UE-TURCHIA: L’ACCORDO METTE IN DISCUSSIONE IL DIRITTO D’ASILO
"Dialoghi" a Medici Senza Frontiere sulle politiche migratorie dell'Unione Europea
07 Luglio 2016
L’accordo UE-Turchia ha segnato un punto di svolta sconvolgente, che porta ad una “esternalizzazione” del diritto d’asilo e che rischia di essere un primo passo verso il venir meno del riconoscimento del concetto stesso di protezione internazionale. È questo l’allarme emerso dal primo appuntamento di “Dialoghi”, una serie di incontri organizzati da Medici Senza Frontiere per dibattere sulle politiche dell’Unione Europea relative ai rifugiati e ai migranti in generale.
Mercoledì 6 luglio, presso la sede di MSF Italia di via Magenta a Roma, erano presenti Stefano Argenziano, coordinatore progetti migrazione di MSF, Antonio Donini, docente all’Università di Tufts negli Stati Uniti e il giornalista Gad Lerner, in diretta streaming e davanti a una platea ricca di esperti del settore umanitario.
L’accordo Ue-Turchia e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati
L’accordo UE-Turchia, brevemente riassunto come soldi (o “aiuti umanitari”) in cambio della fine dell’arrivo dei migranti in Europa attraverso la Turchia, figura come un attacco alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati proprio perché, come sottolineato da Donini, «l’84% dei migranti che passavano attraverso la cosiddetta “rotta balcanica” erano persone che scappavano dalla guerra, con tutti i requisiti previsti dalla Convenzione del 1952». Molto duro Argenziano, secondo cui «siamo di fronte a un accordo che istituzionalizza la possibilità di bloccare l’accesso alla protezione». La cosa più preoccupante, come ha avuto modo di dire Lerner in una delle sue domande provocatorie, «è che questo modello dell’accordo viene valutato in modo positivo dai Governi europei e sembra voler essere replicato anche in altri contesti».
È scritto chiaramente anche nel Migration Compact promosso dal governo italiano, che definisce l’accordo Ue-Turchia come un primo tentativo per iniziare una cooperazione su larga scala con Paesi terzi sul tema delle migrazioni. Questo anche a fronte di risultati discutibili, che nel giro di qualche settimana potrebbero rimetterne in discussione la sua validità. Si continua a parlare però della volontà di un blocco del Sahara e di collaborazioni con paesi africani, «ma dare soldi a Governi spesso corrotti, deboli e incapaci di controllare il territorio», secondo il professor Donini, «al di là di essere eticamente discutibile, non funzionerà».
«Oltre a rappresentare un precedente pericoloso che sembra voler essere modello per il futuro», ha sottolineato invece Argenziano «questo accordo produrrà anche un contagio spontaneo in altre parti del mondo». Come in Kenya, dove il governo vuole smantellare Dadaab, il campo rifugiati dove si trovano centinaia di migliaia di persone in fuga dalla Somalia. È vero che l’intenzione di farlo c’era già da qualche anno, ma se l’Europa, paladina dei diritti umani, mette in atto politiche volte a tenere i rifugiati al di fuori dei propri confini, tutto il sistema internazionale, istituzionale e no profit, ne risente a livello di credibilità. Questo anche perché, come abbiamo avuto modo di scrivere in un precedente articolo, il numero di rifugiati con cui deve (o doveva) fare i conti l’Europa rappresenta una percentuale minima rispetto a quelli di cui si fanno carico Paesi infinitamente più poveri e più piccoli.
Il ruolo delle organizzazioni umanitarie
Arriviamo al terzo punto su cui è virata la discussione del primo “dialogo” a Medici Senza Frontiere: le modalità d’azione delle grandi organizzazioni umanitarie e il dilemma tra la necessità di aiutare e quella di dare segnali importanti in contrasto alle politiche di chiusura delle istituzioni europee. È il caso della rinuncia ad ogni tipo di finanziamento proveniente dalle istituzioni statali europee resa nota da Medici Senza Frontiere dopo l’accordo Ue-Turchia, che sebbene non avrà un impatto diretto e immediato sulle attività messe in campo, riduce le risorse a disposizione per il futuro.
Ma non è solo una questione economica, si va incontro a un dilemma morale tra la necessità di alleviare le sofferenze delle persone e quella di cooperare, direttamente o indirettamente, all’interno di un contesto in cui la politica generale messa in campo è in completo disaccordo alla visione e alla missione di queste organizzazioni umanitarie.
La cosa certa è che la crisi di solidarietà in Europa esiste e si trasforma in politiche di chiusura a causa delle paure delle classi dirigenti legate al modo con cui partiti e movimenti populisti e xenofobi utilizzano il tema dell’immigrazione per aumentare i propri consensi.
Ma è anche vero, e le tante testimonianze riportate anche durante l’incontro lo dimostrano, che in una buona parte della società civile lo spirito di solidarietà è ancora vivo e da questo bisogna ripartire per tornare ad indirizzare le politiche degli Stati e delle istituzioni europee verso quei principi da cui tali istituzioni sono nate. Per farlo avranno un ruolo importante le organizzazioni umanitarie, chiamate ad azioni congiunte e forti anche a livello di informazione e sensibilizzazione della società, per abbattere quell’ignoranza che è alla base di tutte le paure e le intolleranze che generano chiusure e accordi come quello discusso finora.
Le immagini di questa pagina sono di Marianna Karakoulaki e sono state scattate nel campo di Idomeni prima che fosse sgomberato. Dignity Now era la tenda di medici Senza Frontiere