CAPORALATO: SATNAM SINGH È IL SIMBOLO DELL’INDIFFERENZA DELLE ISTITUZIONI

Così Marco Omizzolo sulla vicenda di Satnam Singh e su caporalato e sfruttamento nei campi, che nel basso Lazio restano allarmanti. «Il terzo settore ha dimostrato una maturità che le istituzioni continuano a non avere, ma da solo non può farcela. Servono politiche innovative: in Italia siamo ancora alla Bossi-Fini»

di Giorgio Marota

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Si muore carbonizzati dentro un container, schiacciati da una macchina, per colpa delle esalazioni, ai lati di una strada mentre si ritorna a casa di notte in bicicletta dopo turni estenuanti nei campi e impiccati a un albero dopo aver perso la speranza di ottenere un permesso di soggiorno. Oppure davanti alla propria abitazione provvisoria con il braccio mozzato, come Satnam Singh, abbandonato lì dal datore di lavoro. Semplicemente, si muore. Nel modo più atroce e disumano possibile, nel silenzio generale, o al massimo accompagnati da poche righe su un giornale locale o da qualche giorno di indignazione pubblica nei casi più eclatanti, come nella storia del 31enne indiano che si sarebbe potuto salvare se solo fosse stato fornito un soccorso tempestivo. Qualche lacrima, i discorsi dei politici, le proposte di legge, gli appelli condivisi, poi queste storie tornano nell’oblio.

Solo nella provincia di Latina 30mila Satnam Singh

Satnam Singh
Omizzolo: «Satnam è il simbolo di questa indifferenza, che si occupa della questione sfruttamento solo quando ci sono le vittime»

Sono decine di migliaia i lavoratori sfruttati, malpagati e vessati nel nostro Paese – una Repubblica democratica fondata sul lavoro – da Nord a Sud, con Veneto, Lombardia, Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia tra le regioni dove la piaga appare più evidente. Vivono da schiavi per guadagnare pochi soldi, illusi da promesse di benessere e stabilità economica. Solo nella provincia di Latina sono circa 30mila le persone che lavorano in nero per raccogliere pomodori, cocomeri, ortofrutta e kiwi da immettere poi nel circuito della grande distribuzione. Un esercito di invisibili che lavora anche 14 o 15 ore al giorno, in qualsiasi condizione atmosferica (dai 40 gradi ai sotto zero) per paghe molto basse (2 o 3 euro l’ora), in attesa di ricevere i documenti o in clandestinità. Esiste una vera e propria tratta, simile a quella che dal nord Africa porta i migranti in Italia: il viaggio che dall’India arriva fino ai campi da coltivare nel basso Lazio, tra Latina, Sabaudia, San Felice Circeo e Terracina può ad esempio arrivare a costare fino a 10 mila euro. Alcuni vengono anche drogati con stupefacenti o antidolorifici per non far percepire dolore e stanchezza nei turni più massacranti. Gli alimenti che ogni giorno arricchiscono la nostra tavola sono macchiati del sangue versato per produrli a basso costo.

Conversione dei permessi di lavoro e modifica dei servizi ispettivi

Sui 20 mila lavoratori agricoli “regolari” nell’Agro Pontino quasi 19 mila sono stagionali e, secondo il quadro delineato dall’ufficio studi dell’Unione Italiana dei Lavori Agroalimentari (Uila), 13.338 sono stranieri e 5.463 italiani. Il rapporto è di 7 su 10. Regolarità del rapporto, in casi come questi, non significa necessariamente tutela dei diritti. «Gli irregolari sono almeno quanto i regolari e forse anche di più», il pensiero di Giorgio Carra, segretario territoriale Uila per Latina e Frosinone. Fra i lavoratori stranieri, il 60% sono indiani, poi ci sono tutte le altre etnie. Fino a qualche tempo fa era fortemente presente anche la comunità romena, ma al momento del bonus 110% i braccianti romeni si sono quasi tutti spostati sul settore edile. Nel frattempo, sono cresciute le comunità centro-africane, bengalesi e pakistane. «Quello che bisogna fare» suggerisce Carra all’Ansa «è non incrementare ulteriormente i flussi stagionali. Fermarsi con i nuovi ingressi e passare alla conversione dei permessi di lavoro stagionale in permessi di soggiorno per lavoro subordinato». Ma non solo: «Va modificato il modo in cui si muovono i servizi ispettivi: quando verificano la regolarità di un lavoratore non basta un foglio di via, devono tutelare il lavoratore. Solo in questo modo il lavoratore sarà portato a denunciare lo sfruttamento».

