ALLA FINE DI OGNI COSA. LA STORIA DI GIPSY TROLLMANN, CHE SFIDÒ IL NAZISMO
Sinti di Hannover, Rukeli vinse il titolo dei medio-massimi nella Germania di Hitler. "Alla fine di ogni cosa" racconta la sua storia di dignità e coraggio
12 Gennaio 2017
Ogni volta sale sul ring saltando le corde Johann Trollmann. Ed ogni volta sfida se stesso e il suo avversario, il mondo, le luci accecanti al centro del quadrato, il peso e la gloria di chi osanna il suo nome con uno stile tutto suo, più vicino ad una danza che ai movimenti di un combattente. Il talento, l’allenamento, un fare fuori dalle righe, una boxe che nessuno aveva mai visto lo strappano alla comunità sinti di Hannover per trasformarlo nel pugile zingaro della Germania nazista degli anni Trenta.
Da una casetta da cui pescare nel fiume alla mattina stando a letto, in viaggio fino a Berlino. Anni di allenamento, di vittorie e sconfitte, di cadute e riprese lo trasformano in Gipsy Trollmann, come lo chiamava chi ne seguiva le sorti ad ogni incontro. Lui, che era stato da sempre Rukeli, un albero, dalle radici stabili e forti, ma dalle fronde libere di muoversi nel cielo. La strada per il titolo non è certo breve, ma Rukeli ci crede e combatte. Combatte e va avanti.
Quella di Rukeli non era una storia, ma una sfida…
Intorno a lui, però, qualcosa sta cambiando: prima tra gli spalti, dove il marrone ed il nero di nuove divise cariche di niente di buono va allargandosi come una macchia d’olio, poi per le strade, nelle piazze, nelle menti, negli incubi.
È Hitler con la sua poetica dell’odio. Un odio dal percorso subdolo prima, dichiarato poi, sempre più stringente, che si respira, cresce, ogni giorno.
E mentre Rukeli vince e il titolo assomiglia sempre meno ad un sogno, Hitler porta avanti la sua personale battaglia. La data fatidica per l’incontro valido per il titolo arriva: «La prima volta che ho sentito il nome di Rukeli Trollmann avevo appena finito di allenarmi al sacco. Con le mani ancora fasciate e i guantoni, appresi la vicenda del pugile a cui il Nazismo aveva tolto il titolo di campione perché “zingaro”. Per tutta risposta, la volta dopo Trollmann era salito sul ring con il corpo cosparso di farina, i capelli tinti di giallo, si era lasciato battere. Quell’uomo aveva messo in scena la sconfitta dello stesso fanatismo ariano che ora lo crocifiggeva; aveva avuto il coraggio di guardare dritto in faccia il grande male del Novecento. Mi resi conto che quella non era una storia qualsiasi, era una sfida. E dovevo seguirla».
La vittoria alla fine di ogni cosa
Mauro Garofalo racconta la storia di Gipsy Trollmann nel suo con una narrazione attenta alle sfumature, delicata, accorata. Il suo Alla fine di ogni cosa (sottotitolo: “Romanzo di uno zingaro”) (Frassinelli) riesce a trasmettere l’intreccio complesso e profondo tra una storia e la Storia con la S maiuscola; riesce ancora una volta, e se ce ne fosse ancora bisogno, a trasmettere la forza dello sport, che crea vicinanze umane laddove tutto è adibito alla divisione.
Riesce a far vivere e sentire tutto il dolore, tutto l’orgoglio, tutto l’amore per se stesso, le proprie tradizioni, la propria storia che Rukeli porta con sé sul ring. L’incontro per il titolo, accordato inaspettatamente dalla Federazione pugilistica tedesca, lo vede contro Witt, incarnazione dell’ideale pugile ariano tanto amata da Hitler. Una beffa. Quel titolo Rukeli se lo vedrà strappare via. E affronterà tutta la più grande barbarie umana. «L’unica ragione nella vita era il prossimo colpo. Ho visto tutti i miei colpi, pensò mentre lo facevano mettere in ginocchio. Cercato la precisione in ogni gesto. L’intensità in ogni giorno. Johann chiuse gli occhi».
Nel 2003, come scrive Garofalo in nota al libro, «la Bund Deutscher Berufsboxer, la Federazione pugilistica tedesca, ha riconsegnato ai famigliari di Johann Trollmann la corona di campione dei pesi medio-massimi».