CENTRI ESTIVI: CÈ CHI APRE E CHI NON CE LA FA. E QUALCHE ISTITUZIONE VIRTUOSA
Per le associazioni c’è il problema degli spazi, ma c’è chi lo ha risolto. Nei centri privati i costi aumentano. E qualche istituzione ha avviato buone prassi
09 Luglio 2020
Sono stati tre mesi durissimi per i bambini, e di conseguenza per le famiglie, quelli del lockdown dovuto all’emergenza Coronavirus. La chiusura delle scuole, la didattica a distanza, la difficoltà nel non vedere gli amici per i bambini, e di conciliare famiglia e lavoro per gli adulti. Dal 15 giugno hanno riaperto i centri estivi, che, al netto di tutte le preoccupazioni nel riportare i bambini in situazioni di socialità, dovrebbero costituire un sollievo per i bambini e le famiglie. Ma, da subito, su Reti Solidali abbiamo lanciato un allarme. Viste le linee guida rigide, e sacrosante, in termini di sicurezza, molte realtà si trovano in difficoltà. E sono soprattutto le più piccole, come associazioni e parrocchie, quelle che hanno meno forze su cui contare, a doversi fermare, spesso anche perché non aiutate dalla istituzioni. Il rischio è che l’offerta si stringa sempre più verso le realtà private, quelle che offrono dei servizi a pagamento, e che quindi una parte della cittadinanza ne sia esclusa. Anche perché i costi aumentano. Nel nostro viaggio abbiamo incontrato associazioni che non ce l’hanno fatta ad aprire, altre che ci sono riuscite, e abbiamo conosciuto il modello messo in pratica dal Municipio Roma VIII, che, a differenza di altre istituzioni, ha preso in carico in prima persona l’organizzazione e ha fornito gli spazi.
La Rete di Pontinia si deve fermare
La Rete di Pontinia – ma è attiva anche in altri comuni – è un’associazione di volontariato di famiglie con figli disabili. È formata tutta da volontari e si occupa di far avere pari opportunità ai ragazzi con una serie di laboratori manuali, teatrali musicali ma anche sportivi: almeno due pomeriggi a settimana erano dedicati all’attività fisica. Dopo un lockdown per nulla facile, le attività de La Rete questa estate dovranno fermarsi. «Nel piano territoriale regionale emanato a fine maggio noi siamo assimilati ai centri diurni» ci spiega Laura Andriollo. «Le norme sono abbastanza restrittive. Nel nostro centro potevamo ospitare una ventina di ragazzi: adesso ne possiamo ospitare fino a undici, compresi i volontari, che al momento erano tre, e una responsabile del laboratorio. In questo modo nei locali potremmo mettere sette ragazzi. Abbiamo dei pulmini per andare a prendere i ragazzi, e sul pulmino da nove persone ora ce ne potrebbero entrare solo cinque compreso l’autista». Il punto è che, nel caso di persone con disabilità, alcuni concetti non sono semplici di assimilare. «Ci sono dei ragazzi che non capiscono il significato della distanza sociale e della mascherina, e avrebbero bisogno di un’assistente specifica per loro». Il problema de La Rete, e di tante altre associazioni, è prima di tutto quello dello spazio. «Stiamo pensando di trovare una sede più grande, dove, sempre mantenendo la distanza, facendo lavorare i ragazzi su dei tavolini singoli, rispettando le norme, i ragazzi possano stare tutti insieme» ragiona Laura Andriolo. «Se fai un gruppo di sette persone, poi rimangono quelle. E invece i ragazzi hanno bisogno di socializzare. Ci sono stati dei casi in cui, con i familiari, si sono incontrati parco di Sabaudia per rivedersi e cominciare a far capire loro cosa significa la distanza di un metro. Con i cinesini, i coni atletica leggera, a distanza di due metri, abbiamo cominciato a far capire loro cosa significa. Più di qualcuno di loro è regredito stando a casa, senza stare con gli altri, senza le regole, le routine quotidiane». Il discorso, parlando di disabilità, è ancora più complicato: per certi ragazzi il contatto fisico con gli operatori, è fondamentale, sia per un discorso pratico che di relazioni. «Ci sono un paio di ragazzi che hanno bisogno di essere aiutati a muoversi» ci racconta Laura Andriollo. «Ma ci sono altri ragazzi che hanno bisogno del contatto fisico. C’è l’ipovedente, c’è chi non sente bene e deve essere toccato, c’è chi per autismo ha dei problemi nel muoversi. In alcuni casi dovremmo far venire un familiare, almeno in questo periodo di emergenza, per stare più a contatto con loro e aiutarli. Ma questo toglierebbe ulteriori posti dentro la sede». La Rete così conta di riaprire le proprie attività a ottobre. «Stiamo cercando nel frattempo di rielaborare tutti i progetti e i piani che avevamo in breve, e di ottenere una sede più grande che accolga tutti» ci spiega Laura Andriollo. «Altrimenti dovremo fare i turni».
