APRILIA, ANDREA SATTA: I BAMBINI, ULTIMA FRONTIERA DELL’ASCOLTO

Ad Aprilia Andrea Satta ha portato il suo libro e il suo monologo teatrale, La fisarmonica verde. «Non c’è paragone con la capacità dei bambini di fare domande, che chiedono cose che ci si chiede di fronte al mare»

di Paola Romano

Scrittore, musicista, chansonnier, attore. Andrea Satta è noto ai più come il cantante dei Têtes de Bois. Ogni giorno, fa il pediatra nella periferia romana, un rapporto con la vita reale che ne caratterizza l’opera e la fantasia. Una lunga carriera, con tanti riconoscimenti, tra musica, teatro e letteratura, quindi, il monologo teatrale e il libro La Fisarmonica verde, presentato ad Aprilia il 6 maggio, una delle iniziative rivolte alle scuole organizzate nell’ambito del Patto educativo di comunità. «Una storia importante», ricorda l’autore «la storia di mio padre». Un passaggio di memoria che coinvolge tre generazioni e che accade in un viaggio.  In occasione delle loro vacanze di Natale, Andrea e suo figlio Lao di 12 anni partono su un pulmino giallo alla volta di un paesino al confine con la Polonia. Macinano chilometri, scanditi dal dialogo tra i due protagonisti, per trovare quel campo di concentramento nazista di Lengenfeld, vicino Dresda, dove era stato prigioniero Gavino Satta, padre di Andrea e nonno di Lao. Militare Italiano Internato dopo l’8 settembre del 43, «perché non aveva voluto combattere con i repubblichini di Salò», “Gavino Esse” in quel posto di orrori ci era restato due anni. Poi, la mattina del 14 aprile 1945, dall’alto della collina, dove era stato mandato a cavare patate, aveva visto il lager furher, Hartman, costringere i prigionieri a rientrare nelle baracche per poi dargli fuoco. Morirono in quaranta. Nonno Gavino lo denuncerà al commissariato americano, perché di lì a poco sarà liberato e, sul lungo cammino di ritorno verso casa, verso la vita, troverà una fisarmonica verde smeraldo.

La Fisarmonica verde narra del viaggio con tuo figlio, ora ventenne, per dirgli di quel nonno che aveva perso piccolissimo. Un’esperienza che, al vostro ritorno a casa, ti è sembrato necessario fermare su carta.   

Andrea Satta
La Fisarmonica verde è una delle iniziative rivolte alle scuole organizzate nell’ambito del Patto educativo di comunità

«Sì, è proprio così. Una scelta che ho fatto perché purtroppo mio padre non c’è più. Tuttavia, sapevo che dovevo raccontargli delle storie anche dure, aspre, anche faticose da accettare, perché è vero che i nostri bambini devono vivere nell’allegria, nella leggerezza, nella spensieratezza, ma forse ogni tanto anche nella realtà e non nel mondo parallelo alla realtà.  Dobbiamo sapergli dire le cose vere. Dobbiamo scegliere il giorno, il momento, l’occasione per aprire su di loro un canale di disponibilità ad ascoltarle, perché tanto le incroceranno comunque. La separazione dei genitori, chi ce l’ha e chi non ce l’ha separati. Il nonno che sta male. Nelle famiglie capitano. Dobbiamo avviarli a poter sopportare la fatica di una realtà che, a volte, è un po’ impegnativa. E che, a quel punto, diventa un valore. Perché noi capiamo il bianco dalla presenza del nero. Sì! E’ stata un’esperienza importante che lo ha cambiato e gli ha dato una lettura del mondo e, io ora sono ancora più fiero di lui».

Raccontare questa storia ai ragazzi, “anche solo di otto o nove anni”, perché anche loro “possono benissimo avvicinarsi, emozionarsi e capire, ma senza usare un codice linguistico infantile”.

«Sì! Non ho usato diminutivi, nessun “bambinese”. È un libro che un adulto legge benissimo, però so che ci ho messo dentro degli elementi che per i bambini sono attraenti e funzionali, perché loro ne restino agganciati».

Perché hai scelto il viaggio per questo passaggio di memoria?