Omizzolo: c’è stato un lasciapassare accordato al sistema di sfruttamento

Satnam Singh
Omizzolo: «Fingendo che il problema non esista, le istituzioni sono colpevoli»

Di questo dramma abbiamo parlato con il sociologo Marco Omizzolo, responsabile scientifico della coop. In Migrazione, presidente del centro studi Tempi Moderni e ricercatore Eurispes, impegnato da anni per contrastare le mafie, la tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo e il caporalato. Il 18 aprile del 2016 Omizzolo ha animato lo sciopero che ha portato oltre 4000 braccianti indiani sotto la Prefettura di Latina per protestare contro i loro sfruttatori. Da allora, cosa è cambiato? «Per le istituzioni niente, loro restano drammaticamente lontane da questo fenomeno, che è sociale e criminale al contempo. Sono lontane perché non sanno cos’è il caporalato, come è organizzato e non vogliono intervenire nel merito per debellarlo completamente». Secondo Omizzolo, «Satnam è il simbolo di questa indifferenza, che si occupa della questione sfruttamento solo quando ci sono le vittime. E nel caso specifico, vittime brutalizzate in modo totalmente inaccettabile. C’è stato un lasciapassare accordato al sistema di sfruttamento in questo lungo periodo politico e così i morti nelle campagne, nell’edilizia e nella grande distribuzione aumentano». Solo nell’Agro Pontino, sempre tra gli immigrati, ci sono stati 15 deceduti sul lavoro tra il 2022 e il 2023. Il tema è però sempre di più nazionale. «Secondo l’osservatorio Placido Rizzotto, il numero di persone variamente sfruttate solo nel settore agroalimentare sono 450mila. Di queste, 230mila vivono condizioni gravi di sfruttamento». Una ricerca definitiva non è stata ancora compiuta, poiché parliamo di anime invisibili. «Più si indaga, più emergono forme diversificate di emarginazione e umiliazione». Ma perché la provincia di Latina si è trasformata in un humus così fertile per la proliferazione del verme dello sfruttamento? «Prima di tutto perché c’è una straordinaria vocazione agricola», spiega il sociologo, «e questa nicchia è stata occupata a metà degli anni Ottanta dalla comunità indiana originaria del Punjab. Qui c’è un tema culturale: questa comunità ha una specifica concezione religiosa del lavoro come attività sociale e di impegno necessario». L’inganno è presto consumato: «C’è una combinazione tra domanda di lavoro, disponibilità al massimo sacrificio da parte dei braccianti di religione sikh e scarsi strumenti di integrazione. Non a caso, il bracciante in questa logica malata deve essere poco formato e non conoscere la lingua». Uno dei primi ad affrontare scientificamente la questione è stato Alessandro Leogrande con il suo libro del 2016 Uomini e caporali (Feltrinelli). «Fingendo che il problema non esista, le istituzioni sono colpevoli», il pensiero netto di Omizzolo. E il volontariato? «Il terzo settore da tempo si interessa al tema tramite iniziative, riflessioni, proteste, seminari e formazione. Il fenomeno è articolato e complesso, comprende una sintesi di violazioni dei diritti del lavoro, di quelli umani, di questioni ambientali, di tratta internazionale e non può essere affrontato da un approccio semplicistico» argomenta l’esperto. Il terzo settore «ha dimostrato una maturità che le istituzioni continuano a non avere», ma da solo – pur con l’impegno costante delle associazioni e la volontà comune di fare rete – non può farcela. «Servono politiche innovative: in Italia siamo ancora fermi alla legge Bossi-Fini che da oltre 20 anni regolamenta la questione migratoria».

CAPORALATO: SATNAM SINGH È IL SIMBOLO DELL’INDIFFERENZA DELLE ISTITUZIONI

CAPORALATO: SATNAM SINGH È IL SIMBOLO DELL’INDIFFERENZA DELLE ISTITUZIONI