NO, NON È AFFITTOPOLI. GLI SFRATTI ALLE ASSOCIAZIONI SONO INGIUSTI
Le sentenze della Corte dei Conti sono univoche: gli affitti agevolati agli enti non profit erano legittimi. Ma ancora non è chiaro cosa succederà ora.
20 Giugno 2017
Associazioni e sfratti: nelle ultime settimane, il problema a Roma ha avuto una svolta: il Comune ha pubblicato un’ordinanza perché vengano riesaminati i procedimenti che hanno portato all’emanazione di provvedimenti di sgombero di beni immobili di Roma Capitale, che negli anni sono diventati sedi da organismi senza fine di lucro e con valenza socio-culturale. Sul sito del Comune, là dove viene data la notizia, si legge una dichiarazione dell’assessore Manzillo: «Tuteliamo associazioni socio-culturali no profit in linea con recenti sentenze Corte dei Conti». Il riferimento è alle ormai numerose sentenze della Corte, concordi nello scagionare i funzionari, che avevano firmato le concessioni di questi spazi alle associazioni a prezzo agevolato e che erano stati accusati di danno erariale dalla Procura della Corte dei Conti del Lazio, con conseguenti richieste di risarcimenti milionari.
Si era creata una situazione per cui, da una parte due o trecento associazioni e centri culturali si erano viste richiedere cifre enormi come arretrati e in molti casi notificare lo sfratto (in alcuni casi eseguito), dall’altra parte i funzionari erano stati messi sotto accusa.
Associazioni e sfratti: la storia
A fronte di questa situazione – che si può definire devastante per il tessuto sociale della città – una cinquantina di associazioni, coordinamenti ed Enti non profit, insieme a OPA (Osservatorio Pubblica Amministrazione), avevano inviato un’istanza per chiedere il deferimento disciplinare dell’autore degli atti d’accusa, il Vice procuratore della Corte dei Conti del Lazio Patti, e si erano poi costituite nel Coordinamento Valore Sociale – 9 marzo.
Le sentenze in favore dei funzionari sono importanti, spiega l’avvocato Stefano Rossi, che è consulente di Cesv (Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio) e ha seguito alcune di queste cause, perché «smentiscono radicalmente l’impostazione data dalla Corte dei Conti stessa. Perciò è ragionevole che la Giunta, ora, ne prenda atto, anche se la conseguenza è che deve smentire se stessa».
Le accuse del viceprocuratore avevano colpito 7-8 dirigenti, «accusati di avere causato un danno erariale all’Amministrazione perché avevano concesso gli spazi a canone concessorio al 20%, in applicazione dei regolamenti esistenti, invece che a prezzo di mercato. Nella maggior parte dei casi, si arrivava a rilasciare formalmente la concessione del bene dopo la scadenza dei termini richiesti dalla procedura. Il ragionamento del procuratore era: visto che la concessione è stata rilasciata dopo la scadenza dei termini, il dirigente non avrebbe potuto rilasciarla, e quindi l’associazione non poteva rimanere nel bene già assegnato, se non pagando il canone corrispondente al valore di mercato».
La procedura e il pericolo occupazioni
In realtà, stare dentro i termini, che erano di 120 giorni, era praticamente impossibile, spiega Rossi. «La procedura era complessa, perché il bene veniva assegnato con un’ordinanza, poi si doveva dare incarico ad un soggetto esterno all’Amministrazione, che determinasse il valore del bene; su questa stima veniva calcolato il canone scontato al 20%, l’associazione doveva accettare la proposta, e solo dopo veniva rilasciata la concessione. Di fatto, l’associazione entrava appena fatta l’assegnazione e, una volta conclusa la procedura, si calcolavano eventuali arretrati, che nel frattempo si erano accumulati e che dovevano essere pagati, si detraevano le spese per la messa a norma e il restauro di questi spazi che spesso erano in pessime condizioni, e si andava a regime.
La Corte dei Conti ha smentito in modo radicale la tesi del vice procuratore, affermando che quello che conta è che l’attività prevista dall’Amministrazione fosse stata nel frattempo effettivamente esercitata, essendo irrilevante quando si arrivava alla concessione vera e propria… È un ragionamento sostanziale: l’attività per cui l’Amministrazione aveva ritenuto opportuno destinare il bene, è stata effettivamente esercitata, si o no? Se la risposta è sì – e questo non viene mai messo in discussione dalla Procura – non si può configurare il danno erariale. Le sentenze non esaminano neanche le questioni preliminari sollevati dalle difese, vanno direttamente al fulcro del problema, e danno ragione ai funzionari».
