ADOLESCENTI: NON POSSO INCIDERE SULLA SOCIETÀ, INCIDO SU ME STESSO
La campagna Non Sono Emergenza racconta gli adolescenti con un fotoreportage di Riccardo Venturi e un documentario di Arianna Massimi. Venturi: «L’idea è che associazioni e scuole possano attivare i ragazzi perchè siano loro a costruire un percorso»
31 Maggio 2024
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«Come pretendi di far crescere le fragole nel deserto?». Marianna, vittima di bullismo, si è sentita dire questo da una delle insegnanti quando si era deciso di parlare proprio di bullismo in classe. Una frase di rassegnazione e impossibilità di cambiamento. Quello di Marianna è uno dei racconti in Non Sono Emergenza, campagna che indaga il disagio degli adolescenti attraverso un fotoreportage di Riccardo Venturi e un documentario di Arianna Massimi a partire dai racconti dei ragazzi, i dati elaborati dall’Osservatorio Con i Bambini con Openpolis e la partecipazione delle comunità educanti. Qui è possibile aderire alla campagna. «Siamo stati noi a proporre Non Sono Emergenza a Con i Bambini, con cui avevamo fatto una mostra multimediale, Stati d’Infanzia» ci spiega Venturi. «Per realizzare quella mostra abbiamo viaggiato da nord a sud raccontando i problemi dei minori in Italia. È stato un evento importante, con una forte componente video, e il documentario Stati d’Infanzia, realizzato da Arianna. Abbiamo incontrato tanti ragazzi e adolescenti, dai 14 ai 20 anni. E abbiamo capito che il problema del disagio psicologico era una questione emergenziale. Tutti avevano dietro un problema invisibile e trasversale, non legato alla povertà educativa né a quella economica». «Alcuni di loro hanno rotto il ghiaccio e la maggioranza ha iniziato ad aprirsi» continua. «Hanno detto: “ho avuto anch’io attacchi di panico, anch’io la depressione, anch’io ho perso un anno di scuola”. Non era più un problema individuale ma un problema sociale. Così abbiamo proposto a Con i Bambini un focus tra i ragazzi dai 14 ai 24 anni. Questi ragazzi hanno dei problemi che nascono intorno agli 8 anni, si manifestano in età più grande e si trascinano per tanti anni».
Non sono emergenza: attivare le comunità educanti e i ragazzi
Nelle storie di Non Sono Emergenza si parla di ansia, depressione, disturbi alimentari, bullismo e baby gang, identità sessuale e isolamento, eco ansia. La campagna mira a superare una visione emergenziale e fortemente critica sul mondo giovanile per fare emergere le dimensioni del fenomeno nel suo complesso e promuovere il protagonismo delle nuove generazioni. Qualsiasi ente e organizzazione che intende aderire alla campagna può farlo tramite il sito web. Non Sono Emergenza è una campagna partecipativa promossa da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. «L’idea», spiega Venturi «è che le associazioni, le scuole possano attivare i loro ragazzi in modo che siano loro a costruire un percorso espositivo, un evento, creare un dibattito su queste storie. Cercare di attivare le comunità educanti e i ragazzi».
Sapere che c’è qualcuno disposto ad ascoltare
Quando si tratta di ascoltare storie così delicate come quelle che abbiamo ascoltato con Non Sono Emergenza, la chiave è sempre quella di riuscire a entrare in contatto con chi le racconta, spingerli a fidarsi, ad aprirsi. «Ho 32 anni», interviene Arianna Massimi, «e quando ci sono disturbi e tematiche che riguardano la parte femminile di giovani adulti, vedere che c’è una componente femminile e giovane nel team mette a proprio agio. Senza spettacolizzare il dolore ci mettiamo in una dimensione di ascolto, confronto e dialogo: se un adolescente ha come prerogativa quella del “nessuno mi capisce”, sapere che dall’altra parte c’è un giovane adulto e che c’è qualcuno disposto ad ascoltare aiuta i ragazzi ad aprirsi».