Il Faro di Sora: distanziamento fisico, non sociale
Il Faro di Sora, che da anni lavora nel campo della cura e della prevenzione delle dipendenze e delle ludopatie, è tra quelle realtà che sono riuscite a ripartire con un centro estivo molto particolare. «Avevamo l’esigenza di dare una risposta al territorio: avendo lavorato allo sportello d’ascolto l’avevamo recepita» ci ha spiegato il presidente, Armando Caringi. «Abbiamo un progetto dedicato all’infanzia, PRIMA I, e siamo riusciti a utilizzare le risorse messe in campo dal progetto per essere una presenza sul territorio”. «Il collante, e la nostra fortuna, è stata che il Centro Minori San Luca, che è attaccato alla sede de Il Faro, ha messo a disposizione i suoi spazi, 2200 metri quadri all’esterno, 100 metri quadri all’interno, bagni con la doppia entrata, una struttura che, logisticamente, era adatta», spiega Caringi. «È stata una fortuna, ma soprattutto una relazione che Il Faro si è coltivata e costruita nel tempo». L’idea è stata di prendere l’idea di distanziamento e di creare gli spazi del centro in base a questo, facendo diventare tutto un gioco. «Diciamo sì alla distanza fisica, ma no alla distanza sociale» ci spiega Caringi. «Avendo ampi spazi abbiamo costruito materialmente delle isole, e abbiamo chiamato l’area L’Arcipelago delle Opportunità. Le isole sono divise ma interconnesse tra di loro: c’è un orto da coltivare, alcune isole hanno la sabbia, alcune postazioni sono dedicate ad attività creative. Le isole nascono nello spazio esterno e sono riprodotte in piccolo nello spazio interno, con delle paratie. Abbiamo costruito materialmente una fontana, che è diventata l’elemento centrale, dove i bambini si lavano le mani e si sanificano; uno sponsor ci ha regalato cinque colonnine di sanificazione. E il resto è stato realizzato con un laboratorio con gli adolescenti. Il nostro spirito è sempre lo stesso: non c’è chi beneficia e chi è beneficiario, ognuno frequenta e gestisce, non c’è utente e operatore». L’età va dai 4 ai 25 anni, e i ragazzi più grandi, opportunamente guidati da operatori e psicologi, aiutano nella gestione dei più piccoli. Tutto questo è costato tanto, e le spese sono state affrontate da Il Faro. «E poi ci sono state difficoltà burocratiche» aggiunge Caringi. «Non è stato facile ottenere le autorizzazioni, la struttura del Comune è molto farraginosa. Stiamo collaborando con una rete di imprenditori per un progetto più strutturato e questo ci ha aiutato sia a livello economico che di competenze». Ma c’è anche un discorso che va oltre gli aspetti organizzativi, ed è quello della responsabilità penale riguardo all’applicazione delle norme. Per un’associazione è un perso troppo grande? «La responsabilità me la sono presa io, non era corretto dividerla con altre persone» ci confessa Armando Caringi. «Come la vivo? Ne sento il peso, sono sempre presente, e sono molto rigido rispetto al protocollo dell’assistenza».
Centri estivi: l’aumento dei costi e i bonus non per tutti
Tra associazioni che devono rinunciare ai centri estivi e altre che provano a ripartire, come dicevamo, c’è l’offerta dei privati che, fornendo servizi a pagamento, hanno chiaramente più risorse per mettere in sicurezza le loro strutture, pur tra difficoltà non da poco. Il rischio è che, vista l’offerta ristretta, i costi salgano. È di qualche settimana fa l’allarme di Federconsumatori, riportato da Redattore Sociale, secondo cui i costi delle rette sarebbero lievitati in media del 30%, ma in alcuni casi i costi sarebbero raddoppiati o triplicati. Secondo l’osservatorio, se nel 2019 la spesa media per l’iscrizione di un ragazzo al centro estivo privato era di 672 euro al mese, oggi tale spesa può arrivare anche oltre 860 euro al mese. «Si tratta di manovre speculative, tese a lucrare ed assorbire il bonus» aveva spiegato Emilio Viafora, presidente di Federconsumatori. «Così la misura rivolta alle famiglie si trasforma in una misura di sostegno ai centri». A proposito di bonus, poi, c’è da rimarcare il fatto che molte persone ne sono escluse, come tutti quelli che abbiano fruito di congedo Covid o altri ammortizzatori sociali.
Municipio Roma 8: i centri estivi municipali
Proprio su Reti Solidali vi avevamo raccontato come spesso le istituzioni non sono state di grande aiuto alle associazioni. Ma ci sono anche dei casi in cui sono state decisive per risolvere la situazione. Il Municipio Roma VIII, infatti, ha dato vita, dal 15 giugno, all’esperienza dei Centri Estivi Municipali, che ospitano 700 bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni, con le attività che si svolgono principalmente all’aperto e nel rispetto dei protocolli di sicurezza anti-Covid 19. È un esempio virtuoso di un’istituzione che si fa carico di un problema e ne assume la responsabilità e l’organizzazione attraverso la collaborazione e lo scambio con il territorio. In questo caso il Municipio Roma VIII ha messo a disposizione gli spazi per effettuare il servizio – quelli delle scuole, che è nato in seguito a una progettazione partecipata con le realtà del territorio che hanno preso parte a una manifestazione di interesse. A proposito di prezzi, sarà applicata una tariffa settimanale calmierata con esenzione per le famiglie più fragili segnalate dai Servizi Sociali del Municipio. Una modalità di lavoro molto interessante, che merita di essere riproposta anche nei prossimi anni quando, si spera, non ci sarà l’emergenza Covid-19, ma un servizio di questo tipo sarà ancora fondamentale per le famiglie. E sarà anche l’occasione di creare un nuovo modello: andare oltre i centri estivi, verso gli spazi educativi integrati.
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