CHE FINE HANNO FATTO LE SOCIAL STREET? CRESCONO E CI FANNO BENE

Abbiamo parlato con Federico Bastiani, uno dei fondatori della prima social street. La loro forza è la gratuità e l'inclusività

di Maurizio Ermisino

Se fosse un bambino oggi farebbe la seconda elementare. La prima Social Street, quella di Via Fondazza a Bologna, è nata nel 2013 e ormai ha quasi sette anni. Fino a qualche tempo fa era un fenomeno di cui tutti parlavano come un modello virtuoso, e soprattutto nuovo, di solidarietà e aiuto fra le persone. A tutti gli effetti una forma di volontariato non strutturato – per essere una social street non occorre costituirsi in associazione – perché i principi sono quelli della gratuità, nessuno scopo di lucro, l’utilità sociale, l’aiuto al prossimo, e l’inclusione. Ora, passato l’entusiasmo per la novità, sui media se ne parla molto di meno, ma le Social Street – compresa la primogenita – sono vive e vegete e continuano a fiorire in Italai e e in tutto il mondo.

Ai fondatori di Via Fondazza Social Street, e agli altri, va l’onore di aver sempre mantenuto fede all’idea iniziale, quella che non prevedeva alcun aspetto economico, e di non aver tentato la strada commerciale, quella che avrebbe portato a costituire startup, a progettare app per portare l’esperienza su altri territori. Abbiamo parlato di questa esperienza con Federico Bastiani, uno dei fondatori della prima social street. Anche partendo dall’inizio, e cercando di capire quale fosse stata la scinitilla che ha fatto scaturire tutto sette anni fa. «È nata da una conversazione tra me e mia moglie», ci risponde. «Avevamo nostro figlio Matteo che aveva un anno e non aveva amichetti con cui giocare. Io lavoravo in un’azienda, ero sempre fuori; mia moglie è sudafricana, all’epoca non parlava italiano e aveva difficoltà a socializzare, le sue possibilità erano un po’ limitate. La scintilla è scoccata una domenica pomeriggio, mentre mio figlio giocava in salotto e dalla finestra arrivavano delle voci di bambini. Abbiamo detto: sarebbe bello se conoscessimo qualcuno in questa strada, per far giocare i bambini insieme». Nel momento di attuare questa idea, poi, il far giocare i bambini non è stata l’unica cosa al centro. Si trattava di qualcosa di molto più ampio. «Quando abbiamo creato il gruppo, e ho iniziato a pubblicizzarlo, l’idea era quella di conoscere i vicini di casa, darsi una mano e supportarsi. Io collaboro anche con Loretta Napoleoni e all’epoca aveva scritto un saggio su “Wired” che parlava di sharing economy: mettendo insieme questi tasselli ci siamo detti: perché non trovare uno strumento che potesse favorire la socialità tra le persone? »

 

social streetSOCIAL SÌ, BUSINESS NO. La Social Street è “social” due volte. Perché ha una sua funzione sociale, ma anche perché parte sui social network, per poi vivere nel mondo reale. Probabilmente un’esperienza simile avrebbe potuto esistere anche senza l’arrivo di Facebook, ma è chiaro che lo sviluppo dei social network ha reso tutto più facile e più veloce. «L’idea è stata quella di aprire un gruppo Facebook, non creare un’app», spiega Federico Bastiani. «Ho scelto Facebook perché ancora adesso, dopo sette anni, è  il social network più usato. Adesso ci sono progetti che hanno provato a creare una loro piattaforma, ci sono Nextdoor, vicinidicasa.org, Toctocdoor, ma  hanno optato per una filosofia un po’ più business oriented. Per loro è importante la gestione dei dati, quindi è fondamentale aprire una propria piattaforma per fare in modo che i dati restino a loro».

L’idea della prima Social Street, invece, è molto distante: «Noi non avevano un’idea di business, volevamo sentirci un po’ a casa anche quando cammini per strada, che le persone ti salutino e ti riconoscano. Non abbiamo mai investito un euro e abbiamo avuto una copertura mediatica mondiale. Questo perché è stato un progetto semplice, facilmente replicabile, e inspiring, che motivava le persone a provarci. È stato un po’ un gioco».

