UCRAINA. IL FUTURO RICORDERÀ I MORTI E LE ARMI DI OGGI
Da dove nasce la scelta di inviare armi all'Ucraina, Paese invaso e devastato, e quali pericoli nasconde? Un contributo al dibattito
di Redazione
27 Marzo 2022
La voce di un giovane in servizio civile, Giovanni Esperti, interessante contributo al dibattito sulla guerra in Ucraina.
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Il 24 febbraio 2022, poche ore dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, sul profilo Twitter del Paese “granaio d’Europa” è comparsa una vignetta raffigurante un Hitler adulto, che fa una paternalistica carezza a un minuscolo Putin.
Quel giorno l’Europa si è svegliata con la guerra in casa. L’ultima guerra che l’Europa aveva visto da vicino – senza contare quelle cui abbiamo voltato le spalle, come il conflitto in Georgia – era la Seconda guerra mondiale. Sembrava dunque fisiologico il parallelismo diffuso e proposto anche sotto altre forme tra l’attacco di Mosca a Kyiv e il progetto di (ri)presa del Lebensraum da parte della Germania nazista. In più casi, infatti, l’attacco russo all’Ucraina è stato paragonato alla marcia di Hitler sulla Cecoslovacchia o all’invasione della Polonia nel 1939.
A questa spasmodica ricerca di analogie e differenze con la Seconda guerra mondiale, su “Altreconomia” Lorenzo Guadagnucci contrappone un’altra narrazione, dimostrando come sia riduttivo servirsi di un solo – seppur importante – episodio della storia per orientarsi nel presente.
La spirale nazionalista
In un articolo sulla mobilitazione nazionale per la pace svoltasi a Roma il 5 marzo, Guadagnucci propone un riferimento storico forse più calzante, rispetto a quello che cerca negli anni Trenta e nelle mosse della Germania nazista i corrispettivi alla grave crisi di questo periodo. Parlando della decisione del governo di inviare armi all’Ucraina e del forte sostegno mediatico a questo provvedimento, Guadagnucci osserva che il clima attuale «riporta alla memoria la poco gloriosa stagione dell’interventismo, quando si trattava di spingere l’Italia verso la Grande Guerra». Oggi osserviamo infatti una tensione estrema, che trova i Paesi dell’Ue pronti a scattare da un momento all’altro. Aumentare le spese militari come hanno fatto dapprima Germania e Danimarca e poi anche l’Italia fino al 2% del PIL – come richiesto da anni dalla NATO – poi, non è un gesto particolarmente distensivo.
Stando alla propaganda del Cremlino, le “operazioni militari speciali” – come le chiama Putin per non pronunciare la parola guerra – in Ucraina, hanno come fine la conservazione e la sicurezza della nazione russa. Se questi sono i termini, il grande rischio è che anche l’Europa venga trascinata in questa spirale nazionalista e l’invio di armi e l’invito alla resistenza della popolazione ucraina sono elementi in grado di rafforzare anche i nazionalismi europei, in forte ascesa negli ultimi anni.
Oggi l’Unione europea si sente più unita che mai nel sostegno militare a Kyiv. A questo punto, però, è importante chiedersi quanto sia salutare che la tanto sperata “rinascita” europea trovi spinta vitale a partire da un gesto come l’invio delle armi. Nelle armi. Un’Unione europea nuova, che nasce sulle armi ed è allo stesso tempo tarlata dai nazionalismi, prima o poi crolla. E anche se oggi fa la sua rassegna di promesse sulla futura indipendenza energetica dalla Russia, sembra ancora politicamente acerba.
La voce critica dei pacifisti
L’allineamento di gran parte del sistema mediatico italiano con le azioni del governo ha prodotto una contrapposizione profonda tra interventisti e pacifisti. Nella loro “Dichiarazione – politica e di poetica – sul virus del militarismo nel corpo sociale”, il collettivo di scrittori Wu Ming spiega che, nel nostro Paese, negli ultimi anni «uno schieramento politico-culturale trasversale ha lavorato alacremente per spargere ovunque tossine nazional-patriottiche, autoritarie, militar-feticiste (quanto sono belle le Frecce Tricolori!), guerrafondaie».
Ecco perché non c’è spazio per la voce critica dei pacifisti, ecco il perché dei proclami come il “dove sono i pacifisti” – al quale la Rete Italiana Pace e Disarmo ha risposto portando in piazza migliaia di persone. Gli effetti del mutuo appoggio interventista tra politica e media, però, sono evidenti nel momento in cui i pacifisti vengono definiti “amici di Putin” perché, in quanto pacifisti, sono contrari all’invio di armi in Ucraina.
