LE PERIFERIE DIVENTANO CENTRO CON L’ANIMAZIONE SOCIALE
Occorre ripensare le comunità, in un'epoca in cui il 69% della popolazione vive nelle città
09 Giugno 2016
Pubblichiamo il testo dell’intervento di Eugenio De Crescenzo al convegno CANTIERE APERTO. Periferie: adesso parliamo noi.
Il sommovimento a cui abbiamo assistito nel concetto di CENTRO/PERIFERIE, cioè di quel segno tracciato quale confine del dato territoriale, una sembianza di avviso, un avvicinamento al limite e la certezza di una differenza in un omogeneo normato, si è trasformato in un filo d’arianna nel labirinto delle relazioni tra:
- Prodotto e consumo
- Conoscenza ed esclusione
- Connessione e sconnessione.
Davanti a questo gomitolo è forte la tentazione di tirare un filo, un filo qualsiasi a caso: non ci troviamo a confrontarci quindi con aree vocate negli spazi urbani ma, al contrario, con sovrapposizioni di senso e di funzioni: non centralità carismatiche, ma policentrismi dinamici.
La città industriale con attorno il proprio agro prevedeva gerarchie territoriali certe, tramite l’identificazione di quartieri che di fatto rappresentavano la demarcazione sia delle funzioni, sia delle classi sociali. La successiva pressione demografica, che in seguito si è sviluppata, ha provocato lo scardinamento delle scansioni. Dai dati rileviamo che i territori urbani sembrano destinati a triplicarsi, infatti rappresentano: nella UE il 75%, in Giappone il 93%, negli USA l’81%, in Cina il 54%, in Italia il 69%, in Francia il 79%.
È lecito quindi chiedersi: stiamo entrando in una era periferica?
Affinare gli strumenti di analisi
Se ciò fosse vero, avremmo bisogno di una analisi dei conflitti di potere che si addensano in una area così rappresentativa a crescita spesso incontrollata.
Quindi l’affinamento degli strumenti di analisi per analizzare e capire il contesto in svolgimento è la premessa per poter capire e affrontare un fenomeno complesso nei luoghi ove si stringono e vivono la maggior parte degli umani, forse ancora non convintamente o consapevolmente cittadini. In particolare tra gli altri sicuramente:
- Un censimento umano fisico e catastale
- La inviduazione degli elementi maggiormente contraddittori
- Le disuguaglianze critiche
- La composizione dei poteri materiali e immateriali
- I livelli di bassa pressione istituzionale
- La quantità e la qualità delle azioni informali
- La contrazione degli spazi collettivi.
A significare un cambiamento strategico nella gestione degli spazi metropolitani va segnalato un nuovo modello d’ invasione, e gli agenti sono i Fondi Sovrani che tramite la finaziarizzazione delle ricchezze scavalcano i confini e si impossessano di parti delle città caratterizzandone qualità e uso (Londra e in parte Parigi).
Riscoprire la Civitas
La ricerca che quindi auspichiamo è il ritrovamento della Civitas intesa come Comunità Consapevole.
Anche una delle organizzazioni geopolitiche più strutturate, coma la Chiesa, con una storia fortemente accentrante, ha attuato recentemente un ribaltamento della propria centralità, intanto scegliendo un Papa che che si è definito come «proveniente dalla fine del mondo…» ed in seguito affermando nella enciclica Evangelii Gaudium l’urgenza di «uscire dalle proprie comodità e raggiungere tutte le periferie»… Periferie geografiche ed esistenziali. Viene ripreso il concetto che lì dove tutto iniziò, la Giudea, era periferia del mondo, facendo nascere l’idea che forse la “realtà” si vede meglio guardandola dalla periferia.
È evidente che gli spazi che controlliamo, quelli assimilati, non ci trasmettono dubbi, sono le nuove emergenze o stratificazioni che provocano dubbi, che aprono a nuove realtà. Quindi la chiave delle conoscenza e della scoperta può produrre la parola appartenenza, un’appartenenza conquistata, un’intelligenza collettiva che si sprigiona creando personalità, quello che i latini chiamavano deus loci.
Anche la segregazione o la specializzazione provocano la creazione di una personalità, ma il loro contrasto può essere organizzato con una scelta dal centro? La disuguaglianze fisiche e psicologiche possono essere affrontate senza scendere sul terreno?
Valorizzare le identità nel decentramento
Noi crediamo di no! Crediamo che non sia possibile. Ad esempio l’ipotesi avanzata in Francia della Metropole du Grand Paris, macroregione da 7 milioni di abitanti, ci appare una azione di un razionalismo sconfortante e non per la vastità della progettazione ma per la governace direttiva.