«Perché il viaggio ha un tempo, ha un oggetto transizionale dentro, che è il fatto che dinamicamente succede qualcosa mentre tu stai con un’altra persona e questo crea la possibilità. Se un regista vuol dire a un attore di fare bene una cosa gli dice: “Fallo mentre hai una penna in mano. Dillo mentre scrivi. Dillo mentre impasti il pane. Dillo mentre stai in bicicletta”. Fare un’altra cosa ti assorbe, ma ti lascia anche quella spontaneità che ti rende più libero. Il viaggio ha la capacità di fare accadere qualcosa dentro la nostra vita, oltre al fatto che ci confidiamo con qualcun altro. Perché è un’occasione dove c’è una dinamica di vita che fluisce, che scorre nonostante noi, che ci alleggerisce e ci dà la possibilità di raccontarci».

 La partenza come l’inizio di tante cose, anche di una condivisione con tuo figlio.

«Sì, di una nuova intimità».

E, di un tuo viaggio interiore. Che cosa è scattato in te?

«Sentivo di essere di fronte a un momento che Lao si sarebbe ricordato per tutta la vita. E che, per lui, era un periodo delle grandi domande, in cui stava recuperando una parte della sua personalità attraverso la costruzione di questo momento. Poi, ci siamo trovati a raccontarci le cose anche seguendo le sue curiosità. Anche grazie alla magia del viaggio, quindi, per lui si è creata la possibilità di fare, in libertà, le domande che forse non gli sarebbero venute in mente in altri contesti. Perché clamorosamente e incredibilmente il viaggio, che è un elemento di distrazione, diventa poi un elemento di concentrazione. È stato bellissimo ascoltarlo, scoprire quali cose si era chiesto su questa storia, quali non sapesse. Quando abbiamo un bambino, un figlio, ci rendiamo conto che è bellissimo potergli raccontare delle cose, perché lui non le sa, in quanto non rielaborate, non riproposte per il suo linguaggio. E, nel dover trovare il modo per spiegargliele, in fondo le capiamo bene anche noi. Non per niente giochiamo. Giochiamo con i bambini perché ci piace giocare. Perché reimpariamo a giocare».

Tuo padre era un “narratore di silenzi”, per questo hai fatto un viaggio con tuo figlio per rispondere a ogni sua domanda? Volevi che la storia di Gavino Esse non finisse in te?

Andrea Satta
«Porto molto volentieri  La Fisarmonica verde nei teatri, ma la vera soddisfazione la provo nelle scuole».

«Sì, volevo che quella storia non finisse in me e non volevo regalare a mio figlio tutti i silenzi che mi ha regalato mio padre. Volevo essere un padre più comunicativo di quanto lo sia stato mio padre con me. A me è mancata la possibilità di…È vero che i suoi silenzi raccontavano, e anche quelli sono, come dire, musica. Io sono un musicista e la pausa è partitura, è parte della sinfonia. Se in quel punto il piano tace, è perché per l’equilibrio armonico succede un’altra cosa che è niente, ma per l’equilibrio armonico, quel niente serve. Non è che posso dire che i silenzi di mio padre siano stati dannosi. Tuttavia ci sono domande alle quali avrei voluto avere risposte e altre che non sono riuscito a fargli. Per cui, ho voluto offrire a mio figlio la possibilità di farmi qualunque domanda e cercare di non evadere troppo le risposte».

Il tuo libro parte da una storia, una memoria personale, che diventa Storia.

«Sento molto questa responsabilità, per due motivi. Perché siamo nell’ultima stiracchiata di compasso che consente a questi fatti della guerra, della prigionia del nazismo, dei campi di concentramento, delle barbarie dell’uomo sull’uomo di essere nell’ultimo estremo momento in cui sono contemporanei. In cui, non sono ancora stati consegnati inevitabilmente alla Storia.  Cioè, a settantotto anni dalla Liberazione, ottanta dall’8 settembre del 43, appartengono ancora al comò che hai in casa, al giaccone di papà appeso in salotto e che ancora sta lì, alla sua bicicletta ancora in cantina. Abbiamo ancora una quotidianità da condividere con questi fatti. C’è ancora qualcuno vivo, ma soprattutto, tutto è ancora presente con una fisicità. Quando saranno consegnati definitivamente alla Storia, anche la tortura più grande non avrà valore. Noi al Colosseo ci andiamo, non ci pensiamo a quello che ci è successo. Ora, abbiamo ancora la possibilità di considerare questi fatti come fatti successi a noi. E io, che sono il testimone più diretto possibile di questi fatti, perché figlio di un deportato in un lager nazista, da figlio ho questa storia addosso. Però sono un artista e posso portarla in scena. Altri che ce l’hanno come me, ma non possono farlo perché non fanno il mio lavoro. E poi c’è un aspetto puramente anagrafico. Mio padre mi ha avuto un po’ tardi, io non ho avuto molto presto Lao e, quindi, la forbice fra il nonno e Lao è molto larga. Mia figlia che ha 12 anni ha un nonno che ha fatto la seconda guerra mondiale. Quindi c’è la possibilità, per una ragazzina di 12 anni, di respirare un tempo che forse anagraficamente sarebbe dovuto essere del bisnonno, più che del nonno. Invece lei se lo può portare a casa, come una cosa più vicina. Io poi, anagraficamente, avrei potuto avere un papà che non aveva fatto la guerra. E, invece quello che per lui è stata una tortura, un orrore, per me è un valore».

