BAOBAB: PIAZZALE MASLAX E L’ACCOGLIENZA CHE NON FUNZIONA

Ogni migrante che arriva a Maslax è lo specchio di un sistema di accoglienza-parcheggio senza corretta informazione e inclusione

di Chiara Castri

Ci sono giornate in cui la strada abituale fa una piccola deviazione. La mia deviazione, ieri mattina, era a non più di cinque minuti a piedi dalla stazione Tiburtina, a Roma. Per fare quella seppur minima deviazione io di minuti ce ne ho messi una quarantina abbondanti. La destinazione era Piazzale Maslax, uno spiazzo asfaltato tra i palazzoni alle spalle della stazione, ultimo approdo di Baobab Experience. Ho chiesto informazioni molte volte, ma tutti mi indirizzavano verso la nuova sede della BNL Paribas. Una volta arrivata a destinazione – a bordo di un camion di un corriere espresso – ho capito perché.

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Dal 2015 nei circa venti sgomberi, perquisizioni e identificazioni sono andati persi beni di prima necessità, documenti, tende, donazioni

Dal 2004 il civico 5 di Via Cupa e l’ex Centro Baobab erano un punto di riferimento per molti migranti che arrivavano a Roma. Con il 2015 e lo sgombero della baraccopoli a Ponte Mammolo, a Via Cupa inizia ad arrivare un numero sempre maggiore di migranti, il triplo della capienza massima. Non ci si arrende, insieme ai cittadini si trovano pasti e vestiti per tutti, ma il centro viene sgomberato. Ci si accampa così in strada, per continuare a dare supporto ai migranti che, intanto, continuano ad arrivare. Baobab Experience – l’associazione che nasce dalle ceneri dell’ex centro Baobab – continua con le attività di volontariato fino ad un nuovo sgombero, nel settembre 2016: in poco più di un anno 53mila migranti passano per Via Cupa, il 95% dei quali diretti in Europa. Con l’ultimo sgombero un nuovo presidio nasce a Piazzale Spadolini, nei pressi della stazione Tiburtina, ancora sgomberato ad aprile di quest’anno: è lì che BNL Paribas ha aperto i suoi nuovi uffici. Quelli che continuavano ad indicarmi ieri mattina.

Dal 2015 ad oggi sgomberi perquisizioni e identificazioni sono stati una ventina. Sono andati persi beni di prima necessità, documenti, tende, donazioni.
Abbandonato piazzale Spadolini, i volontari di Baobab Experience e i migranti si ritrovano in un parcheggio abbandonato, Piazzale Maslax appunto, così ribattezzato in ricordo di Maslax Maxamed. 19 anni quando si è tolto la vita in un parco pubblico a Pomezia, Maslax era partito dalla Somalia ed era arrivato a via Cupa. Riuscito a raggiungere la sorella a Bruxelles, era stato rispedito a Roma in base al Sistema Dublino per cui il migrante che arriva in Europa deve fare domanda di asilo nel primo paese di approdo. Il distacco dalla sorella e la vita senza una vera accoglienza del Cas di Pomezia in cui era stato trasferito lo hanno ucciso.

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Con lo sgombero di Giugno scorso, a Piazzale Maslax vengono costruite cinque barriere di cemento armato che bloccano l’entrata alle auto. Oggi si entra a piedi

L’ultimo sgombero è di Giugno scorso. Viene portato via tutto e vengono costruite cinque barriere di cemento armato che bloccano l’entrata nel parcheggio alle auto.
Ieri mattina sono entrata a piedi a Piazzale Maslax perché, naturalmente, le barriere di cemento armato sono ancora lì. Oggi su questo fazzoletto di cemento vivono 120 persone, una presenza raddoppiata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E in estate si arriva a 300.

«A Roma manca un hub di prima accoglienza in cui il migrante possa avere informazioni riguardo il suo status o l’iter da seguire per la richiesta di protezione internazionale» ha affermato Andrea Costa, uno dei responsabili di Baobab Experience, durante la conferenza stampa in cui la Rete legale per i migranti in transito – promossa da A Buon Diritto, Baobab Experience, Consiglio italiano per i Rifugiati e Radicali Roma – e Medu  hanno presentato il rapporto legale e sanitario aprile-ottobre 2017. «Intanto, nonostante il vergognoso patto stretto con la Libia», ha proseguito Costa, «gli sbarchi proseguono e noi ci saremo finchè Roma non avrà un luogo di prima accoglienza adeguato».

LE CONTORSIONI DEL SISTEMA. Nel periodo considerato dal rapporto della Rete legale, al presidio sono arrivate oltre 2mila persone. La Rete legale ne ha prese in carico 322 (soprattutto da Eritrea e Sudan), assicurando loro assistenza legale per l’accesso alla procedura per la richiesta d’asilo e l’accompagnamento al transito (la cd. relocation).

La relocation in particolare è stata al centro dell’attività di supporto legale della rete, rappresentando l’82% dei casi presi in carico: «40mila persone di nazionalità eritrea e siriana potevano accedere al programma europeo di ricollocazione legale in altri paesi europei», ha spiegato Giovanna Cavallo, attivista della Rete legale. «Tuttavia solo in 10mila hanno potuto viaggiare legalmente ed essere ricollocati. Uno su tre. Nel nostro caso siamo riusciti a farne partire 82». Nel 90% dei casi i migranti che avevano diritto alla relocation hanno dichiarato di non aver mai ricevuto in Italia una adeguata informazione sul programma.

