AFFIDO. NEL LAZIO IL REGOLAMENTO C’È, MA BISOGNA RENDERLO OPERATIVO
Piena operatività della legge nazionale, sostegno alle famiglie affidatarie, programmazione, ricostruzione delle reti di supporto: i temi aperti dell'affido
di Paola Fabi
11 Luglio 2019
Reinventiamo l’affido «per adeguarlo a una realtà storica e a una società completamente diverse da quelle che c’erano quando questo istituto legislativo ha mosso i primi passi». Maria Grazia Viganò, vicepresidente dell’Associazione Insieme, ne è convinta e, malgrado le inchieste degli ultimi tempi abbiano gettato una luce sospetta sull’affidamento temporaneo dei minori, difende la legge italiana, ma chiede alle istituzioni un dialogo costante e una collaborazione continua, come quella che ha portato pochi mesi fa al Regolamento per l’affido della Regione Lazio. «Un lungo lavoro», spiega Viganò, «che ha visto impegnati i rappresentanti regionali, quelli del terzo settore e i servizi sociali e che definisce con chiarezza cosa sia l’affido, quali sono gli interventi da attuare, tra i quali la prevenzione dell’allontanamento del minore dalla propria famiglia, le finalità e gli obiettivi, i soggetti che sono parte del progetto dell’affido: i bambini, la famiglia di origine e quella affidataria. Nel Regolamento del Lazio sono stati articolati tutta una serie di obiettivi e di modalità di intervento da parte del servizio sociale e del terzo settore e di tutti gli attori coinvolti a livello istituzionale: il tribunale dei minori quando c’è, la Regione Lazio nelle sue funzioni».
L’affido è stato sempre guardato con pregiudizio per mancanza di conoscenza o per una scarsa cultura dell’accoglienza?
«Il pregiudizio è difficile da sradicare. In realtà non c’è una grande conoscenza di questa possibilità di aiutare un minore in difficoltà e la sua famiglia. Gli addetti ai lavori, e le famiglie affidatarie come la mia (dal 1988), però hanno notato una grossa evoluzione negli ultimi anni soprattutto per i cambiamenti della società. Adesso anche le famiglie normali vivono problematiche diverse da quelle di venti anni fa e sono diminuite quelle disposte a dare accoglienza. E non bisogna dimenticare che gli affidi familiari sono complessi e non tutti possono sostenere i problemi che si presentano: prendere un bambino, a seconda della fascia di età e della problematicità della famiglia di origine, è un bell’impegno che richiede una certa dose di disponibilità, non solo economica, ma affettiva ed evolutiva. Senza contare le problematicità che possono esserci se ci sono anche figli nella famiglia affidataria».
Cosa chiedete alle istituzioni?
«Chiediamo, come associazioni che lavorano in questo settore, sostegno e aiuto per le famiglie affidatarie. Purtroppo nel corso degli anni il sistema che doveva essere di supporto a queste realtà si è un po’ sgretolato: non ci sono più investimenti economici, manca tutto il lavoro per la costruzione di percorsi di aiuto per le famiglie. Adesso si lavora molto sull’emergenza perché i servizi sociali sono oberati e prima di fare un progetto di affido aspettano che ci sia un procedimento del tribunale per i minori (e questo vuol dire che se si è arrivati a questo punto la situazione è già molto complessa e la possibilità di recupero del rapporto tra il minore e i genitori molto compromessa ). Negli anni ’90 invece, questo lavoro esisteva e io, per esempio, ho fatto tutti affidi consensuali e non giudiziari».
Quali sono i problemi aperti a livello legislativo?
«Quella italiana è una buona legge forse non attuata completamente nella sua complessità. Le associazioni, che fanno parte del Tavolo nazionale Affido, chiedono però di renderla operativa in tutte le sue parti. Per esempio nel 2015 con la 173 sulla continuità degli affetti è stato avviato il discorso di come aiutare tutti i soggetti coinvolti, così da evitare i passaggi che troncano in modo drammatico i rapporti con la famiglia, sia con quella di origine che con quella affidataria. Oppure, se si arriva all’adozione sarebbe utile anche valutare se gli stessi affidatari sono idonei all’adozione ed evitare l’allontanamento del bambino. Sono subentrati, quindi, una serie di elementi che ancora devono essere lavorati all’interno dell’operatività di servizi e degli strumenti che ci permettono di vivere bene alcune situazioni, che però poi è difficile fare diventare prassi».
La vostra esperienza com’è stata?
«Noi abbiamo avuto la fortuna di mantenere i rapporti con tutti i bambini che abbiamo avuto in affido e siamo anche riusciti a costruire buoni rapporti con le famiglie. Però, purtroppo, non per tutti è stato così: ci sono purtroppo delle situazioni traumatiche che non fanno bene né ai bambini, né alle famiglie».
C’è sensibilità da parte delle istituzioni?
«La sensibilità da parte istituzionale non emerge molto a livello di informazione, ma in realtà c’è. Noi che ci lavoriamo vediamo che c’è uno sviluppo di una serie di percorsi che, però, vanno continuamente stimolati. Siamo arrivati ad avere questo regolamento regionale con un grosso lavoro di interazione ma anche di stimolo. Ora bisogna renderlo operativo sui vari territori e farlo recepire dai Comuni e anche questo è un passaggio lunghissimo. Il Tavolo regionale Affido, inoltre, continuerà a lavorare per il monitoraggio».
E i controlli?
«Dovrebbero esserci già perché l’iter stesso li prevede. È vero anche che ci sono delle differenze tra i vari servizi sociali e non tutti operano in modo impeccabile. La vicenda di Reggio Emilia, che è comunque ancora da chiarire, a tutti quelli che operano nel terzo settore ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, ma anche molte domande. Si è parlato molto del discorso economico, ma tutti quelli che operano in questo ambito sanno che di soldi ce ne sono sempre pochi quando si parla di affido (200-30 euro, al massimo 400 come rimborso spese). Con l’affido non si arricchisce nessuno. Inoltre, se le notizie uscite sono vere, vuol dire che tutto il sistema è stato coinvolto ed è colluso. Nel Regolamento del Lazio vengono date delle indicazioni anche sulla tipologia di contributo da dare alle varie famiglie affidatarie che, dalle analisi fatte sul territorio, era un po’ a macchia di leopardo e con differenze notevoli. Ora, invece, tutti devono attenersi al regolamento per il contributo da dare».
Cosa resta da fare?
«C’è tutto ancora da fare a cominciare dalla ricostruzione delle reti di supporto, programmazione, risorse accoglienti, famiglie che si rendono disponibili ad aiutare quelle più fragili. Un lavoro che potrebbe aiutare le persone a conoscere l’affido e con passaggi graduali arrivare alla vera e propria accoglienza di un bambino in difficoltà. Noi, per esempio, che negli anni ’90 abbiamo lavorato sull’affido adesso ci stiamo orientando su qualcosa di diverso, le famiglie solidali: rendersi disponibili a piccole esperienze di aiuto e sostegno che ci permettono di misurarci e capire in che modo arrivare all’affido».
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Il video promozionale sull’affido a cura di Famiglie Solidali Bassa Sabina è tratto dal sito del Tavolo nazionale Affido.