CASTELNUOVO DI PORTO E LE SPERANZE DISUMANAMENTE SPEZZATE
Portate via stamane altre 70 persone, si raggiunge domani quota 305. Zubaydi: «Se c’è un sistema che funziona non so perché dovrebbe essere chiuso».
25 Gennaio 2019
Intorno alle 10.30 di stamattina sono partite altre 70 persone. Domani si raggiungerà la quota 305. A Castelnuovo di Porto non sono servite le marce silenziose, i cittadini che hanno tentato di bloccare i pullman, le dichiarazioni della massima carica istituzionale e del parroco. Il Cara chiude per ordine del Ministero dell’Interno, secondo quanto stabilito dal Decreto Sicurezza. Eppure troppe domande restano aperte. Nonostante le grandi dimensioni (era uno dei più grandi d’Italia), il Cara di Castelnuovo di Porto era una buona prassi, una esperienza felice di integrazione. Perché allora proprio Castelnuovo? Perché interrompere percorsi di integrazione sociale e lavorativa già avviati, togliere bambini e ragazzi alla scuola (in molti erano iscritti a medie e superiori)? Perché agire così, con l’esercito, senza preavviso prendendo centinaia di persone e spedendole come pacchi postali? Soprattutto, per mandarle dove? Per avviare forse nuovi percorsi di integrazione smontando quelli già costruiti? Per rimpatriarle? Per lasciarle per strada? «Gli aventi diritto allo status di rifugiato entro il 31 gennaio saranno ricollocati in altre strutture che hanno liberato posti», ha dichiarato in questi giorni il ministro Salvini. Ma che senso ha interrompere qualcosa che funziona per ricominciare daccapo? E comunque gli altri? Che fine fanno i titolari di protezione umanitaria che con il decreto Salvini perdono il diritto all’accoglienza?
DOMANDE SENZA RISPOSTA. «Al 21 gennaio scorso al Cara erano presenti 535 persone», ci spiega Akram Zubaydi, direttore del Cara di Castelnuovo. Poi il 22 gennaio il blitz: poche ore di preavviso e l’esercito, a portare via un primo nutrito gruppo. «Nella settimana dal 22 al 26 l’ordine è stato quello di trasferire 305 persone. Questa la comunicazione ufficiale. A cui si è aggiunta una comunicazione verbale per cui tutti gli altri dovranno essere trasferiti entro la fine del mese». Per andare dove? Di preciso non si sa. O meglio, come spiega Zubaydi, «delle persone partite la prima settimana sappiamo solo che sono state mandate in tutte le regioni italiane. Per la settimana prossima siamo in attesa di disposizioni. Sappiamo solo questo, la regione di arrivo. Solo per alcuni abbiamo saputo che sono destinati a Torino, tutti gli altri arriveranno presso le prefetture di competenza e successivamente saranno distribuiti. Dove esattamente non sappiamo». «Per i titolari di protezione umanitaria non si hanno notizie ufficiali di rimpatri, abbiamo notizia soltanto di tre persone che hanno ricevuto il permesso di soggiorno umanitario e che ora non hanno diritto alla seconda accoglienza».
A Zubaydi abbiamo chiesto che idea si siano fatti loro sulla decisione di chiudere il Cara di Castelnuovo di Porto e sulle modalità in cui questa decisione è stata messa in atto, ma lui una risposta non ce l’ha. « Sono anch’io una vittima di questa decisione. Nel momento in cui c’è un sistema che funziona e che funziona da tutti i punti di vista, nell’integrazione, nell’inserimento lavorativo, a livello linguistico, psicologico, sociale, non posso sapere perché dovrebbe essere chiuso». Una domanda, per il direttore del Cara, da fare al Ministro dell’interno. «I centri di grandi dimensioni come il Cara di Castelnuovo di Porto sono il modo migliore di fare prima accoglienza, aggiunge. «Sono fondamentali per aiutare le persone nell’orientamento territoriale, legale e al sistema sanitario. L’accoglienza diffusa dovrebbe arrivare successivamente, dopo che la persona ha ricevuto i primi strumenti minimi di orientamento per affrontare le piccole comunità e poi arrivare all’autonomia. Con l’accoglienza diffusa si prende una persona, si porta in un paesino in Abruzzo di mille abitanti, e lì non trova un mediatore che lo segua h24, nessuno che insegni modalità e regole del territorio. Se il primo amico che incontra è un delinquente, allora è rovinata».
A Castelnuovo molti erano da anni integrati, iscritti regolarmente a scuola, inseriti nella vita parrocchiale, attivi nei lavori socialmente utili, come ha dichiarato nei giorni scorsi Josè Manuel Torres, il parroco di Castelnuovo di Porto che, come il sindaco della cittadina, si è più volte e con decisione espresso contrario a questa decisione. «Non sappiamo dove andranno a finire almeno 200 persone», ha dichiarato nei giorni scorsi il parroco. «Hanno voluto sgomberare il centro velocemente in modo misterioso: l’autista del pullman nemmeno sapeva dove doveva andare, forse in Basilicata». Una storia di strade interrotte, come quella di Cissè, 20 anni, originario del Senegal, centravanti della squadra di calcio locale che in questi giorni ha detto «Non so dove mi porteranno e se potrò continuare a giocare».
107 FAMIGLIE SENZA LAVORO. La cooperativa Auxilium gestiva i servizi all’interno del Cara. «Che offriva un supporto a tutto tondo» come spiega Akram Zubaydi. «Un supporto medico e infermieristico attivi h24, il servizio normativo e legale; il servizio di supporto socio-psicologico con assistenti sociali e psicologi; il servizio di inserimento linguistico e mediazione; l’assistenza alle persone e la distribuzione dei pasti. Insomma, tutto quello che può servire ad assistere una persona nel quotidiano». Ieri c’è stato un sit-in davanti al Mise a sostegno dei lavoratori del Cara, «107 persone che dal primo febbraio saranno senza lavoro. Dopo quasi un’ora e mezza di proteste siamo stati ricevuti dal segretario del Ministro. È stato deciso che sarà aperto un caso di crisi e che entro il 31 gennaio si terrà un tavolo di confronto tra i Ministeri dell’Interno e del Lavoro, i sindacati, l’azienda e il sindaco di Castelnuovo. Ora attendiamo questo tavolo di confronto, vedremo cosa ne uscirà». «Ho paura, devo ricominciare a vivere in un’altra città, lasciare i miei amici», ha raccontato a Tg 2000 Lamin Sana, un ragazzo di vent’anni di origini senegalesi. «Sto andando via, non so come posso vivere, dove devo andare».
Poi sarà la volta del cara catanese di Mineo, e Bologna, Bari, Borgo Mezzanone, vicino Foggia, e Crotone.
Se avete correzioni o suggerimenti da proporci, scrivete a comunicazione@cesv.org