MULTI 2024. TRA GENTRIFICAZIONE, TURISMO E AFFITTI. CHE FUTURO PER LE CITTÀ?

I B&B crescono, il turismo anche, gli affitti sono alle stelle e la gentrificazione trasforma gli spazi. Le città diventano non luoghi da abitare, ma beni da promuovere e vendere. Sarah Gainsforth a Multi 2024: «La società civile ha un ruolo importante nel chiedere che i fondi pubblici migliorino la vita dei residenti e non vadano solo al marketing»

di Antonella Patete

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Le nostre città stanno diventando sempre più invivibili e Roma non fa eccezione, anzi. Con la moltiplicazione dei b&b e gli affitti degli appartamenti alle stelle sembra non esserci più posto per gli abitanti, sostituiti dalle masse di turisti che ogni giorno arrivano in città da ogni parte del mondo. Un problema che ci coinvolge tutti e che riguarda in primo luogo un modello economico che vede nelle città non dei luoghi da abitare, ma dei beni da promuovere e poi vendere. Di questo si è parlato nel corso dell’incontro Che futuro vogliamo per le nostre città?, organizzato all’interno di Multi, manifestazione promossa da Slow Food Roma e Lucy sulla cultura con il supporto anche di CSV Lazio che si è chiusa oggi nei giardini di Piazza Vittorio. Un viaggio alla scoperta delle culture e delle tradizioni gastronomiche di oltre 80 tra Comunità del Cibo, associazioni e realtà del Rione Esquilino di Roma.

Le nostre città verdi e inclusive: una retorica da smontare

«C’è una crepa tra la narrazione corrente e quello che ogni giorno viviamo», ha detto Lucia Tozzi, esperta di turismo, urbanismo e gentrificazione e autrice del volume L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane (Cronopio 2023). «Va smontata la retorica che vede le nostre città sempre più inclusive, verdi e caratterizzate dalla coesione sociale. La verità, invece, è che veniamo buttati fuori da luoghi in cui è diventato difficile passeggiare per il centro storico e usufruire di servizi pubblici come i trasporti, gli spazi verdi, i musei. Qualcuno dà la colpa agli immigrati, altri ai turisti o alla classe politica, ma invece bisognerebbe risalire a un meccanismo che solo pochi ritengono discutibile: il principio dell’attrattività dei centri urbani sta minando quello della convivenza». Sul tema del settore immobiliare come strumento di accumulazione della ricchezza privata nelle città si è soffermata, invece, Sarah Gainsforth, giornalista, ricercatrice e autrice del volume Abitare stanca. La casa: un racconto politico (Effequ 2022). «Ogni nuovo servizio pubblico a Roma, città già molto carente rispetto ad altri centri europei, aumenta il valore degli immobili, senza creare una redistribuzione di questa ricchezza», afferma Gainsforth. «A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, un processo di espulsione ha allontanato dai quartieri centrali della città le famiglie della classe media e le piccole imprese, incapaci di sostenere l’aumento dei costi. Questo fenomeno ha generato un’urbanizzazione diffusa con conseguenze drammatiche sull’ambiente e sui trasporti, aumentando il pendolarismo e i costi sociali».

Il turismo crea sviluppo o produce disuguaglianze?

Ma che ruolo può avere il turismo nella crescita e nello sviluppo delle città? Non certamente quello di produrre ricchezza e benessere. Non per tutti almeno. Perché quando porta ricchezza, è una ricchezza per pochi: «Il turismo non è una risorsa», spiega Tozzi. «Per promuoverlo occorre spendere soldi che vengono tolti ai servizi e non vengono restituiti alla comunità. Perché il turismo non aumenta certo la qualità della vita dei cittadini». A guadagnare sono in pochi e, a conti fatti, i contro sono maggiori dei pro. «Il turismo non rappresenta certo la soluzione ai minori trasferimenti statali, cioè i tagli al welfare», aggiunge Gainsforth. «È vero, esiste la tassa di soggiorno, ma i settori che ci guadagno di più sono quello della ristorazione, che però produce un lavoro povero e precari, e quello degli alloggi. Negli ultimi anni, infatti, il fenomeno ha riguardato soprattutto le case e quindi i privati, che hanno triplicato i loro guadagni, producendo però alti costi per la collettività, a partire dall’espulsione degli abitanti, che non riescono più a trovare case in affitto. E oggi siamo arrivati al paradosso di avere posti di lavoro che restano scoperti perché le persone non possono più trasferirsi nelle città a causa dei costi degli alloggi. Insomma», tira le fila, «l’assenza di una politica pubblica che regoli il turismo e sostenga settori innovativi è evidente. L’economia va male perché stanno crescendo i settori più poveri, mentre non si investe su quelli più avanzati e innovativi».

Le politiche dell’ordinario e il ruolo della società civile

Paradossalmente con la sua presenza nei territori meno centrali e più periferici, la stessa società civile ha contribuito, in maniera involontaria, alla gentrificazione, ovvero a quel processo di riqualificazione e rinnovamento di quartieri un tempo popolari e meno ambiti. «Spesso la gentrificazione viene costruita a tavolino, coinvolgendo quella fascia della popolazione che fa cultura, volontariato e lavoro sociale, rendendo migliori le condizioni di vita di questi quartieri», chiarisce Tozzi. «Ma le politiche trasformative possono sortire l’effetto opposto e chi dovrebbe combattere le diseguaglianze viene, suo malgrado arruolato per aumentarle, perché la riqualificazione può avere l’effetto boomerang di rendere quei quartieri più appetibili». La soluzione allora non sta nel fare la guerra al turismo, ma nella richiesta di politiche redistributive e di welfare, pretendendo “politiche dell’ordinario e non dello straordinario”, che facciano funzionare le reti dei servizi. «E in questo la società civile può giocare un ruolo davvero importante», chiarisce Gainsforth. «Maturando una sempre maggiore consapevolezza dei processi in atto può fare pressione sulle amministrazioni, chiedendo che i fondi pubblici vengano spesi per migliorare la vita dei residenti e non solo per fare operazioni di marketing. La crescita economica deve avvenire dal basso, investendo nell’abitabilità dei territori e ricalibrando le priorità, perché il turismo da solo non innesca processi di sviluppo. Sui territori c’è tanta conoscenza e capacità di mobilitazione», conclude, «si tratta di mettersi sempre più in rete e di farsi sentire».

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