L’esclusione dell’opinione pubblica
Eppure, il governo ha deciso di contribuire a questa guerra in maniera rapida, senza dare possibilità alla cittadinanza di partecipare attraverso un dibattito pubblico sulla questione. Una cosa di cui ci sarebbe stato sin da subito un grande bisogno, dato che uno degli scenari possibili sembra essere la Terza guerra mondiale – che sarebbe di carattere nucleare, come Paolo Cotta Ramusino dell’Università di Milano ha avvertito durante l’evento “Armi nucleari nella guerra Russia-Ucraina: l’altra faccia del conflitto” organizzato da Archivio Disarmo.
Questo processo di esclusione dell’opinione pubblica ha messo la popolazione davanti al fatto compiuto del nostro contributo materiale al conflitto in Ucraina, senza possibilità di elaborare repliche tempestive e ipotesi alternative. Il governo sembra aver “giocato d’anticipo”: contando sul forte impatto emotivo causato dall’inizio del conflitto, ha convinto molta parte della cittadinanza che l’interventismo fosse l’unica via percorribile. Una convinzione forse maturata anche a partire dal fatto che Mario Draghi continua a essere considerato una figura affidabile sul piano politico interno e internazionale. In questo contesto, le voci critiche – capaci comunque di portare migliaia di persone in piazza – sono trattate “con punte di sdegnata intolleranza per l’ipotesi di non rispondere alla guerra con la guerra”, per riprendere ancora le parole di Guadagnucci.
La volontà italiana di contribuire a questo conflitto desta preoccupazione, specialmente perché è difficile comprendere la reale entità del contributo in armi all’Ucraina. Ufficialmente, il governo italiano ha voluto “secretare tipologia, costi e quantitativi” delle armi da inviare a Kyiv, ci informa Mario Barbati su “Micromega” (arriveranno in Polonia e la Nato si occuperà del transito verso l’Ucraina, ci informa). A visionare un documento con le informazioni sui materiali da inviare sarebbe stato il “Fatto Quotidiano”: lanciatori, mitragliatrici, mortai e annesse munizioni (bombe, missili). Poi elmetti, giubbotti antiproiettile, razioni alimentari da combattimento.
Lo scontro tra nazionalismi
Dalla prospettiva russa, poi, la guerra in Ucraina è anche figlia del complesso calderone di idee sviluppate negli anni da Alexander Dugin, consigliere politico di Vladimir Putin. Dugin è portatore delle teorie «eurasiatiche, apparse negli ambienti dei russi bianchi fuggiti dopo il 1917, mescolate in qualche modo con il nazional-comunismo che iscrive anche l’Urss di Stalin nel ciclo della grandezza perduta del Paese», come scrive Guido Caldiron sul “Manifesto” del 10 marzo 2022.
Pur tenendo sempre a mente che vi è un Paese che aggredisce (la Russia) e uno aggredito (l’Ucraina), questa invasione diventa presto uno scontro tra nazionalismi.
L’unanimità interventista europea ha connotati molto simili e il nostro Paese ne è inebriato tanto da convincere alcuni giornali che mettere in prima pagina, glorificandola, una bambina ucraina con il fucile – definita da altri “pornografia bellica”- sia una buona idea (per aver pubblicato quella foto, con quella connotazione, solo il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio ha chiesto scusa).
Sergio Romano, che è stato ambasciatore della NATO e a Mosca negli ultimi anni della Guerra Fredda, sin dai primi giorni del conflitto in Ucraina ha detto al “Riformista” che la soluzione alla crisi sarebbe «un’Ucraina neutrale» e anche che mandare armi significa “soffiare sul fuoco”.
Al sostegno bellico europeo all’Ucraina – cui si oppongono i lavoratori dell’aeroporto di Pisa, che hanno incrociato le braccia quando si sono resi conto che le stive di alcuni aerei contenenti aiuti umanitari dovevano essere caricati di armamenti – negli ultimi giorni la Russia ha risposto chiamando al suo fianco i mercenari dalla Siria, che andrebbero ad aggiungersi ai ceceni forse già in marcia verso Kyiv.
La mediazione e la speranza
Armi e soldati provenienti da più parti del globo approdano oggi in Ucraina. Se dovesse realizzarsi il più roseo scenario – quello della neutralità ucraina auspicato da Sergio Romano – alla fine di questa guerra ci troveremmo davanti a Paese devastato, con connotazioni fortemente nazionaliste (alimentate dall’esperienza della resistenza ai russi) e, anche grazie al nostro governo, pieno di armi. Tutti elementi che, sommati, come minimo potrebbero portare a una guerra civile in Ucraina.
Ma, come spesso accade, la semplice somma dei fattori non basta a modellare la realtà, che è fatta anche di mediazione e speranza. Questo sarebbe il ruolo dei negoziati e della diplomazia, unici strumenti in grado di porre fine al conflitto. «Arrivano i colpi, e da ogni foro sgorga qualcosa che verrà chiamato memoria», canta Massimo Zamboni nel suo nuovo album. L’interventismo europeo rischia di aumentare la mole della memoria del futuro. Che si costruisce con i morti del presente.
Giovanni Esperti
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