Invece, la faticosa definizione delle identità agite nel decentramento, nell’autonomia, in un equilibrio in continuo aggiornamento tra le comunità abitanti, intercalati da interventi macro e micro di riqualificazione (trasporti/mobilità, rifiuti/ambiente, cultura/partecipazione), rappresentano quel complesso di scelte che possono produrre una identità attiva.
È probabile che in Italia ci sia una finestra specifica per sperimentare queste mutazioni territoriali, attraverso scelte a vantaggio, possibili solo per delle nostre specificità : non siamo mai stati un vero impero, non ci siamo mai sentiti una vera nazione. In questo spazio di mancanze trovano possibilità i grandi interventi informali che si sono realizzati nelle città. L’obbiettivo dei prossimi anni potrebbe essere quello di digerire e integrare l’informale.
Così si vince l’anticittà
L’architetto Boeri parla di città-anticittà, attraverso la creazione di una dinamica bipolare ove per anticittà si identifica il degrado delle infrastrutture, dei servizi, degli edifici, la perdita degli scambi sociali e culturali, la sicurezza, «l’appartenenza allo spazio urbano come bene pubblico».
Nel trattare quindi la trasformazione che il concetto di periferia ha avuto dal novecento possiamo immaginare che sia utile rilevare:
- La densità degli spazi.
- La varietà dei comportamenti culturali presenti nelle comunità.
Di fatto nelle città italiane le periferie si insinuano nel tessuto stabilizzato sovrapponendosi e intrecciandosi (Roma, Napoli, Genova, Milano).
L’attenzione principale va portata verso la qualità della condizione urbana, quindi intensità degli scambi tra comunità, gruppi e popolazioni in una cornice “certa”, attraverso alcuni principi che permetto lo svolgimento della rigenerazione:
- Il contenimento della separatezza
- La modalità e il metodo di esprimersi attraverso la partecipazione
- La credibilità dell’ organismo istituzione nel coagulare la concentrazione delle esigenze in proposte e progetti.
Ad esempio sul piano operativo è della massima importanza valutare gli spazi vuoti presenti nel tessuto urbano, e dei locali o delle infrastrutture inutilizzate per la qualità urbana.
La difesa delle iniziative informali nate, anche attraverso le valutazioni collettive di vantaggio.
Le iniziative di conoscenza e contaminazione culturale con altri territori urbani – ad esempio esiste a Roma una ricchezza incredibile luoghi e di circuiti – presidi sociali, culturali, ambientali, teatri, biblioteche.
La centralizzazione delle organizzazioni di livello superiore e generale devono diventare la premessa per la conoscenza culturale dei territori attraverso gli strumenti principali della socializzazione come lo sport, la scuola, la mobilità.
La rigenerazione chiede animazione sociale
Il senso di appartenenza, punto cruciale della civitas, non si costruisce dall’oggi al domani, ma con piccoli passi che permettano di far percepire, che il proprio destino personale è legato a quello collettivo. È questo il motivo per cui è inutile pensare di lasciare in mano la rigenerazione urbana ai tecnici, ma solo a scelte politiche mirate, in un orizzonte medio periodo (10 anni) in cui potranno avere effetti di sostanziale cambiamento che favoriscano la trasformazione compartecipata dello spazio, insomma un effetto murales.
La conformazione ad arcipelago di Roma è una eredità di caos che può favorire la rigenerazione, se partiamo dall’idea che la spinta primaria della rigenerazione urbana è “l’animazione sociale”.
Noto che, nell’intervista rilasciata dal Ministro Franceschini a “Limes” sul numero dedicato alle periferie, la rigenerazione urbana viene identificata come una «grande occasione architettonica e urbanistica», non una grande opportunità sociale.
Per questo sposiamo l’idea degli operatori culturali, di un Assessorato all’Ascolto, per attuare un’azione professionale, articolata, diffusa, che si prefigga di dar voce agli aggregati territoriali, che con modalità codificate sappiano interloquire ed ispirare scelte di comune accordo con le comunità attive dei cittadini, oltre alla proposta dell’Auditorium di Municipio in cui possa essere veicolata la programmazione dei grandi attrattori cittadini dando vita ad una distribuzione culturale decentrata e quale riferimento delle iniziative delle comunità territoriali.
Il progetto presentato per il Giubileo per i Romani della creazione dei Presidi sociali, culturali e ambientali sui territori quali spazi aperti di partecipazione e di proposta.
Concludo con una nota positiva per l’argomento periferie, che sembra aver raggiunto una centralità nella comunicazione: la Biennale di architettura di Venezia di Alejandro Aravena, un cileno, anche lui uomo di periferia, che ha organizzato la rassegna partendo da una domanda: come si misura l’architettura che contribuisce con i propri mezzi a ridurre le disuguaglianze, a mitigare le sofferenze è i disagi?
Ci sembra una buona domanda.