CASA È PICCOLA, MA È LA MIA CASA, ANZI LA NOSTRA
In Contro Muro, studio di Centro Astalli sul diritto all'abitare dei rifugiati a Roma, tutte le difficoltà dei migranti forzati a trovare un proprio luogo da cui ripartire. Padre Ripamonti: «Abbattere muri per costruire una casa comune, una comunità solidale»
24 Gennaio 2025
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«Casa è piccola, ma è la mia casa, anzi la nostra. Si perché c’è tutto quello che serve. È una casa calorosa, piena di allegria, di colori e di giochi. A ottobre scorso sono arrivate in Italia dal Camerun le mie prime due figlie, e oggi sono il padre orgoglioso di tre bambine di 10, 7 e 4 anni, che io e la mia compagna cresciamo insieme. Adesso la nostra casa è un luogo dove possiamo avere uno spazio e un tempo per ricostruire, giorno dopo giorno, quei legami che nemmeno la lontananza può spezzare». Lo ha raccontato Duclair Ngongang Keumaleu, rifugiato del Camerun approdato in Italia nel 2017 e utente del Centro Astalli, intervenendo il 22 gennaio a Roma alla presentazione della ricerca Contro muro. Il diritto all’abitare dei rifugiati, pubblicazione sull’autonomia abitativa dei rifugiati realizzata nell’ambito del progetto Home sweet home. Misure a sostegno dell’autonomia abitativa per i migranti forzati residenti nella città di Roma. Da novembre 2023 a novembre scorso il progetto ha supportato l’autonomia abitativa di 203 migranti e richiedenti asilo nella Capitale, provenienti da 35 Stati; il 17% era parte di un nucleo familiare. Ben 19 le case trovate, anche grazie al contributo di 4 workshop di 28 ore ciascuno che hanno formato 40 migranti su come barcamenarsi fra burocrazia, normative e contratti.
«Non affittiamo a stranieri»
«Acquistare una casa era il sogno di una vita, ma non pensavo di avere i requisiti. Il mio contratto di lavoro a tempo indeterminato come Oss in una clinica privata di Monterotondo mi ha invece permesso di ottenere un mutuo al 100% con garanzia statale per comprare una casa a Mentana. Era maggio 2023 quando ho firmato tutti i documenti: finalmente avevo una stabilità alloggiativa e la certezza di non ritrovarmi per strada. Ero arrivato in Italia con solo i miei vestiti addosso, c’è voluto del tempo per integrarmi e trovare una stabilità, è stato un cammino lungo, difficile, ma ce l’ho fatta», ha testimoniato Duclair. La sua è una delle storie di alcuni rifugiati accompagnati dal Centro Astalli nella ricerca di casa: così è nata la ricerca, che punta a sensibilizzare la società civile rispetto agli ostacoli e alle difficoltà relative all’inserimento abitativo e all’inclusione sociale dei migranti forzati. «Abbiamo già affittato», «Non affittiamo a stranieri»: sono risposte a cui le persone rifugiate che cercano una casa sono abituati, se le sentono dire spesso, dandole quasi per scontate, ma che fanno comunque male, soprattutto per chi sta cercando una nuova possibilità di futuro.
A Roma sfratti triplicati in pochi anni
«Il contesto abitativo nella città di Roma è reso particolarmente difficile dall’elevato numero di persone in emergenza alloggiativa; dalla robusta politica di sgomberi avviata negli ultimi mesi; dal perdurare della crisi economica e dalla precarizzazione del lavoro. Secondo i dati Acer – Associazione dei costruttori edili di Roma e Provincia, a novembre 2018 erano oltre 57mila le famiglie in situazione di disagio abitativo, 12mila in stabili occupati, delle quali quasi 2mila sono titolari di protezione internazionale. Dati Istat relativi all’anno 2021 parlano di 15mila famiglie in attesa di una casa popolare, 20mila persone senza dimora, 10mila famiglie sotto sfratto. Parallelamente, 162mila abitazioni sono non occupate o occupate esclusivamente da persone non dimoranti abitualmente», riferisce l’indagine. Secondo la Caritas di Roma, quasi 30mila nuclei familiari hanno richiesto al Comune un contributo per pagare l’affitto; tuttavia «i provvedimenti di sfratto in pochi anni sono triplicati, arrivando nel 2022 a 6.591 (tanti per morosità incolpevole), di cui 2.784 eseguiti con la forza pubblica; 16.600 le famiglie in attesa di un alloggio popolare, con una attesa media di 10 anni, mentre 1.000 famiglie, in emergenza abitativa, sono ospitate a spese del Comune. Sono 4mila le famiglie in alloggi occupati senza titolo. E ci sono quelli senza alcuna abitazione: erano 23.420 i senza tetto e senza fissa dimora censiti dall’Istat al 31 dicembre 2021 nei 121 comuni dell’area metropolitana di Roma, la maggior parte dei quali nel territorio della Capitale».
Centro Astalli: «Costruire una comunità solidale»
Per il Centro Astalli è urgente poter «sostenere i beneficiari soprattutto nelle prime fasi dove le spese necessarie, spesso non adeguatamente preventivate (agenzia, caparra, arredo, voltura/allaccio utenze) rischiano di esaurire pressoché del tutto le esigue risorse economiche di cui dispongono, esponendoli a una fragilità economica tale da compromettere la riuscita dell’intero progetto di autonomia abitativa appena avviato». Inoltre per i migranti forzati il tema della casa è «strettamente legato a quello della residenza, fondamentale non solo per vedere riconosciuta effettivamente l’esigibilità di alcuni diritti basilari, ma anche per rinnovare i documenti di soggiorno. Per i rifugiati e i richiedenti asilo, con i continui cambiamenti legislativi, è facile rimanere vittime di un sistema normativo che, innescando una nuova serie di ostacoli burocratici, non ha fatto altro che alimentare un parallelo “mercato nero” delle residenze pagate anche a caro prezzo». Per il gesuita padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, “Contro muro” «vuole essere una testimonianza della fatica a cercare casa nell’area metropolitana di Roma Capitale soprattutto se hai un background migratorio. Il titolo vuole esprimere da una parte proprio la difficoltà, lo scontrarsi contro un muro che a volte ricorda quei muri che innalziamo per tenere fuori le persone migranti. Un muro che le persone migranti rischiano di incontrare in molte occasioni della loro vita, dopo aver attraversato un confine. Ma sappiamo che il diritto alla casa specie di questi tempi è per molti irrealizzabile indipendentemente dal fatto che si sia o meno migranti». Il tentativo è quello di «abbattere un muro per costruire al suo posto una casa comune, una comunità solidale in cui confrontarsi proprio per il bene comune, per il bene di ogni cittadino che vive e vuole abitare nella nostra città».
In copertina: Diótima – Foto Mirko D’Accurzio