ASINTOMATIA: FACCIAMOCI CONTAGIARE DAGLI INCONTRI CON GLI ALTRI
Asintomatia è il nuovo libro di Maurizio Alfano. Storie di contagi positivi tra popoli e razze, un viaggio intorno al mondo per farci capire che dobbiamo lasciarci “contagiare” dagli incontri, per guarire dalla solitudine
15 Maggio 2023
Da qualche anno ormai conosciamo Maurizio Alfano come uno dei più preparati ed empatici autori e formatori quando si tratta di parlare di razzismo e di integrazione. Perché, con la sua dialettica e la sua intelligenza, ha sempre smontato i luoghi comuni, ribattuto a frasi fatte con evidenze e dati, è andato a cercare cosa ci sia dietro a quei “ma” che spesso seguono la frase “non sono razzista”. Da Italiani razzisti perbene a Razzisti a prescindere, fino a Il razzismo non è una favola, abbiamo sempre trovato illuminanti i suoi libri. Il suo nuovo libro, Asintomatia. Storie di contagi positivi tra popoli di razze differenti (Apollo Edizioni), però è ancora diverso. È il suo libro più intenso, personale, commovente. È un viaggio intorno al mondo che parte dal suo primo viaggio: negli anni Settanta, ancora bambino, emigrò in Germania dalla Calabria con i propri genitori. Dopo averci raccontato la sua partenza, e il suo ritorno, ci racconta suoi viaggi a Gerusalemme, in Serbia, in Africa, per tornare in Italia, nell’Aquila del sisma e poi nella sua Calabria. È un libro intenso, perché conoscendo quel bambino che ha lasciato casa perché i suoi genitori volevano per sé e per lui una vita migliore, ci immedesimiamo in lui. E allora capiamo ancora meglio le ragioni di chi migra. Perché, dopo aver letto quelle prime pagine, tutti noi siamo il piccolo Maurizio.
Vivere la vita non in maniera asintomatica ma in maniera totale
Ma iniziamo dalla fine, dal punto di arrivo del libro, che ci riporta al punto di partenza. A quel concetto per cui siamo tutti diversi, ma identici. E questo, scrive Alfano, è contagioso. Bisogna vivere la vita non in maniera asintomatica, senza avvertirne i sintomi, ma in maniera totale e senza risparmio alcuno di fame di incontri, Proprio come quelle che ebbero i suoi genitori che si spostarono Germania. Il senso del libro è questo. «L’asintomatia di cui parlo è quella che ha caratterizzato gli ultimi decenni» ci spiega Maurizio Alfano. «Siamo diventati asintomatici alle sensazioni, alle emozioni, non le riconosciamo: abbiamo quasi paura di contagiarci con gli altri, finiamo sempre per chiuderci nella dimensione on line, che è quella che depriva, decontestualizza, che non ti arricchisce con un confronto, non ti fa mettere in discussione, perché chiusi nel mondo on line pensiamo di essere sempre nel giusto e di poter essere anche censori dei comportamenti degli altri». «I viaggi che ho fatto mi hanno sono questa modalità off line, mi hanno permesso di vivere la vita come una continua scoperta, di scoprire tutti i giorni la vita degli altri. Tra tutti questi viaggi c’è una matrice comune, sentimenti e pezzi di vita che ho ritrovato nei miei. E allora è bello non essere asintomatici, ma farsi contagiare positivamente: al contrario di come abbiamo utilizzato il termine durante pandemia, il contagio è positivo, è rigenerativo, ci dà l’opportunità di guarirci dalla malattia della solitudine, è il confronto con gli altri che porta con sé una serie di conoscenze ed emozioni».
