TERREMOTO. DALLE MACERIE RINASCE LA VITA. E SI CHIAMA NORMALITÀ
A due mesi dal sisma i campi sono chiusi. Gli aiuti per il terremoto ora sono indirizzati a casa, lavoro, negozi aperti...
24 Ottobre 2016
«Ho avuto esperienza di aiuti per il terremoto all’Aquila e in Emilia, ma qui ho fatto cose che non avevo mai fatto. Il 24 agosto a mezzogiorno ero ad Amatrice e ho scavato con ANC (Associazione nazionale Carabinieri) Roma Litorale. Insieme abbiamo tirato fuori 40 defunti. Molti con indosso il pigiama, alcuni che si tenevano stretti tra loro. Giovedì notte sono tornato a casa con addosso l’odore della morte.
Poi c’è stato l’impegno a Sommati e l’ho affrontato con più energia, con la consapevolezza che un sorriso poteva essere più importante di qualsiasi altra cosa. Quando la gente è disperata devi dare il meglio di te stesso: la tua umanità. E i cittadini di Sommati proprio di questo mi hanno ringraziato».
Cristiano Bartolomei , presidente dell’associazione Brigata Garbatella e presidente regionale di Prociv Italia Lazio ha vissuto intensamente la prima fase del terremoto e ha tra l’altro diretto il campo di Sommati. Campo ora chiuso, come tutti gli altri.
Soddisfatto del lavoro svolto?
«Sì, e devo ringraziare tutti, a partire dall’ex direttore della Agenzia regionale di protezione Civile, Gennaro Tornatore. È stato grazie a lui – e ai funzionari dell’Agenzia, che ancora lavorano sul posto – se i campi sono stati affidati, per la prima volta, ai coordinamenti delle associazioni: COREIR, FEPIVOL, ANC, PROCIV, COV, AEOPC, ANVVC, ANPAS».
Gli aiuti per il terremoto sono arrivati velocemente?
«Il 24 alle 4.15 il coordinatore della SOUP (
E sono stati efficaci?
«Sì, hanno funzionato bene. Rispetto al passato, questa volta c’è stata più fiducia e più valorizzazione nel volontariato. È chiaro che qualche cosa che non funziona c’è sempre, ma in questo caso non dipendeva dai soccorritori. La macchina dei soccorsi si è incastrata sui problemi della viabilità: i mezzi rimanevano bloccati lungo le strade, già strette di per sé, intasate dalle macerie. Si dovrebbero poi fare dei ragionamenti più a lungo termine: ad esempio, andrebbero attrezzate meglio le colonne mobili, investendo su bagni e docce, per i quali adesso si fa riferimento al Dipartimento nazionale della protezione civile».
Avete lavorato duramente per due mesi. Ora i campi sono chiusi.
«I volontari hanno lavorato senza risparmiarsi, a volte con una forza disumana. Carlo Grossi è un volontario di Ares 118, con esperienza di soccorso di altri terremoti precedenti. Ha tirato fuori dalle macerie prima la moglie ferita ma ancora viva, poi i due figli ventenni, morti. Eppure ha continuato ad aiutare, non ha mollato.
E c’è stato anche chi ha pagato di persona, come Rino de Simone, volontario di ANC Roma 1, che due settimane fa è finito sotto una piccola ruspa. Lo ha salvato un altro volontario, che ha avuto la presenza di spirito di chiamare immediatamente l’elisoccorso e di dare la localizzazione giusta. È grave, ma per fortuna non in pericolo di vita.
Adesso i campi sono chiusi, non ci sono più cittadini ospitati nei campi. Su richiesta del sindaco sono ancora in funzione quattro cucine da campo, ad Amatrice, Sommati e Torrita: danno da mangiare ai soccorritori, alle forze dell’ordine, ai cittadini che sono rimasti in zona. Alcuni infatti sono riusciti ad organizzarsi in roulotte o camper per non lasciare le loro case. A Sommati solo noi abbiamo fatto arrivare 5 roulotte e due camper. E ci sono anche quelli che in un primo tempo hanno accettato di andare negli alberghi lungo la cosa, dove era stata offerta loro ospitalità, ma dopo pochi giorni sono tornati, perché non sopportavano di restare con le mani in mano. Per queste persone rimaste sono ancora in funzione alcuni bagni con docce dotate di acqua calda».
Come ha reagito la popolazione?
«La prima settimana erano – ed eravamo – dilaniati dal dolore. Tutti avevano come minimo un figlio, un parente, un amico sotto le macerie. A volte molti. Dopo, quando hanno visto il nostro lavoro di soccorso – che è stato anche psicologico – hanno ricominciato a guardare avanti, al futuro. E ad aiutarci come potevano nel campo: nel servizio mensa, nelle pulizie… Oggi hanno soprattutto bisogno di normalità».
C’è ancora bisogno di aiuti per il terremoto?
«L’ho detto, c’è soprattutto bisogno di normalità. Il problema sono i giovani che vanno via, gli anziani che sono morti bianche: sradicati da tutto sono completamente persi. Bisogna riprendere la vita. Lo Stato e le Regioni devono costruire in fretta le casette di legno per chi vuole restare, e devono pensare anche alle seconde case, che lì sono vitali. E poi bisogna riportare il lavoro: bisogna riaprire i ristoranti, i bar, i negozi, i giornalai… Stiamo facendo un’iniziativa di raccolta fondi con la partecipazione di Angelo Bonanni, chef del ristorante “La fattoria” di Sommati. Ecco, invece di tenere lì le cucine da campo, bisognerebbe aiutare il ristorante a riaprire, poi sarà lui a distribuire i pasti».
E il volontariato cosa può fare?
«Tante cose: i nostri volontari di Prociv Italia hanno mandato su due TIR di balle di fieno e mangimi. Ma servono anche tensostrutture per proteggere durante l’inverno gli animali, che attualmente sono all’aperto. Sono solo esempi: nel pensare gli aiuti per il terremoto, il volontariato deve individuare bisogni specifici e rispondere a quelli. Soprattutto, c’è bisogno di tanto calore da questo Paese a questa gente».
Cosa si è portato a casa, da questa esperienza?
«Che cosa mi porto a casa? Tanti amici. ANC Lazio, Falchi di Fondi, protezione Civile Comunale di Monterotondo… ragazzi speciali, che cucinavano con un sorriso ma che con lo stesso sorriso si rendevano disponibili a montare tensostrutture. E poi devo dire un grazie speciale agli uomini del Genio civile, instancabili. Insieme abbiamo scavato una fogna di 1 KM e mezzo in 22 ore. Alla fin fine, lo Stato siamo noi».