Hai spesso sottolineato che questo non sia un libro per bambini, ma dedicato ai bambini. Sono loro l’ultima risorsa dell’ascolto?

Andrea Satta
«Credo che nessuno strumento avrebbe incarnato di più quel momento, la stessa capacità di essere vivo»

«Verissimo! All’inizio, a dire la verità,  non sapevo se questa storia potesse essere veramente raccontata a loro. Per mia mamma, tutte queste storie, a me bambino, mio padre non le poteva proprio raccontare. Perché erano realmente crude. Cercava di difendermi. Poi, riflettendoci, mi sono reso conto, invece, che i bambini rappresentano veramente l’ultima frontiera dell’ascolto. Non solo ascoltano, ma rinascono, ripropongono, restituiscono dopo l’ascolto. Lo vedi dai lavori che hanno fatto (le fisarmoniche in cartoncino, n.d.r.). Loro hanno reso la tridimensionalità con le loro armi, con le loro possibilità, con il loro sapere, con la loro creatività, con la storia nella quale hanno navigato. Loro non vengono e non vanno mai a mani vuote a una festa di ragazzini. Mai. E quindi porto molto volentieri  La Fisarmonica verde nei teatri, ma la vera soddisfazione la provo nelle scuole. Vedere cosa suscita in loro aver letto il libro e le domande a fine spettacolo è impagabile. E non c’è un paragone con questa  loro capacità di domandarsi, di entrare nella storia. Loro non si difendono, non hanno un’alternativa, un se stessi da contrapporre per forza, ma si immedesimano e si chiedono: “Com’è successo? Perché è successo? Come sei stato? Com’è stato quel bambino? Cosa avrei fatto io? Si chiedono cose che ci si chiede di fronte al mare. “Com’è grande?” Un adulto non se lo chiede, se lo chiedono i poeti, i matti e i bambini, gli altri no. E noi dobbiamo provare a essere, da adulti, tutti un po’ bambini e un po’ matti».

La Fisarmonica verde, come la speranza, è il ritorno alla vita di tuo padre. Ha inciso anche sulla tua di vita?

«Sì! Una fisarmonica incredibilmente verde. Credo che nessuno strumento avrebbe incarnato di più quel momento, la stessa capacità di essere vivo, anche per la modalità umanoide di restituirti il suono attraverso l’aria, quindi, attraverso il suono, il proprio segnale di vita».

Un passaggio di testimone perché tuo padre l’ha data a te?

«Sì! Anche se ora non la ho più, perché mi è stata rubata. Ma pensa come scrive queste pagine la vita: di tutte le cose che potevano rubarmi, mi hanno rubato una cosa il cui valore è inimmaginabile. E ho fatto di tutto per ritrovarla. Avrei comprato dieci fisarmoniche più ricche di quella. E, sì! La musica salva! La fisarmonica è uno strumento che fa veramente orchestra. C’è la parte solista, c’è la parte accordale, puoi fare i bassi, suoni tutto. Molto vicina alla musica popolare, è un’orchestra in due mani».

Ma tu quella fisarmonica verde poi, hai imparato a suonarla da bambino con tuo padre?

«Lui voleva che la suonassi ma io no».

Rifaresti adesso quel viaggio con Lao?

«Questa estate io e mio figlio, che adesso ha 20 anni, faremo in bicicletta dal campo di concentramento di Lengenfeld, vicino Dresda, a Roma. Germania–Italia con biciclette normali. Venti tappe: Norimberga, Monaco, Innsbruck, Brennero, Bolzano, Trento, Bologna, Firenze, e giù fino a Roma e in molti di questi posti porteremo lo spettacolo La Fisarmonica verde.

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Andrea Satta
La fisarmonica verde
Mondadori, 2022
pp. 120 , € 16

 

 

 

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