Per ognuno di noi esiste una terra promessa
In Asintomatia, Maurizio Alfano ci racconta che ha sempre avuto paura dell’asfissia dei confini fisici e mentali, e per questo il nostro primo vero viaggio dell’anima deve consistere nel saperli spazzare via, superarli, attraversarli e frantumarli. Secondo Alfano per ognuno di noi esiste una terra promessa, una terra dove trovare ristoro alle proprie paure e rinascere. La chiave per capire le migrazioni, le motivazioni di chi migra, è proprio capire che questa terra promessa ognuno ha il diritto di provare a raggiungerla. Quanto è importante capire questo? «È un punto di svolta» ci risponde Alfano. «È necessario per ognuno di noi, anche noi che non migriamo per necessità da alcuni decenni, avere un posto sicuro dove approdare. Ognuno di noi necessita che esista un luogo, una persona, un posto in cui possa trovare ristoro. Avere confini fisici e mentali è una restrizione». «Pensiamo a che solitudine sentirebbero gli uomini se sapessero di non poter comunque migrare, di trovare una terra promessa, come è stata per i miei genitori la Germania» continua. «Le migrazioni hanno dato la possibilità ad una donna di parlare in un’altra lingua, di lavorare in un’azienda, di socializzare e di vedersi riconoscere i propri diritti come lavoratore e come cittadina del mondo. E questo in una terra protestante, come quella tedesca, dove turchi musulmani e italiani cattolici abitavano le stesse baracche: questo poteva essere motivo di scontro. Il superamento dei confini religiosi è dato da quello che ognuno di noi dà alle conseguenze delle migrazioni. Chi parte arriva in un posto dove cerca di ricostruire la propria identità: non è sicuramente animato da un sentimento ostile o criminale. Se ci chiudiamo in un mondo in cui c’è la libera circolazione delle merci e non viene riconosciuta la libera circolazione degli uomini vuol dire che c’è una contraddizione, una frattura enorme che non riusciamo a comprendere».
Gerusalemme, caleidoscopio di un processo di coesistenza
Maurizio Alfano fa un racconto vivido e sorprendente di Gerusalemme, una città dove religioni diverse che si tollerano e perfino amano. Da una parte ci sono tantissime carrozzelle portate in giro da giovani coppie, dall’altra un grande numero di ragazzi e ragazze che prestano il servizio militare obbligatorio. E quelle armi confliggono con la giovane età di quei ragazzi coinvolti e con le loro abitudini. Le carrozzelle sono il frutto di una politica di espansione demografica del governo. Che, però, si restringe però all’interno della impossibilità di contrarre matrimoni con uomini o donne palestinesi, purtroppo. Ma in ogni caso religioni diverse, segni e simboli differenti si tollerano, forse anche perché sono stanchi di farsi la guerra. «Gerusalemme è il caleidoscopio nel quale possiamo ritrovare un rinnovato processo di coesistenza e convivenza» ci racconta l’autore. «L’ho visitata 10 anni fa, ed è compito di chi ha gli occhi allenati a comprendere quello che ci sta intorno di intravvedere dietro a quei giovani militari – che hanno il servizio di leva obbligatorio – nel loro vestirsi e muoversi all’interno della città il germe di un cambiamento possibile. È la generazione che un mese fa è scesa in piazza contro governo che voleva limitare la libertà. È un posto dove le religioni possono tranquillamente coesistere, se lasciate libere dall’ingerenza di alcuni che poi manipolano i testi sacri. Gerusalemme è il compendio, l’incrocio di uomini e donne di culture e religioni completamente differenti che trovano in questo riconoscere il precario equilibrio della coesistenza il loro limite per superare e dimostrare che questo può continuare ad esistere. È una lezione per il resto dei Paesi di quell’area e per il resto del mondo».
Serbia, la guerra per smaltire le armi in scadenza
Il viaggio continua in un altro luogo che è stata una zona “calda” del mondo. Con un salto ci troviamo a Prokuplje, in Serbia ai confini con il Kosovo, in un centro per bambini Rom e una casa che accoglie bambini affetti da problemi neuromuscolari. Prokuplje è una città segnata dalla rabbia provocata dalla guerra nei Balcani e dal dolore di aver perso ognuno qualcuno, ma Alfano e chi lavora con lui vengono sorpresi da un’accoglienza rumorosa, parlata, condivisa, toccata e fatta da contaminazioni, suoni e sorrisi. «Io sono andato in Serbia molto dopo la diaspora dell’ex Jugoslavia» racconta l’autore. «Chiesi ad Anita, una delle operatrici che mi ha accolto, che cosa secondo lei avesse scatenato quella guerra crudele con effetti devastanti nei bambini, ricoverati con malattie neurodegenerative. Mi ha risposto che le armi nucleari o con la presenza di uranio impoverito è più conveniente smaltirle con una guerra che rispettando i protocolli internazionali. Se penso all’Ucraina e che siamo arrivati a fine scorte di munizioni già fatte negli anni precedenti, è come dire: facciamo una guerra, smaltiamo quello che sta andando in scadenza e riproduciamo gli arsenali. In quella parte della Serbia molte volte ho sentito fare questa affermazione, ma soprattutto ho visto gli effetti degenerativi di quel tipo di armi, in quei centri dove sono nati bambini con malattie neurodegenerative, che portano segni di malformazioni pesanti sul corpo».
