CASE FAMIGLIA: NON SI PUÒ ESSERE ADULTI A 18 ANNI
Appena maggiorenni devono lasciare la comunità o la famiglia affidataria. Ora i Care Leavers si sono riuniti in un network, per far sentire la loro voce
18 Luglio 2017
Non abbiamo neanche un termine per definirli, e così dobbiamo ricorrere all’inglese: si chiamano Care Leavers e sono i ragazzi e le ragazze che stanno lasciando o hanno appena lasciato le comunità o le famiglie affidatarie, con cui hanno trascorso un pezzo importante della loro vita. Per legge, a 18 anni devono lasciare le case famiglia, ma è davvero difficile immaginare che, in Italia, a quell’età un ragazzo possa essere completamente autonomo e indipendente. Così si rischia di spezzare percorsi di studio, di condannare alla precarietà più totale, di tranciare legami e punti di riferimento.
In Italia sono circa 3mila, hanno storie piene di “spine” alle spalle, ma vogliono dire la loro su se stessi e sul proprio futuro. Ieri i loro rappresentanti si sono riuniti a Roma, grazie a un’iniziativa di Agevolando, l’ associazione nata da alcuni giovani che hanno trascorso parte della loro infanzia e adolescenza “fuori famiglia”, che ha l’obiettivo di limitare i danni che nascono dall’assenza di supporto sociale quando i ragazzi devono lasciare le comunità e le famiglie affidatarie. Da Agevolando è nata la rete informale Care Leavers Network Italia, che ha celebrato la sua prima Conferenza nazionale, con il titolo “In viaggio verso il nostro futuro”.
L’INDAGINE. Durante la conferenza sono stati presentati i risultati dell’omonima indagine, che ha coinvolto 190 Care Leavers. Sono ragazzi italiani e stranieri, tra i 16 e i 25 anni.
Il percorso di accoglienza è valutato molto positivamente: per il 94% è stato un’opportunità di cambiamento, per l’85% un’ancora di salvezza e l’occasione per costruire legami importanti (89%). Ma è stato anche un’esperienza faticosa (78%). Solo il 9%, comunque, ritiene che sia stata un’esperienza negativa, anche se la maggior parte (53%) denuncia il fatto che il percorso non ha aiutato a migliorare i rapporti con la famiglia di origine.
IL PROTAGONISMO DEI RAGAZZI. Il tema della giornata, però riguardava il protagonismo dei ragazzi nel proprio percorso. Quasi metà dichiara di non aver partecipato alla costruzione del PEI (progetto Educativo individualizzato), oppure non sa se lo ha fatto. Solo il 56% ritiene che il proprio punto di vista è stato preso in considerazione nelle scelte fatte.
E forse anche per questo i ragazzi si sono trovati spiazzati dal percorso di uscita: quasi la metà lamenta che non c’è stata una pianificazione graduale, anche se il 60% dice di aver potuto usufruire di tappe-cuscinetto (una comunità di alta autonomia, un luogo dove andare a vivere, un progetto personalizzato…).
Il professor Valerio Belotti dell’Università di Padova, intervenendo all’incontro, ha ricordato che se si dà ai Care Leavers la possibilità di partecipare alle scelte sul proprio percorso, si aumenta il loro senso di responsabilità, la determinazione nel rispettare i propri obiettivi, si fa crescere l’autostima, e complessivamente gli interventi diventano più efficaci.
OTTIMISTI SUL FUTURO. Nonostante tutte le difficoltà, i ragazzi dichiarano di essere ottimisti sul proprio futuro (il 67% lo è molto) e di avere una rete relazionale – soprattutto amici – su cui contare (72%). È alto anche il tasso di partecipazione ad attività di volontariato (34%), a gruppi sportivi (24%) o parrocchiali (17%): complessivamente il 66% fa parte di un gruppo o di una associazione.
Le loro richieste sono raccolte in un libretto, “In viaggio verso il nostro futuro. L’accoglienza fuori famiglia vista con gli occhi di chi l’ha vissuta” e in un documento che si può scaricare qui. Chiedono tempo, ascolto, sicurezza. Chiedono di poter mantenere i contatti con i fratelli, i legami con gli operatori, la possibilità di sognare.
Come ha scritto uno di loro: «Chiedeteci come stiamo e come va il resto della nostra vita»