CANTIERI METICCI: L’ARTE COME PRESIDIO DEL TERRITORIO
A Bologna Cantieri Meticci lavora sull'arte della mescolanza per creare integrazione. E posti di lavoro. Abbiamo chiesto loro se c’è una formula, replicabile anche altrove
29 Gennaio 2018
Ahmed è un ragazzino scappato dalla Costa d’Avorio, dalla guerra. È stato invitato a un corso d’approfondimento al Met (Meticceria Extrartistica Trasversale) di Bologna. Ha visto dei tavoli che, la sera, diventano schermi, per delle cene/proiezioni. E ha detto di saperli fare anche lui, che è un falegname.
Oggi Ahmed lavora per Cantieri Meticci, associazione culturale che da anni trova nel meticciato – fra arti e fra persone – la sua cifra distintiva. Con lui ci sono trenta persone da paesi diversi: molti sono rifugiati politici, in alcuni casi erano artisti, altri si sono formati proprio qui. Cantieri Meticci, e il Met, sono l’esempio di come può una cultura influenzare un territorio, di come possono i luoghi di cultura non diventare i soliti luoghi di diseguaglianza.
IL TEATRO DELL’ARGINE. «Per noi la cultura deve essere terreno di giuntura» spiega Pietro Floridia, il fondatore. Cantieri Meticci vuole tentare di costruire una comunità di pratiche, in cui una passione comune possa tenere insieme tante persone. «Nel 1993 ho fondato il Teatro dell’Argine, una compagnia che ha fatto sempre teatro impegnato» ci racconta Floridia.
«Nel 2001 sono andato in Palestina per un lavoro teatrale, e ho avuto un’esperienza del senso della cultura e della resistenza attraverso il teatro molto forte. Ed è coincisa con una crisi sul senso del mio lavoro in Italia, e sul distacco tra il mondo teatrale e i mutamenti che la società cominciava ad avere, come gli inizi del fenomeno migratorio. Ho tentato, anche in Italia, di avvicinare l’altro con l’arte. Ho iniziato così il primo laboratorio in un centro d’accoglienza, e la cosa mi prendeva sempre di più, così come andare a lavorare nel Sud del mondo: Sud America, Africa, Medio Oriente. L’incontro con lo straniero mi rendeva sempre più “straniero” rispetto ai modelli del teatro convenzionale, pur politicamente impegnato».
Così, nel 2012, Floridia si “licenzia” e si porta dietro un po’ degli allevi, rifugiati e italiani, dei laboratori del suo vecchio teatro. Questo nucleo è diventato i Cantieri Meticci.
MESCOLANZE DI ARTI E TALENTI. «Per due-tre anni siamo stati ospitati in un centro culturale, fino a che abbiamo risposto a una call dell’Arci: dentro un supermercato si sono liberati 500 metri quadri, che Coop ha chiesto ad Arci di occupare con dei progetti culturali» ricorda il fondatore. «Così sono andato nella zona più multiculturale di Bologna, il quartiere Navile, per tutti Corticella.
Nel frattempo la mia poetica era cambiata: mi interessa di più una pluralità di arti e di artigianati che fare solo teatro. Oggi Cantieri Meticci è un insieme di atelier più disparati, dal collage al video, dalla fattoria alla falegnameria, dalla cucina agli spazi espositivi.
Ho conosciuto e lavorato, ho amato a sono diventato amico di centinaia di migranti: i saperi artigianali e il tema di generare lavoro, hanno spostato il discorso dal solo teatro a una mescolanza di arti e talenti». «Ci finanziamo vincendo bandi, giuridicamente siamo nati nell’aprile 2014, abbiamo vinto diversi bandi europei e, in cordata con altri soggetti, anche altri bandi, legati a progetti artistici, allo spazio pubblico, a categorie come i ragazzi di seconda generazione» precisa Floridia. «È il 70% dei nostri finanziamenti. Il resto sono laboratori teatrali, vendita di spettacoli, lavoro nelle scuole, e lo sbigliettamento da noi. Ma, essendo in estrema periferia, quando teniamo aperto è più un rimetterci che un guadagnarci».