L’Aquila: i bambini non si rassegnano al silenzio
E poi arriviamo all’Aquila ferita prima dal sisma e poi da una politica di ricostruzione miope. «Meno male che ci sono i bambini», dicono soprattutto alcune persone anziane in quei giorni di campi e di ricostruzione. «Almeno loro, quando sei dentro questi cosi qui ti riportano alla mente i rumori e le grida dei giochi che si facevano fuori, nelle vie e nelle strade ora rimaste interrotte e sepolte nei ricordi del paese perso e abbandonato». Sì, il concetto di piazza è estraneo alla Protezione Civile e il concetto di costruire e nello stesso tempo adoperarsi per ricostruire anche un minimo di comunità non è nei loro pensieri. E così ecco la battaglia dei bambini e delle bambine impegnati nella ricostruzione dei luoghi più che dei nastri tagliati e degli inni suonati. «Se c’è una resilienza che dura nel tempo è proprio quella dei bambini che in quei posti hanno destrutturato la scenografia urbana che si andava ricostruendo e che era priva di anima, priva di luoghi cerniera che dessero il senso di ritrovarsi. E che invece erano dei contenitori, dei moduli abitativi provvisori» riflette l’autore. «Il senso della ricostruzione è che è stata fatta una ricostruzione tecnica, non capendo che c’era anche la necessità di fare una ricostruzione fisica delle anime di quelle persone. Per fortuna c’erano i bambini: sono stati una linfa vitale anche per quegli anziani che erano sopravvissuti ai figli. Come fai a pensare a un anziano che è sopravvissuto a un figlio abbia la necessità solo di un tetto invece che una ricostruzione fisica e morale? È quello che è mancato. Ed è lì che i bambini hanno messo tutto questo in discussione: un anziano può anche rassegnarsi a questa solitudine, i bambini non si rassegnano al silenzio, a non avere una piazza. E ricostruiscono la piazza loro malgrado: con i giocattoli che lasciano per terra, con le cose che fanno, con le piccole trasformazioni che mettono in atto; non sanno di essere i protagonisti di un sentimento che resiste a un processo di standardizzazione che deve ricostruire in maniera anemica luoghi, sapendo che dovranno restare lì per 20-30 anni».
Calabria: il vulnus sono le istituzioni
Il viaggio termina in Calabria, terra natia e ancora oggi residenza di Maurizio Alfano, una terra di cui fa un racconto impietoso. Una terra che si regge, soprattutto in particolari momenti della stagionalità delle produzioni, proprio grazie al lavoro sottopagato in danno degli stranieri, resi invisibili nei diritti e nelle tutele loro formalmente garantiti. Arrivando a Corigliano Calabro lungo la 106 Jonica si notano le molte donne straniere che si prostituiscono sulla strada, gli uomini impiegati tra l’edilizia e l’agricoltura e soprattutto i tanti bambini piegati all’accattonaggio. «Quando ritorno in Calabria ho questa nota dolente, vedo una discrasia» ci spiega lo scrittore. «C’è una buona parte della popolazione che fa testimonianza di accoglienza, che con un profilo basso, lontana dai riflettori ogni giorno fa testimonianza di integrazione. Ma le istituzioni non hanno mai preso in maniera concreta l’ospitalità e le forme da strutturare per evitare che le persone straniere vengano deturpate, piegate al lavoro nero o alla prostituzione. Contemporaneamente a quelle che possono essere delle buone forme di accoglienza ci sono le strutture di un mondo economico che in una regione arretrata come la Calabria ancora di più si rendono manifeste nel testimoniare come uomini e donne possono essere come merci, come vuoti a perdere. E il vulnus sono le istituzioni, e quel loro continuare ad approcciarsi in maniera emergenziale saltando una serie di processi che non accompagnano neanche la crescita degli autoctoni e il fatto di diventare una cosa sola con queste persone». Tutto questo porta ad un paradosso. «L’Italia è diventata la geriatria d’Europa, la nazione più vecchia d’Europa» spiega Alfano. «E in Italia la regione destinata allo choc demografico è la Calabria. In Calabria paradossalmente ogni famiglia avrà uno straniero dentro casa, una badante. La maggioranza delle cose che mangiamo sulla tavola verrà coltivata e trasformatala un lavoratore straniero. E nonostante questo permangono sacche di discriminazione e di lavoro nero sommerso e sfruttato. È questo il paradosso del nostro mondo. È un razzismo biologico in nome della presa di un potere politico. Si prende la scorciatoia e si agita il nemico. Un nemico che non solo non abbiamo più in Italia. Ma che è qualcuno che abbiamo dentro le case».
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Maurizio Alfano
Asintomatia
Storie di contagi positivi tra popolo di razze differenti
Apollo Edizioni, 2023
pp. 166 , € 10