 

SOCIAL STREET, UN FENOMENO IN CRESCITA. E infatti la Social Street di Via Fondazza è un’idea che ha ispirato molti. Le social street hanno cominciato a nascere in tutta Italia e anche nel mondo. E continuano a farlo ancora oggi, anche se non alla velocità di qualche anno fa. «Oggi sono 450 in tutto il mondo, di cui l’80-85% in Italia», illustra Bastiani. «Fin dall’inizio molti scrivevano a noi amministratori: bella questa cosa, abbiamo visto il servizio sul Tg1, o su “Repubblica”. Lì è nato il nome “social street”, è stato realizzato il sito. Le linee guida le abbiamo stabilite un po’ più tardi, perché cominciavano ad esserci gli interessi delle attività commerciali, o del politico di turno, e allora abbiamo detto: mettiamo insieme delle linee guida fondamentali. La Social Street è così perché crede nella socialità disinteressata, nel mettere insieme i vicini di casa, nella gratuità, senza alcun utilizzo dei soldi, e nell’inclusione: è aperta a tutti i residenti della strada. L’inclusione è importante per superare quelle categorie in cui ogni giorno ci autoghettizziamo: il giovane, l’anziano, lo straniero e così via. Qui ci sono soltanto i vicini di casa: noi ci chiamiamo i Fondazziani». L’idea di fondo è di limitare sempre la social street a una strada e non a un quartiere, perché ci sarebbero numeri e distanze troppo grandi da gestire. «Per fare un esempio: di recente, alle undici di sera, una persona mi ha chiesto uno sturalavandino e io l’ho prestato», racconta Federico Bastiani. «È qualcosa che puoi fare se abiti a venti metri».

 

social streetFANNO TANTE PICCOLE COSE. L’idea di Social Street si è diffusa e ha continuato a vivere di vita propria, oltre quella scintilla iniziale. «Adesso ho due figli e me ne occupo molto meno», confessa il fondatore. «Di recente ho visto le foto di quella nata vicino ad Imola: c’erano più di 200 persone. Fino a qualche anno fa, quando ne parlavano tutti, nascevano 7-8 social street al giorno, ora ne nasce una ogni due mesi. Ma ci sono ancora persone che ne capiscono il senso e vogliono provarci, andare avanti per conto loro».

Sul gruppo Facebook Social Street International ogni giorno possiamo vedere tantissime cose. «Noi, da amministratori, siamo in tutti i vari gruppi, ma molte cose ci sfuggono», racconta Bastiani. «Le social street oggi fanno moltissime cose: creano gruppi d’acquisto, si occupano di informare e digitalizzare le persone anziane, fanno gruppi per portare i bambini a scuola. Sono piccole cose, quelle che si possono fare non essendo una realtà strutturata. E, soprattutto, essendo una realtà libera. Funziona così: oggi ci sei in un momento della tua vita, domani non ci sei più».

 

LO SPIRITO DELLA SOCIAL STREET. «La cosa che mi ha fatto più piacere è che lo spirito è stato capito tanto che gli amministratori non devono quasi più intervenire», riflette Federico Bastiani. «Le regole sono queste, lo spirito è questo: c’è il senso dell’utilità, lo spirito collaborazione. C’è chi si lamenta, per qualche disservizio, perché la strada non è pulita, ma fa parte del gioco». In passato c’è stato qualche caso in cui lo spirito della social stret è stato travisato, o c’è stato il tentativo di strumentalizzare l’idea, ma sono cose che non accadono quasi più. «Ci sono stati dei casi persone che volevano aprire una Social Street», racconta Bastiani. «Magari poi scoprivi che si voleva candidare al consiglio comunale. Ci sono stati episodi in cui qualcuno voleva strumentalizzare la cosa per fini personali. Abbiamo voluto tenere fuori l’aspetto economico da un progetto, che non prevede neanche lo scambio – come le banche del tempo – ma solo il dono. Si tratta di fare le cose per gli altri senza chiedere niente in cambio. Ancora oggi alcune persone fanno fatica a capire questa cosa, si sentono in colpa ad accettare un aiuto. Ti do una mano perché sei il mio vicino di casa, non mi costa niente e magari un giorno te ne ricorderai. Il cofondatore Luigi ha spinto di più in questo senso, e sono contento che lo abbia fatto».ù

Le immagini sono tratte dai gruppi Facebook San Basilio Roma Social Street  e Social Street international.

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