LE COMPAGNIE DI QUARTIERE. Moschee, centri di accoglienza, centri sociali, parrocchie: grazie a Cantieri Meticci tutto l’anno diventano centri di laboratori teatrali, di danza, cucina, artigianato. La loro attività non avviene solo al Met, ma si diffonde nei territori, li vive e ne vive. L’arte così diventa presidio del territorio. «A proposito di territorio lavoriamo su più livelli» ci spiega Floridia. «Crediamo in un sapere antropologico, scenografico, architettonico, che possa, anche in modo estemporaneo, rendere un qualunque luogo – una moschea, una biblioteca, un centro di accoglienza – un luogo dove si riesca a far cultura insieme. Senza queste prime accensioni di bellezza non riusciamo a portare la gente da nessuna parte. È un livello che non è di presidio perché non è permanente, ma è importante per far scoppiare una prima scintilla. C’è poi un livello di presidio che riguarda una continuità che, in certi luoghi, è definire un territorio – un rione più che un quartiere – e in qualche modo conoscerlo perfettamente». È un percorso che avviene per fasi, con un metodo ben preciso. «La prima operazione è costruire le drammaturgie a partire dalle voci del quartiere» ci spiega il fondatore. «Facciamo laboratori di narrazione dal bar, dalla parrocchia, dalla moschea, interviste individuali e collettive; tutto viene elaborato drammaturgicamente, e infine restituito al territorio, con installazioni, rappresentazioni itineranti, nelle strade, negli appartamenti. Così facendo, dopo due-tre anni si crea una relazione tra un gruppo di noi e quel territorio. E che sta dando i primi frutti in quelle che sono le compagnie meticce di quartiere, un livello intermedio, non un laboratorio di base né la compagnia che ha sede nel MET: sono giovani artisti, attivisti, guidati da due-tre di noi».
Nei luoghi dei migranti, così, vengono portati i ragazzi italiani che vogliono fare teatro, nei licei di Bologna vengono invitati i minori stranieri non accompagnati per creare unioni, in un continuo incrocio di talenti. L’idea è che la cultura possa tentare di plasmare un territorio solo se esercitata da gruppi. È l’arte della mescolanza. «La definirei, da un lato, una serie di comunità di pratica, anche tra chi non ha niente in comune» ci spiega Floridia. «Dall’altro, stiamo cercando di sviluppare tecniche di ogni tipo – un certo tipo di rituali, di concezione dello spazio, di narrazioni reciproche, soprattutto il fare assieme cose concrete – che trovino delle cuciture, delle saldature tra persone dalle esperienze più diverse. Nel nostro caso non è solo la provenienza culturale: c’è chi è ricercatore universitario e deve trovare una ragione di lavoro insieme con qualcuno che non sa né leggere né scrivere, professionisti dell’arte con normali cittadini. Io credo molto nel cercare di sviluppare saperi concreti, nel tentativo di generare gruppi, collettivi. Sono sempre stato affascinato dal sistema Abreu, che questo maestro di musica venezuelano ha sviluppato fondando orchestre. Va bene far studiare i singoli, ma dove tutto ciò semina organismi collettivi è tutto molto più interessante».
UN’ESPERIENZA REPLICABILE? A noi che osserviamo questa esperienza da lontano, dal Lazio, interessa anche capire se c’è una ricetta per un’esperienza di questo tipo, se è qualcosa riproducibile anche altrove. «Le ricette sono due o tre» ci risponde Pietro Floridia. «Da un lato la formula con cui riassumo tutto, la creazione di gruppi meticci, guidati da leader sia italiani e migranti, che in qualche modo si coagulano attraverso format artistici nello spazio pubblico: cene spettacolo nelle case, installazioni nelle strade o nelle piazze, format ibridi che devono tentare di intervenire negli spazi pubblici e aprire mercati culturali altri, che devono stare al passo coi tempi. Un’altra formula ha a che fare con l’entusiasmo che moltissime persone hanno per il teatro: se riesci a sposarla con un buon lavoro dei professionisti, hai trovato una formula che puoi basare non solo su quei venti che fanno il corso, ma anche su tutti quelli che vedono questo. Terzo discorso: la valorizzazione dei saperi pregressi dei migranti. Se chiedi loro che ti recitino Shakespeare dopo sei mesi, sei fregato. Se riesci a valorizzare i corpi, il sapere artigianale, la cucina, delle drammaturgie di chi ha avuto esperienze del mondo completamente diverse dalla tua e hanno una forza di senso che i nostri si scordano, se tutto questo lo metti a valore e ti metti nei mercati che non siano quelli canonici, alcuni ragazzi diventano non un problema ma una risorsa. Credo moto nell’artigianato, nel saper costruire cose, che trasformano uno spazio non adatto in un luogo bello, nel saper fare arte dove le persone sono già. Ti puoi permettere di andare da pubblici che non prenderebbero in considerazione di venire loro da te. Stiamo dando 18 part time a 18 ragazzi, stipendi dai 500 agli 800 euro. Non è molto. Ma in questi tempi, nel mondo della cultura, non è che ci riescano in tanti».
In copertina una passeggiata romantica a Bologna. Le immagini sono tratte dalle pagine FB di Met e dell’associazione Cantieri Meticci