A ognuno le proprie responsabilità
Questa è, ovviamente, un’ottima notizia anche per le associazioni. Ma quelle che hanno pagato gli arretrati, che sono già state sfrattate o che hanno ricevuto le ingiunzioni, che cosa dovranno fare ora? «Non è chiaro. La Giunta si è già espressa dicendo che, nell’eseguire i rilasci degli spazi pubblici, bisogna partire dalle attività commerciali e solo dopo arrivare alle associazioni di volontariato e agli enti di Terzo settore. Ora questa ordinanza sembra imporre di riesaminare questi provvedimenti, però spetta al Dipartimento Patrimonio valutare le varie fattispecie e decidere se sospendere, revocare o che altro fare. Nel frattempo questi provvedimenti restano efficaci. Io direi che ci vuole un passaggio da parte della politica, che deve stabilire le priorità, e poi da parte delle amministrazioni. Ora comunque entrambi avrebbero gli strumenti e le motivazioni per porre rimedio a questa situazione, ma devono assumersi le proprie responsabilità».
Tra l’altro, è bene ricordare gli spazi in questione, in realtà, non sono collocabili sul mercato: «appartengono al patrimonio indisponibile», spiega Rossi, «cioè sono destinati a scopi istituzionali e non possono essere dati in locazione, tanto è vero che non si parla di affitti, ma di concessioni, per finalità istituzionali stabilite dall’ente. Sono spazi che a volte si trovano all’interno di scuole, in altri casi in edifici che ospitano altri uffici del Comune, alcuni sono nelle estreme periferie, a volte in posti degradati. La Corte questo lo dice con chiarezza: attraverso l’assegnazione è il Comune di Roma a fare la scelta di dedicare quello spazio ad attività sociali o culturale che beneficiano la comunità, e quindi è ovvio che il canone sia agevolato». L’unico motivo per cui si parla di “valore di mercato” è che, per calcolare il canone, si parte da una stima di questo valore.
C’è poi un altro elemento da non trascurare:« Il motivo per cui il bene veniva assegnato subito, era anche la necessità di prevenire occupazioni abusive da parte di altri. La Corte dei Conti ha giudicato legittima questa procedura, dicendo che l’importante è la destinazione sostanziale del bene e l’effettivo svolgimento delle attività. Sarebbe stato diverso se l’attività stabilita non veniva svolta o ne veniva svolta una di carattere commerciale. Questa non è affittopoli, come invece giornalisticamente è stato divulgato. ».
Riconoscere il valore sociale
Quella di associazioni e sfratti è una storia che, alla luce delle sentenze della Corte dei Conti, si sarebbe potuta evitare o affrontare per tempo, riducendo al massimo i danni per le associazioni e per la città. Ma è evidente che ha vinto la sfiducia, da parte della politica, dell’amministrazione, della magistratura, «e anche da parte della gente», aggiunge Rossi.
«Ci si sente dire: chissà quanti abusi ci sono, chissà quanti se ne approfittano. Ma nei fatti, è sempre emerso che le associazioni svolgevano le attività previste, sociali o culturali che fossero. Nessuna è stata accusata del contrario». E allora, come se ne esce? «Le associazioni devono da una parte farsi conoscere di più, dall’altra pretendere che l’Amministrazione le controlli. Ma è fondamentale anche condividere l’idea che non tutto è misurabile secondo un parametro economico e che l’Ente pubblico deve riconoscere il valore sociale delle attività delle organizzazioni non profit per la collettività, per i diritti delle persone».
Per questo, gli enti che aderiscono al Coordinamento Valore Comune – 9 marzo nei giorni scorsi hanno inviato all’ Assessore al Bilancio e Patrimonio di Roma Capitale Andrea Mazzillo una lettera aperta, con la richiesta “di essere controllati e valutati per il riconoscimento del Valore Sociale delle attività svolte”. Perché solo da questo riconoscimento può ripartire un dialogo costruttivo tra associazioni, politici e amministratori.