CARCERE: IL CALDO NON È EMERGENZA
Il caldo non è emergenza, arriva ogni anno, è prevedibile e in carcere basterebbe una seria programmazione. Libianchi: «L’approvvigionamento d’acqua è uno degli obiettivi dell’OMS per il Terzo Mondo. Noi abbiamo questo problema nelle nostre carceri»
12 Luglio 2024
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È arrivata l’estate ed è arrivato, come ogni anno, il grande caldo: le massime in questi giorni sfiorano i 40 gradi. È quel periodo dell’anno in cui i telegiornali se ne escono con i famosi decaloghi per combattere le alte temperature, che poi ogni anno sono sempre gli stessi. Non c’è nessuno, o quasi, che si preoccupa dell’emergenza caldo che soffre chi si trova in carcere. Un luogo dove, insieme alla libertà, è spesso negata anche la dignità. Chi è in carcere non può aprire le finestre o accendere un condizionatore. Spesso neanche farsi una doccia o bere un bicchier d’acqua. Eppure l’emergenza caldo in carcere non è un’emergenza perché il caldo arriva ogni anno ed è assolutamente prevedibile. Ne abbiamo parlato con Sandro Libianchi, medico e presidente di Co.N.O.S.C.I., Coordinamento Nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane e con Monsignor Benoni Ambarus, Vescovo Ausiliare di Roma.
Stiamo toccando il fondo
Che il caldo sia un problema grave per chi vive in carcere è evidente. «La temperatura è uno dei determinanti di buona salute fisica e mentale delle persone che vivono in un contesto confinato» ci spiega Sandro Libianchi. «In questa estate in cui, in libertà, si va al mare, si aprono le finestre, si usano i condizionatori, si riesce a sostenere una temperatura imbarazzante. Chi ha una limitazione di libertà personale non può fare niente di tutto ciò e subisce una temperatura ambientale elevata, fastidiosa e anche pericolosa, perché ci sono detenuti anziani, come gli ergastolani, che sono diverse migliaia di persone. Si fa tanta pubblicità all’esterno, per le condizioni di salute degli anziani durante le ondate di calore, ma quando l’anziano è un detenuto non ci pensa nessuno». «Le persone subiscono questo stato di cose, compreso chi in carcere ci lavora» aggiunge. «Chi lavora nelle sezioni, negli ambulatori da operatore subisce le stesse problematiche, solo che ha la prospettiva di tornare a casa la sera». «Non è corretto parlare di emergenza carcere per il caldo» interviene Monsignor Benoni Ambarus. «Stiamo toccando il fondo per l’emergenza carcere punto. Sembra che i detenuti siano diventati la spazzatura umana di cui non si occupa nemmeno lo Stato. La mancanza di agenti penitenziari sta continuando a ridurre l’ingresso dei volontari. E i carcerati si trovano con il deserto attorno. I sacerdoti sono quelli che stanno lì sul pezzo senza arretrare».
Primo: i frigoriferi
Eppure le cose da fare per migliorare le cose non sarebbero davvero impossibili. «La strategia è quella che chiediamo da trent’anni» commenta Libianchi. «Se fai una programmazione per combattere le alte temperature oggi, ci metti gli anni successivi per metterla in atto. Ma se non programmi tutte le volte ci si trova di fronte all’emergenza caldo. Ma quale emergenza? Il caldo torrido ormai arriva ogni anno». La prima cosa da fare sarebbe molto semplice. «Basterebbe un frigorifero per ognuna delle sezioni. Con un grande frigorifero, o due o tre, a seconda delle dimensioni delle sezioni, calcolando il numero dei presenti, si risolverebbero molti problemi. Li devi prendere tutti adesso? No: basta programmare. E possono servire per la conservazione dei cibi. Che è un altro problema: in carcere i cibi che cucino non possono essere conservati e li devo buttare. Dal punto di vista igienico la cosa sarebbe da verificare. Quando a un frigo hanno accesso tante persone, e i modi di conservare sono tanti e diversi, è necessario che ci siano delle istruzioni per l’uso».