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«Oggi quasi la metà degli accolti in Italia non è incluso»

Oltre alla relocation, il 6% dei 322 migranti presi in  carico dalla Rete legale sono richiedenti asilo “dublinati” – persone rispedite in Italia da altri paesi europei dal Regolamento Dublino III che affida la competenza ad esaminare la domanda d’asilo al primo paese di approdo  (per il Ministero dell’Interno sono aumentati del 900% tra 2015 e 2016) -. Tuttavia il dato allarmante è la crescente richiesta di sostegno dei fuoriusciti dal sistema di accoglienza per scadenza dei termini senza aver mai potuto intraprendere un percorso di inclusione sociale. Una situazione che riguarda sia persone che hanno già un permesso di soggiorno, sia persone che hanno visto respingere la domanda d’asilo. Una conseguenza, per Cavallo, del «sistema parcheggio che l’Italia ha messo su per rispondere all’emergenza del 2015, a cui non sono mai seguite progettualità di inclusione. Le persone sono così uscite dal sistema di accoglienza così come sono entrate. Oggi il dato è al 41%: la metà degli accolti in Italia non è incluso».

MURI PROCEDURALI. Sono emblematiche, da questo punto di vista,  le difficoltà  riportate da coloro che si avventurano nell’iter per richiedere la protezione internazionale. «C’è anzitutto un limite fisico», ha spiegato Francesco Portoghese di A Buon Diritto. «L’Ufficio Immigrazione, a Roma, accetta 20 nuove domande di protezione internazionale al giorno, spesso con quote numeriche diverse in base alle nazionalità. Se non si è tra i primi 20, si torna il giorno dopo. Se si è tra i fortunati, bisogna esibire il passaporto o una denuncia di smarrimento o furto (il cui possesso non è un requisito previsto dalla normativa). Noi ci abbiamo provato, ma tra denuncia in Commissariato e Ufficio immigrazione della Questura l’iter si interrompe». Se si riesce a superare anche questo muro e a fare domanda, arriva la verbalizzazione, che di muro ne introduce un altro: l’indicazione di un domicilio, che mette in evidente difficoltà chi è al di fuori del sistema di accoglienza.

MURI SOCIO-SANITARI. L’84% dei pazienti a cui Medu ha garantito una prima assistenza sanitaria ed un orientamento ai servizi non ha alcun accesso alle cure. «Nei nostri camper attrezzati abbiamo svolto nell’ultimo anno oltre 1500 visite per 868 pazienti, di cui 684 qui a Piazzale Maslax», ha dichiarato Adelaide Massimi di Medici per i diritti umani. in molti sono giovani (l’84% ha tra i 18 e i 30 anni) e minori (l’11%), spesso non accompagnati. «Sono soprattutto eritrei in attesa di relocation che non hanno avuto alcuna informazione allo sbarco e sudanesi che fanno avanti e indietro tra gli hotspot di Taranto e Ventimiglia, alcuni anche per dieci volte».

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«Continuiamo a ricevere aiuti da molte associazioni in Italia e all’estero e non ci fermeremo perchè il modello attuale di accoglienza non è sufficiente»

A Maslax «oltre l’80% delle persone ha subito gravi forme di violenza intenzionale, a partire dalla detenzione arbitraria. Le loro condizioni sanitarie sono il precipitato di abusi, violenze, semplici disattenzioni delle amministrazioni rispetto all’accesso ai servizi sanitari di base». Di qui la scabbia, le infezioni cutanee fino alle patologie polmonari.

«Negli ultimi mesi siamo intervenuti in un occupazione a Tor Cervara», ha spiegato Massimi. «Abbiamo così potuto toccare con mano la testa e la coda della mala accoglienza italiana: a Maslax emergono le falle della prima accoglienza e le conseguenze della mancanza di medici, mediatori, corretta informazione, anche sulla relocation. A Tor Cervara quelle della totale mancanza di inclusione e di progetti di autonomia: è lì che abbiamo incontrato molte delle persone uscite dall’emergenza Nord Africa e dall’accoglienza del 2013, finite direttamente sulla strada».

A Piazzale Maslax in molti hanno trovato rifugio dopo lo sgombero di Piazza Indipendenza dell’Agosto scorso. «Siamo occupanti, abbiamo scritto alle Ferrovie dello Stato che gestiscono questo spazio. Non abbiamo avuto risposta, ma è da Giugno che non veniamo sgomberati», ha ricordato Andrea Costa. « L’assessora Baldassare continua ad annunciare la riapertura del Ferrhotel addirittura entro Gennaio 2018, ma i lavori non sono neanche iniziati. Siamo uno spazio aperto», ha concluso l’attivista di Baobab Experience, «una delle tende ci è stata donata dalla Casa del Popolo di Torpignattara, mentre il tendone in cui siamo ce lo ha donato la Chiesa Mormone. Continuiamo a ricevere aiuti da molte associazioni in Italia e all’estero e non ci fermeremo perchè il modello attuale di accoglienza non è sufficiente».

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