Gli adulti fanno fatica
«Come pretendi di far crescere le fragole nel deserto?» Quella frase ha colpito molto Marianna, che l’ha annotata sul diario, tanto da farne il manifesto di quelle parole che, in certe occasioni, non vanno dette. È il sintomo di una certa indifferenza o leggerezza con cui il mondo adulto prende certi problemi dicendo semplicemente che non si possono cambiare le cose. «Ci ha colpito molto, come ha colpito lei» spiega Venturi. «È nata quando aveva nove, dieci anni. È una di quelle frasi buttate lì, un po’ a casaccio, che uno con leggerezza dice e non capisce quanto possano incidere nella testa di un bambino o di un adolescente. Questo senso di sconfitta, di gettare la spugna prima ancora di iniziare a formarti. Non credo ci sia cattiva volontà da parte degli adulti, è forse dimenticare di essere stati bambini o adolescenti oppure essere impreparati» continua. «Oggi gli adulti fanno fatica a entrare nel mondo dei social, in cui, invece, i ragazzi sono immersi. Facciamo a metterci nei panni di un ragazzo che non riesce a scollarsi da Tik Tok, dove si è costruito un’identità forse per lui anche più importante di quella reale».
Incertezza e impotenza
Con Non Sono Emergenza abbiamo conosciuto Marianna, Lavinia e Rosa. Le loro storie, molto toccanti e raccontate cono onestà e naturalezza, ci hanno portato a riflettere sulla depressione e sul bullismo, sui disturbi alimentari, sull’ansia. «Le sfumature che separano una storia dall’altra possono essere importanti, alcune hanno un percorso clinico, un disagio più profondo, altre uno più controllato» spiega Venturi. «La mia sensazione è che questi ragazzi vivano un sentimento di incertezza, di paura di crescere; la sensazione che qualsiasi cosa facciano sia ininfluente nei confronti della società. Il fatto di essere reattivi nei confronti della società, di volerla cambiare, che era tipico degli adolescenti, è venuto un po’ a mancare. Mi sento di non poter incidere né nella società né sul futuro perché c’è una guerra alle porte e c’è stato il lockdown. E così c’è una controreazione: non possono incidere sulla società, incido su me stesso».
Soli anche insieme
Si parla anche di sogni. Marianna dice che in tanti hanno il sogno della carriera, di arrivare da qualche parte. «Il mio sogno è essere serena» ribatte lei. Ed è bellissimo perché semplice, e disarmante perché vuol dire che lei non lo è. Il sogno della carriera e quello della serenità in teoria sono antitetici. «La cosa ha molto a che vedere con una serie di solitudini» interviene Arianna Massimi. «I ragazzi condividono l’assenza di una comunità. Da un altro lavoro che sto facendo uno dei temi che esce più spesso è che i ragazzi si sentono soli anche nello stare insieme. Manca il confronto con l’altro e quindi anche un senso di serenità quando pensano a un’opportunità lavorativa: il lavoro diventa dovere e non realizzazione di se stessi». «Il lavoro visto in questa chiave diventa competizione, scontro con l’altro» riflette Riccardo Venturi. «Quando sei un giovane, un adolescente ed entri nel mondo del lavoro, come nello studio, ti rendi conto che per farlo devi schiacciare gli altri, devi sgomitare. E cresce un’ansia di riconoscimento, secondo cui se non sei una persona di successo sei bannato dalla società. Per questo la ragazza mette in contrapposizione a questa strada la serenità».
Ansia e depressione, non solo poca volontà
Una ragazza dice che la generazione Z è quella che ha aperto il discorso sul male oscuro. La depressione, il male di vivere c’erano sempre. Ma ora sono venuti fuori. Se ne parla, si accetta di ascoltare. «Nel parlare con i ragazzi mi sono resa conto che quello che sta succedendo oggi è un’onda lunga che vedevo già quando avevo io 16 anni» risponde Arianna Massimi. «La questione delle problematiche legate alla salute mentale era già venuta fuori. Quando andavo al liceo c’erano persone che avevano disturbi alimentari, ansia. Ora ha iniziato ad emergere con forza e i social hanno iniziato a fare da cassa da risonanza: su Tik Tok ci sono tantissimi giovani adulti che parlano delle proprie esperienze e le condividono. C’è voglia di mettere l’accento sul fatto che non si può più pensare che avere un disturbo d’ansia, depressione, sia legato solo al fatto di avere poca forza di volontà. Che sia liquidato con le vecchie frasi “perché non ti alzi dal letto?”, o “stringi i denti e vai avanti”».