Secondo: i ventilatori
È altrettanto intuitiva la seconda cosa che migliorerebbe la vita dei detenuti d’estate. «La cosa, in cui in maniera veramente provvidenziale, ha provveduto il Vaticano, sono i ventilatori» spiega Libianchi. «Ne hanno comprati un migliaio. Che per le 198 strutture penitenziare italiane non sono ancora sufficienti, ma è qualcosa. Anche il ventilatore di per sé, come il frigorifero, è un elettrodomestico che costa molto poco. Se ci fossero dei ventilatori distribuiti più saggiamente sarebbe una buona cosa». «La Chiesa e la CEI hanno consegnato in giro per l’Italia qualche migliaio di ventilatori, come simbolo di attenzione» spiega Don Ambarus. «Non ci sono ad oggi iniziative così specifiche sul discorso del caldo. Si sta tentando di tenere il punto sui bisogni più essenziali che stanno aumentando. Una fetta di popolazione, sempre più grande, non ha nessuno e non ha nulla. Se uno non ha uno shampoo per lavarsi non ha i vestiti per cambiarsi, la possibilità di fare una telefonata, è chiaro che provi a fare di tutto per migliorare la sua condizione».
Terzo: l’acqua
E poi ci sarebbe un altro accorgimento, forse il più semplice di tutti. «Lasciare provviste d’acqua a disposizione» ci illustra Sandro Libianchi. «Altrimenti mi devo comprare l’acqua. O mi devo attaccare al rubinetto del bagno per sopravvivere. È una cosa indegna. Devo avere una scorta d’acqua – di sezione, di stanza o di corridoio – a disposizione, con un rifornimento settimanale. Quanto costa una bottiglia d’acqua? Niente. L’approvvigionamento d’acqua è uno degli obiettivi dell’OMS per il Terzo Mondo. È un problema del Terzo Mondo e noi lo abbiamo nelle nostre carceri».
Aprire le porte: è possibile?
Questi sono i tre pilastri per limitare il problema del caldo in carcere. Ma ci possono essere altri accorgimenti. Ad esempio quello di tenere aperte le porte. «Sarebbe importante» commenta Libianchi. «Il problema del blindo aperto è un po’ complesso. Non per le fughe, ma perché dare una regola per tutte le strutture penitenziarie non è facile. Le strutture sono tutte diverse. Non tutte le carceri hanno un blindo; alcune, come Regina Coeli, hanno una porta di legno, che, nella parte posteriore, non ha una grata. In molti luoghi c’è una doppia porta: quella esterna è oscurata, non fa passare l’aria e la luce, e l’altra è un cancello di ferro. La prima porta si può lasciare aperta dove ci sia il blindo dietro con le sbarre. Certo, ci sono alcuni reparti di alta sicurezza in cui non è consigliabile lasciare aperto: allora incrementi tutto e dai un ventilatore per stanza».
La questione delle docce
Un altro accorgimento sarebbe quello di lasciare la possibilità di effettuare docce più liberamente, e non solo in orari bloccati. «La doccia è un provvedimento di igiene personale, che deve essere conservato» ragiona Libianchi. «Le docce devono essere aperte a più riprese. Deve essere autorizzata una a giorno, o forse di più, per ogni persona che lo richieda. A volte ci si fissa su dettagli come gli alti consumi di acqua. Stai impiegando provvedimenti di igiene personale, essenziali in una comunità confinata: dire che si consuma l’acqua è idiozia di qualche amministrativo. In realtà stai impedendo che poi si ricorra a cure con gli antibiotici a persone che si sono infettate, che costano di più dell’acqua che impeghi».
Il compito della Asl
Si tratta di programmare, di fare una strategia, di «avere una visione allargata» continua Libianchi. «E su questo si dovrebbero muovere, cosa che ho visto rarissimamente, i dipartimenti di prevenzione delle Asl, da cui dipende l’igiene ambientale dei locali sottoposti alla loro sorveglianza. I dipartimenti di prevenzione delle Asl devono sorvegliare il mantenimento delle condizioni di igiene anche nelle carceri ai sensi della Legge 345 del 26 luglio 1975 che all’art. 11 prevede che “Il medico provinciale visita almeno due volte l’anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti”. E devono dare vere e proprie prescrizioni che devono essere rispettate».
Don Ambarus: «Le istituzioni non distolgano lo sguardo»
Monsignor Benoni Ambarus chiude con un appello. «Un problema che esiste oggi di cui non ci si occupa diventa un’esplosione domani, di cui ci si dovrà occupare» ammonisce. «Chiedo alle istituzioni di non distogliere lo sguardo. È una polveriera che potrebbe esplodere, con costi poi altissimi. Non distogliamo lo sguardo: dopo il vento segue la tempesta. Non è una minaccia ma uno scenario che sta prendendo forma. Non possiamo non occuparci del carcere e dei carcerati, che sono delle persone».