AMITAL, L’ASSOCIAZIONE CHE SOSTIENE CHI SOFFRE DI TALASSEMIA
Informazioni, consulenze, indicazioni, convegni: ecco come opera l'Associazione Microcitemici e Talassemici del Lazio
05 Giugno 2019
Quanti sanno cos’è la talassemia? Pochi, purtroppo. Dell’anemia mediterranea se ne parla raramente e solo in riviste specialistiche. Eppure le conseguenze di questa malattia ereditaria del sangue non sono da sottovalutare. Infatti le diminuzioni di emoglobina, che trasporta l’ossigeno nel sangue, possono recare danni seri all’organismo. Stanchezza, pelle pallida, problemi alle ossa, ingrossamento della milza, urina scura, crescita lenta dei bambini: i sintomi dipendono dal numero di geni mancanti. Per saperlo con esattezza occorre ricorrere ad esami del sangue. In genere le diagnosi vengono fatte nel periodo prenatale e ancora prima di nascere i genitori sanno se il proprio figlio soffre o meno di talassemia. Ma come curarla? Anche qui dipende dalla tipologia e dalla gravità. Si va da trasfusioni di sangue sistematiche alla chelazione del ferro e alla somministrazione di acido folico.
L’ASSOCIAZIONE. L’Associazione Microcitemici e Talassemici del Lazio (Amital), da quarant’anni è al servizio dei malati e delle loro famiglie. Fondata da genitori bisognosi di aiuti, in passato Amital ha combattuto grandi battaglie per un’assistenza migliore. Da quattro anni è tornata a essere protagonista grazie agli eredi del nucleo originario. Ad oggi i volontari di Amital forniscono consulenze e indicazioni sulle cure da intraprendere e i centri dove riceverle. Presto apriranno una pagina su Facebook per essere visibili anche sui social network. Parte del loro lavoro è la partecipazione e l’organizzazione di convegni, spesso in collaborazione con l’associazione donatori sangue Ad Spem, con la quale ultimamente hanno condiviso un tavolo di confronto presso la Regione Lazio. Inoltre i nuovi flussi migratori, soprattutto quelli provenienti dal Nord Africa, hanno portato nuove forme di talassemia. Molto spesso chi sbarca è giovane o inesperto e non sa orientarsi per curare la propria malattia. Il prossimo appuntamento dell’associazione è il convegno annuale Ad Spem sulle terapie genetiche, che si terrà martedì 11 giugno alle 17:00 presso il Policlinico Umberto I di Roma.
L’INTERVISTA. «In passato qualcuno lo ha fatto a noi: è tempo che noi lo facciamo con qualcun’altro». A parlare è Marco Guzzon, presidente di Amital, figlio di una delle famiglie fondatrici dell’associazione, che a sei mesi lo hanno sottoposto alla prima trasfusione.
Presidente, cosa significa vivere con la talassemia?
«L’anemia mediterranea è una malattia cronica, curabile tramite un trapianto di midollo osseo, ma occorre trovare il donatore adatto. Ogni quindici giorni occorre fare delle trasfusioni, che però portano a importanti accumuli di ferro, che a sua volta va eliminato via urina ingerendo specifici farmaci. Accanto a questo vanno contati anche altri problemi, come alle ossa o al fegato ad esempio. Non è per tutti uguale. Si capisce che non è per nulla facile: è una specie di lavoro. Con il tempo ci si abitua, ma un po’ d’ansia per la quantità e la qualità del sangue c’è sempre. Anche perché fino a venti anni fa il rischio di morte era alto. Per scongiurarlo dobbiamo essere seguiti da centri specializzati e sicuramente non possiamo attendere i tempi biblici delle liste d’attesa.»
Come cambiano i rapporti di lavoro, in famiglia, con gli amici?
«I problemi principali si hanno quando si è piccoli. Un bambino rischia di essere oggetto dei pregiudizi dei suoi coetanei. Il periodo più brutto è quello dell’adolescenza. Nel periodo in cui tutti affrontano l’età dello sviluppo, per i talassemici la crescita rallenta e si rimane più magrolini rispetto ai compagni di scuola. In alcuni questa situazione provoca sofferenza. Il pericolo è che la non accettazione da parte del malato porta lo stesso a non curarsi adeguatamente, con rischi concreti per la sua salute. Qui il ruolo chiave lo gioca la famiglia, che non deve mai far mancare il sostegno fisico e psicologico al proprio figlio. Da grande la mattia può creare qualche imbarazzo in ufficio. Un talassemico è costretto continuamente ad assentarsi per effettuare delle terapie. Senza contare che, a ridosso della scadenza dei quindici giorni, un anemico risente di momenti di debolezza. Tuttavia va detto che negli ultimi anni la qualità di vita è migliorata, grazie alle nuove cure e alla maggiore sensibilità per queste problematiche. E questo non può che farci ben sperare per le future generazioni.»