ATLETICO DIRITTI: IL CALCIO TRA PASSIONE E INTEGRAZIONE

Quest’anno vinciamo. Parola di Atletico Diritti, che nella periferia romana unisce rifugiati, migranti, persone in esecuzione di pena e studenti

di Christian Cibba

Lo sport è sempre stato un elemento di integrazione per eccellenza, spesso pionieristico rispetto ad altri settori della società. Un’occasione di integrazione e un campo in cui ci si fronteggia anche in modo competitivo, ma sempre in quanto atleti, a prescindere dalla propria cultura, lingua, provenienza sociale o paese di origine. Ma se per lo sport a grandi livelli questo è un elemento abbastanza radicato, è nelle periferie e lontano dagli obiettivi che assume un’importanza cruciale. Proprio in un campo di periferia a Roma, in zona Pietralata, siamo andati a incontrare una di queste realtà: la squadra dell’Atletico Diritti.

Il racconto di mister e giocatori

La Società Polisportiva Atletico Diritti nasce nel 2014 promossa congiuntamente dalle associazioni Progetto Diritti e Antigone e con il patrocinio dell’Università di Roma Tre. Un progetto di integrazione e di inclusione sociale che lavora su diversi livelli considerato che le due associazioni da anni sono attive per la tutela dei diritti dei migranti e richiedenti asilo (Progetto Diritti) e per i diritti e le garanzie nel sistema penale (Antigone). Tre anni fa nasce la polisportiva e si forma subito una squadra di calcio iscritta al campionato di Terza Categoria. Rifugiati, immigrati, persone in esecuzione di pena, ex detenuti e studenti universitari hanno iniziato ad allenarsi insieme; giocando a calcio si è andato formando un gruppo coeso, punto di riferimento per tutti loro, al di là delle esperienze di vita personali per le quali sono passati prima di arrivare a calpestare quel campo in terra.
A raccontarcelo sono stati i protagonisti di questo progetto, già impegnati nella preparazione della nuova stagione, che abbiamo avuto modo di incontrare prima dell’allenamento. « Abbiamo creduto molto in questo progetto perché attraverso il calcio si abbattono le barriere e si diventa partecipi di una comunità. Può sembrare solo uno slogan ma su questo campo ci vengono ragazzi che hanno passato esperienze tragiche e faticose e si trovano a giocare e a far gruppo per esempio con studenti universitari» ci ha raccontato Domenico Blasi, allenatore dell’Atletico Diritti. Che il calcio sia un veicolo preferenziale per l’integrazione ce lo ha confermato anche il capitano della squadra, Daniel Abraham, di origine eritrea, che lo ha vissuto in prima persona molti anni prima della costituzione dell’Atletico Diritti. «Quello che il calcio rappresenta oggi per molti ragazzi della squadra per me lo è stato da bambino. Giocare a calcio con gli altri bambini e ragazzi mi ha aiutato molto, si perde, si vince, si fa gruppo e le differenze rimangono sempre fuori».
La squadra è oggi composta da ragazzi provenienti da ogni parte del mondo. Oltre agli italiani ci sono giocatori provenienti da Eritrea, Mali, Senegal, Capo Verde, Argentina, Venezuela, Albania e altri Paesi. Alcuni partecipano agli allenamenti senza poter giocare le partite ufficiali, per mancanza dei documenti richiesti per poter essere tesserati. Ma anche in questo caso, andare agli allenamenti è un deterrente, « si viene qui e ci si allena, si gioca, invece di stare in mezzo alla strada», ci dice il capitano. Per quest’anno Domenico Blasi ci ha annunciato che si sta anche cercando di formare una squadra in comune per un campionato amatoriale con il Liberi Nantes, altro progetto che coinvolge i migranti tramite il calcio, con cui da quest’anno dividono il campo di allenamento.calcio rifugiati
La componente di ex detenuti e persone in esecuzione di pena è più bassa, dovuta alle difficoltà per ottenere le autorizzazioni dai tribunali. Ci sono dei ragazzi che grazie al lavoro di Antigone hanno scontato la pena alternativa presso la Polisportiva, con il mister responsabile di verificarne la presenza presso la struttura. Le maglie dei giocatori sono firmate Made in Jail, dalla cooperativa sociale che opera nel carcere di Rebibbia.

L’Atletico Diritti e il campionato di Terza Categoria

In questi due anni di vita la squadra ha girato tutta la Provincia di Roma (area di riferimento del campionato di Terza Categoria), portando anche al di fuori dei propri campi il messaggio contro il razzismo e l’emarginazione che rappresenta.
« La stragrande maggioranza delle squadre hanno dimostrato solidarietà e apprezzamento per la nostra squadra e il nostro progetto» ci ha detto mister Blasi « alcuni hanno anche organizzato il famoso terzo tempo dove le squadre intere si stringono la mano a fine partita. Non possiamo nascondere che abbiamo anche vissuto in alcuni casi episodi di razzismo verso i nostri calciatori, ma si è trattato di pochi casi». « Succede che qualche compagno venga preso di mira ma tutti ci difendiamo l’un l’altro per il semplice fatto di essere compagni di squadra, tutti sullo stesso livello» ci dice Mattia Corciulo, uno degli studenti universitari della squadra. Mattia, studente di Giurisprudenza, si è unito alla squadra appassionandosi « a tutti i valori che rappresenta. Facciamo gruppo anche fuori dal campo, dopo le partite, soprattutto dopo le trasferte» ci ha detto «al di là dei risultati è bello l’ambiente che si è creato».

atletico dirittiSe i risultati sportivi sono gli ultimi su cui si focalizza l’attenzione, almeno per chi è un osservatore esterno del progetto, c’è chi ha voluto parlare anche di quelli. È Ibrahim Kanouté, 20enne, rifugiato proveniente dal Mali. L’anno scorso Ibrahim si è allenato con la squadra senza poter giocare, per la mancanza di un documento che ne impediva il tesseramento. « Mi hanno aiutato molto e adesso posso finalmente giocare» ci ha detto. E se da una parte la partita per l’integrazione e l’inclusione sociale la squadra l’ha già vinta, « quest’anno tutti dovranno stare attenti all’ Atletico Diritti perché siamo forti e senza paura. Scrivilo mi raccomando» ci assicura Ibrahim «quest’anno vinciamo».

Fotografie di Giacomo Pellini

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