BUTTERFLY: IL FILM CHE PRENDE A PUGNI GLI STEREOTIPI
La storia di Irma Testa, prima pugile italiana ad andare a un’Olimpiade. Nonostante tutto e tutti
03 Aprile 2019
Irma Testa ha i tratti gentili e un viso dolcissimo, da cerbiatto. A guardarla, a prima vista, non sembra che possa essere una combattente, una donna che sale sul ring e diventa una forza della natura. Irma Testa, la protagonista di Butterfly, il film di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman nelle sale dal 4 aprile, è stata la prima pugile italiana a disputare un’Olimpiade, quella di Rio del 2016. È un peso forse troppo grande da sostenere. I media le stanno addosso, vogliono la storia della ragazza del “ghetto” che vince le Olimpiadi e scrive la storia. Ma è una storia troppo bella. A Rio le cose non vanno come tutti speravano, non è il cinema e l’ultima ripresa non ribalta il match. E così, al ritorno a casa, iniziano ad uscire i dubbi: continuare o meno su questa strada? Rinunciare anche ai suoi vent’anni, dopo aver rinunciato ai propri diciott’anni?
SFONDARE LO STEREOTIPO. Irma vive in uno dei paesi più violenti del napoletano. La boxe, a cui si è avvicinata da bambina, seguendo la sorella, è un modo per lasciare quel mondo, per non prendere la strada più brutta, ma neanche quella più ovvia a Torre Annunziata: lasciare la scuola e lavorare troppo presto, o sposarsi e stare a casa. «Io ho avuto la fortuna di avvicinarmi allo sport e questo mi ha dato la possibilità di cambiare radicalmente la mia vita», ci ha raccontato Irma a Roma, in occasione della presentazione del film. «Certe cose una persona un po’ ce le ha dentro. Io ho sempre avuto dentro l’idea di sfondare, non nel senso di avere successo, ma nel senso di sfondare lo stereotipo. La donna di Torre Annunziata che deve stare in famiglia e lasciare la scuola mi stava stretta. Probabilmente anche senza lo sport ce l’avrei fatta lo stesso. Ma ci sono tante persone come me, che hanno questi desideri e non ce la fanno».
COME MILLION DOLLAR BABY. Butterfly riprende Irma nel periodo precedente all’Olimpiade, e in quello successivo. È la storia di un sogno, di una sconfitta, e di una rinascita. Fin dalle prime scene la vediamo con il suo maestro, Lucio Zurlo, 78 anni, che potrebbe essere il Mickey di Rocky, o il Frankie Dunn di Clint Eastwood di Million Dollar Baby. Tra lui e Irma, come tra Frankie e Maggie, c’è un rapporto che va al di là degli allenamenti. Lucio è quasi una figura paterna, l’unica presente nella vita di Irma. «È il mio salvatore, tutti quanti dovremmo avere un maestro Zurlo che ci prende e ci porta via dai posti brutti», ha raccontato Irma.
QUEI SACRIFICI CHE VANNO PERSI. I film sulla boxe sono sempre stati qualcosa di entusiasmante, e alcuni sono nella storia del cinema. Ma questo è un’altra cosa. La boxe ci viene raccontata anche dalla cronaca sportiva. Ma Butterfly è un’altra cosa ancora. È il racconto di una vita reale, di una passione. Raramente ci è capitato di vedere tutto quello che c’è dietro, quello che c’è prima, e quello che c’è dopo una competizione sportiva. Quegli allenamenti ossessivi, quelle ore interminabili passate a provare e riprovare i movimenti. Quel rapporto così particolare con le corde che delimitano il ring. «Le corde sono una prigione. Sul ring non c’è la porta, sei rinchiuso, ti manca il fiato» racconta Irma nel film.
Grazie al racconto di Butterfly riusciamo a vivere, come se ci fossimo anche noi, quei quattro, lunghissimi, anni di ritiro ad Assisi, nel centro sportivo della nazionale. E riusciamo a capire quel dubbio: se poi non vinci, tutti questi sforzi, questi sacrifici, questo tempo, dove vanno a finire? È tutto perduto? «La vittoria è una cosa bellissima, dopo tanti sacrifici e tante rinunce è l’incoronazione, è il prezzo che ti viene restituito» riflette l’atleta. «Con la sconfitta fai tanti sacrifici e tante rinunce che vanno persi. Per riprendere a farli col ricordo della sconfitta serve molto coraggio. Se lo trovi, è la tua vittoria personale».
GLI ERRORI. E poi c’è la famiglia. Perché, lontana da casa, Irma ha anche questo pensiero. La madre lavora tanto, il fratello minore non va bene a scuola. Quando è presente, Irma prova a seguire anche lui. «Passo tutto il mio tempo ad Assisi e a Roma, ma poi a casa ho una famiglia», ci racconta Irma. «Ho dovuto prendermi le mie responsabilità e capire quando dovevo abbandonarli. Poi dopo la sconfitta ho capito che era il momento di abbandonare la parte sportiva. La sconfitta è una delusione che ti porti dietro. Ho dovuto dedicare tempo alla mia famiglia».
«Ho cercato di far capire a mia mamma e mio fratello di non commettere gli errori che ho fatto io e che mia madre mi ha fatto fare» continua. «Mia madre era sempre assente per lavoro, mio padre non c’è mai stato».
IN UN ANGOLO. Irma Testa dopo quell’Olimpiade e quel momento di sfiducia è tornata alla boxe. Nel centro di Assisi. Ma, come Rocky, per trovare le motivazioni è dovuta tornare nella piccola palestra del suo paese, quella dove ha iniziato. Irma ha appena vinto gli Europei Under 22 in Russia. E ora ha l’obiettivo della prossima Olimpiade, Tokyo 2020. In Butterfly la vediamo già lanciata verso la sua attività di atleta. Ma immaginiamo che non deve essere stato facile, per una ragazza, entrare in un mondo, come quello della boxe, considerato solo maschile. Come accade tutte le volte che una donna vuole fare qualcosa e si sente dire che non può farlo.
«Quando ho iniziato c’erano quattro maestri e dei quattro nessuno mi considerava» ricorda Irma. «Ero in un angolino. Tutti mi dicevano di smettere: “vai a cucinare, vai a fare l’uncinetto, vai a fare danza». Ero una ragazzina, ero fragile, anche fisicamente. Lucio ha visto qualcosa in me, il fatto che continuassi ad andare in palestra nonostante nessuno mi considerasse. Lui veniva da solo e mi allenava. Bisogna continuare a credere nelle nostre passioni. Siamo un po’ stupidi se ci facciamo condizionare».