ARMANDO, CITTADINANZA: “APOLIDE”
Armando, 27 anni, una vita a scontrarsi con la difficoltà di essere apolide. Ora è presidente della neonata Unione Italiana Apolidi. «Vogliamo essere un punto di riferimento per questa comunità, rappresentare alle istituzioni cosa significa vivere nell’incertezza»
11 Novembre 2022
Non basta nascere e crescere in Italia per avere diritto alla cittadinanza. Ma dalle esperienze, soprattutto quelle negative, si può costruire qualcosa che potrà essere d’aiuto per gli altri. La neonata associazione Unia, fondata da apolidi per gli apolidi, ne è un esempio.
«Bisogna operare insieme ad altre associazioni e organizzazioni, coordinandoci con le pubbliche istituzioni e le autorità, affinché si possa stabilire una linea di prevenzione futura sull’apolidia e porre fine a questa violazione dei diritti umani», auspica il presidente Armando Augello Cupi, 27 anni, che studia all’Università La Sapienza di Roma e ha presentato nei giorni scorsi l’Unia, Unione italiana apolidi «per dare voce e rappresentanza formale alla frammentata comunità di chi nel nostro Paese non ha alcuna cittadinanza. L’assenza di un’identità legale infatti equivale spesso a una condizione di invisibilità, con scarso accesso a diritti fondamentali, come istruzione, salute e lavoro regolare. Senza contare le gravi limitazioni incontrate nella vita quotidiana, dall’apertura di un conto in banca all’ottenimento della patente di guida. In Italia si stima siano almeno 3mila le persone apolidi, oltre 4 milioni nel mondo».
Ho vissuto anni bui in cui cercavo di capire
La storia di Armando è emblematica: «L’unica certezza che ho è di essere nato a Sanremo. A pochi mesi i miei genitori biologici, di cui non conosco neanche la nazionalità, mi hanno abbandonato e sono stato cresciuto da una coppia italiana. Purtroppo ho scoperto che le altre informazioni sul mio atto di nascita erano false». Frequenta la scuola dell’obbligo, «ma arrivato in primo liceo sono stato espulso perché non avevo nessun documento. Tra i 15 e i 18 anni ho vissuto momenti davvero bui nei quali cercavo spesso di capire cosa stesse succedendo. Mentre i miei coetanei potevano proseguire i loro studi, viaggiare e lavorare, io ero fermo nell’incertezza». Diventato maggiorenne, Armando va in Comune per chiedere una carta d’identità, «ma non risultavo da nessuna parte e non potevano concedermela». A 19 scopre cos’è l’apolidia quando chiede a un avvocato di aiutarlo. «Finalmente, grazie alla procedura di riconoscimento dello status di apolide, sono riuscito ad ottenere un permesso di soggiorno, una carta d’identità, un codice fiscale, la patente».
Ormai persi gli anni di liceo, Armando inizia a lavorare come barista, commerciante porta a porta, cassiere, magazziniere. «Ho usato i soldi che sono riuscito a risparmiare per fare un corso da barman: il mio sogno era quello di lavorare per recuperare gli anni scolastici e andare all’università. Mi sono iscritto ai corsi serali e due anni dopo sono riuscito a diplomarmi con 90/100 in Amministrazione, Finanza e Marketing. Ho scelto La Sapienza, ma nel sistema informatico al momento dell’iscrizione, inserendo “apolide” al posto della cittadinanza, non riuscivo a proseguire. Ho temuto di dover rinunciare ancora una volta, ma ho incontrato una persona nella segreteria studenti davvero speciale, che è riuscita ad aiutarmi e guidarmi in tutto e per tutto. Mi ha raccontato del corso di laurea chiamato Global Humanities, il cui il focus principale è la storia globale, geopolitica, migranti e rifugiati. Ho deciso di iscrivermi pensando che l’apolidia potesse essere il mio punto di forza e non più una debolezza, qualcosa che mi spronasse». I fatti gli hanno dato ragione: «Ho una media del 29/30 e nel 2023 spero di laurearmi tra luglio e settembre portando come possibile tesi il fenomeno del cambiamento climatico collegato all’apolidia, analizzando la situazione delle Low-lying Island States».
Serve formazione e aggiornamento
Durante la pandemia Armando ha seguito online i corsi di Global History Lab e Global History Dialogues della Princeton University, analizzando contesti storici con rifugiati, migranti e apolidi venivano evidenziati. E quest’anno ha deciso di fondare l’Unia: «Vogliamo essere un punto di riferimento per questa comunità che fino adesso non ne ha avuto uno. Vorremmo poter rappresentare alle istituzioni cosa significa davvero “vivere nell’incertezza”, senza la cittadinanza di nessuno stato, e aiutare le persone che stanno vivendo quello che ho passato io». Infatti l’Unia si propone «di migliorare la condizione degli apolidi in Italia, informando e sensibilizzando l’opinione pubblica su questa tematica, per creare un nuovo legame di solidarietà tra le comunità frammentate di apolidi e le pubbliche istituzioni». Purtroppo «le informazioni disponibili sui siti istituzionali sono scarse, incoerenti, spesso non aggiornate né chiare e prevalentemente in italiano, non tenendo conto di altre lingue fondamentali per gli apolidi (serbo-croato, russo, francese, spagnolo, arabo). La scarsa conoscenza dell’apolidia si può rilevare anche tra funzionari pubblici, Ufficiali di stato civile, operatori e altre figure rilevanti in chiave di accesso ai servizi fondamentali (accesso al welfare, istruzione, sanità, titolo di viaggio, permesso di soggiorno, impiego). Riteniamo fondamentale che vengano organizzati corsi di formazione e aggiornamento riguardanti l’apolidia, rivolti in particolare a funzionari pubblici che per il loro ruolo si trovano ad entrare in contatto con persone apolidi», sottolinea Augello Cupi. E osserva che oggi nel nostro Paese «solo pochi apolidi riescono a ottenere il riconoscimento formale dello status di apolide» a causa di procedure burocratiche complesse, poco note e «con alcuni requisiti eccessivamente restrittivi». Per colmare il vuoto informativo è necessaria «una piattaforma istituzionale dedicata agli apolidi, con sezioni distinte relative a chi ha già ottenuto lo status di apolide e a chi invece deve farne ancora richiesta».