune compagini politiche che non ci sono più, avevano dimostrato una certa attenzione. I politici di oggi ci guardano i marziani. Vorremmo coinvolgere questi mondi, uscire dalla carboneria in cui siamo costretti».
Le manifestazioni organizzate a Venezia e Roma nel 2018 e nel 2019 in collaborazione con le camere penali delle città avevano avuto un buon seguito. «Dal mondo dell’avvocatura e della magistratura c’è stata grande disponibilità», racconta. «I mondi che evitano di confrontarsi con noi sono quelli dei politici. Vorremmo avere la possibilità di far conoscere questa proposta. Se la società sarà matura, per accoglierla come è successo con i manicomi quarant’anni fa, speriamo che si arrivi in tempi non biblici a questo. Noi non demordiamo. In fondo sono idee di pace e conciliazione».
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Livio Ferrari e Giuseppe Mosconi
Perché abolire il carcere. Le ragioni di No Prison
Ed. Apogeo 2021
pp.108,
€ 15,00