ADHD: ECCO COME LA TECNOLOGIA PUÒ ESSERE D’AIUTO

Cosa le nuove tecnologie possono fare per l’ADHD con approcci che integrano realtà virtuale, neurofeedback e neuromodulazione. Se ne è parlato alla Rome Future Week 2024

di Maurizio Ermisino

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Di ADHD e nuove tecnologie si è parlato nell’ultima edizione della Rome Future Week, in occasione della quale è stata presentata una frontiera innovativa, che sfrutta il potenziale delle innovazioni tecnologiche per trasformare l’approccio al potenziamento cerebrale e al benessere mentale. Un nuovo approccio che integra realtà virtuale, neurofeedback e neuromodulazione, creando il percorso terapeutico personalizzato che mira a migliorare il benessere dell’individuo con efficacia e efficienza. Ne abbiamo parlato con due medici che se ne occupano a Roma con il progetto Bene Essere: il Dott. Simone Capobianchi, tecnico della riabilitazione psichiatrica con specializzazione in Neuromodulazione, e il Dott. Mattia Molinari, esperto in psicologia clinica e tecnico della riabilitazione psichiatrica.

ADHD: un cervello che funziona diversamente

«L’ADHD rientra nelle neurodivergenze, alterazioni nel funzionamento del cervello» ci spiega Mattia Molinari. «Un cervello di una persona con ADHD in termini di neurotrasmettitori – dopamina, adrenalina e serotonina – e di funzionamento rispetto alle onde cerebrali, è in parte diverso da quello delle persone che non hanno l’ADHD. Questo si manifesta in iperattività e deficit dell’attenzione nei bambini e crescendo diventa tutt’altro, fino ad arrivare a dipendenze comportamentali o da sostanze, o ad altri disturbi che mascherano il problema originale». «Nel bambino e nell’adolescente tali dinamiche si sviluppano in una fase primaria» ci spiega Simone Capobianchi. «Ed è in questa fase che è importante intervenire con una prevenzione primaria, perché l’ADHD non trattato si trasforma, in fase adulta, in una problematica più ampia a livello sia patologico che relazionale, sociale».

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«Oggi l’attenzione si sta spostando molto di più sull’adolescente e sull’adulto con ADHD che sui bambini e si lavora molto sulla genitorialità della persona con ADHD»

Si lavora anche sugli adulti

«Oggi è disponibile una letteratura scientifica»,  spiega Molinari, «ma vediamo che paradossalmente l’attenzione si sta spostando molto di più sull’adolescente e sull’adulto con ADHD rispetto ai bambini. Si sta lavorando sulla genitorialità della persona con ADHD: spesso il bambino si ritrova ad avere una predisposizione genetica all’ADHD in un ambiente in cui il genitore ha già questa condizione e quindi mette in atto, se non supportato, comportamenti peggiorativi per la qualità di vita dei bambini. Con una difficoltà ulteriore: se per me è normale che il bambino sia irrequieto, non riconoscerò il suo disturbo».

Un genitore ADHD può avere un figlio ADHD

«È venuto un papà con ADHD scoperta in età adulta e una figlia con la stessa condizione» ci spiega Capobianchi. «È un padre che ha fatto sì che l’attenzione verso quella divergenza lo abbia portato a compensare la figlia su tanti aspetti. È una bambina molto piccola che, a un workshop di un’ora, è stata pronta e attenta. Un genitore ADHD, quindi, può avere un figlio ADHD e fare prevenzione primaria. In realtà bastano pochi dati per accendere spie importanti, ma c’è ancora tanto stigma e un sistema in cui tante persone con difficoltà lieve o moderata non chiedono aiuto o arrivano a rivolgersi ai servizi solo quando la situazione è già grave», spiega Molinari.

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«Bastano pochi dati per accendere spie importanti, ma c’è ancora tanto stigma e un sistema in cui molte persone con difficoltà lieve o moderata non chiedono aiuto o arrivano a rivolgersi ai servizi solo quando la situazione è già grave»

Come funziona la tecnologia per il trattamento dell’ADHD

Ma come può essere d’aiuto la tecnologia? «Sono tre le aree di tecnologia adatte non solo all’ADHD ma anche ad altre condizioni psichiatriche e adatte ad essere utilizzate insieme» spiega Capobianchi. «Sono il neurofeedback, la neuromodulazione non invasiva e la Realtà Virtuale. La VR la utilizziamo per creare un ambiente cucito su misura per la persona. In questo modo riusciamo a usare la neuromodulazione non invasiva per stimolare all’interno di questo ambiente. Abbiamo per esempio un ragazzo ADHD. Attraverso un primo screening individuiamo le aree cognitive con circuiti cerebrali più deficitari, da lì costruiamo il progetto più adeguato. Rcostruiamo un esercizio con VR che lo stimoli a utilizzare la working memory. A seconda delle aree che notiamo costruiamo un percorso ad hoc. Inseriamo un visore in esercizi in cui, ad esempio, debba toccare con mano colori scelti appositamente. Con uno stimolatore indolore diamo scariche a bassissima intensità per creare plasticità cerebrale: le cellule del cervello creano connessioni più forti e più differenziate».

Il neurofeedback

La terza tecnologia è neurofeedback, che permette di imparare a modulare le proprie onde cerebrali. «Si posiziona sulla testa questo apparecchio collegato a un computer che produce il rumore della pioggia che registra le onde cerebrali e le rimanda sotto forma di suono», continua Molinari. «Il rumore sarà più o meno forte se la persona riuscirà a tenere la mente in uno stato di calma o meno. Tutto questo in uno stato di feedback continuo». «In una prima fase si conduce un esercizio di performance cognitiva o atletica potenziata a livello di performance e cerebrale, a cui segue una disattivazione, in cui la persona impara, con il neurofeedback, a portare la sua mente su un’attenzione più rilassata possibile » spiega Capobianchi, che aggiunge come in questo modo migliorino le aree di gestione del pensiero e delle emozioni, oltre alla gestione della socialità.

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