CITTADINANZA. LA LEGGE È IN ARRIVO
È un disegno di legge molto restrittivo, ma è pur sempre un passo avanti. La prossima settimana in discussione alla Camera.
03 Ottobre 2015
Forse è la volta buona, anche se la mediazione a cui si è arrivati è lungi dal chiudere il cerchio. Ma si fa oggi concreta la possibilità di avere una legge che permetta ai figli degli immigrati di diventare cittadini italiani: un tasto su cui, da capo dello Stato, non ha mai smesso di battere l’attuale presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, ma che, nonostante i ministri dell’integrazione Andrea Riccardi e Cecile Kyenge nei governi Monti e Letta, le Larghe intese non consentivano.
La prossima settimana l’aula della Camera discuterà il disegno di legge, che ha buone probabilità di essere approvato (con il sicuro no del centrodestra di Fi, Fli e Lega, la probabile astensione dei Cinque Stelle e l’altrettanto probabile si a naso turato di Sel), per poi passare al vaglio del senato. Potrà così avviarsi alla conclusione l’era dello ius sanguinis, ovvero dell’acquisizione della cittadinanza per sangue, tipica di un paese che è stato a lungo di emigrazione per aprirsi, anche se in forme caute e attenuate, quella dello ius soli: diventa cittadino italiano chi nasce in Italia.
Una norma restrittiva
Della cautela con cui ci si appresta allo ius soli è testimonianza il ddl approdato a Montecitorio. Il testo licenziato dieci giorni fa dalla commissione Affari Sociali è infatti il frutto di una mediazione all’interno della maggioranza che, su spinta di Scelta civica e di Ncd, restringe i requisiti per l’attribuzione della cittadinanza. E dunque riduce inevitabilmente la platea dei beneficiari, che in numeri assoluti sono attualmente circa un milione, ma che con la legge rischiano di dimezzarsi. Sc e Ncd hanno infatti insistito per innalzare le soglie di accesso rispetto al testo messo a punto in precedenza attraverso una declinazione dello ius culturae (nello specifico il compimento di cicli scolastici) più stringente, ma soprattutto attraverso il ricorso al permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo, anziché la “semplice” residenza legale da cinque anni.
In questo modo diventeranno cittadini italiani i figli nati in Italia di almeno un genitore titolare di permesso di soggiorno Ue di lunga durata, che si può chiedere solo dopo 5 anni di residenza in Italia e che viene assegnato solo se vengono integrati particolari requisiti di reddito (almeno pari all’importo annuo dell’assegno sociale) e di abitazione (che deve essere adeguata al nucleo familiare).
Un combinato disposto che, nota Filippo Miraglia – vicepresidente dell’Arci, da tempo impegnata con altre associazioni in una campagna (l’Italia sono anch’io) perché si riconosca la cittadinanza italiana a chi nasce in Italia da cittadino straniero – «alza di molto l’asticella dell’accesso». Anche perché, per riuscire ad avere una casa secondo requisiti di legge, servono stipendi che difficilmente gli immigrati riescono a raggiungere con facilità: «Circa la metà degli stranieri in Italia ha il permesso di soggiorno Ue di lunga durata», spiega il vicepresidente dell’Arci, e dunque potrà chiedere la cittadinanza per il figlio nato direttamente all’anagrafe (o all’ospedale) senza passare dal ministero degli Interni.
Chi invece nasce nel nostro Paese da genitori privi di questo requisito o arriva in Italia da piccolo (entro i 12 anni), diventa cittadino dopo aver frequentato uno o più cicli scolastici per cinque anni (nel caso delle scuole elementari non basta la frequenza, deve essere stato promosso): in questi casi lo ius culturae fa premio e, per diventare italiano, è sufficiente che uno dei due genitori abbia la residenza legale nel nostro Paese da cinque anni. Dopo i 12 anni si diventa cittadini italiani se si è arrivati prima del compimento dei 18 anni, si è legalmente residenti da almeno 6 anni, si è frequentato regolarmente fino alla conclusione un ciclo scolastico sul territorio nazionale.
Su cosa intervenire
Secondo una stima approssimativa, se la legge non venisse modificata, potrebbero diventare italiani circa la metà del milione di minori stranieri che vivono nel nostro paese. «Rispetto al passato, questa normativa è senza dubbio di un passo avanti», commenta Miraglia, «perché per la prima volta si riconosce in qualche modo che chi nasce e cresce in Italia è italiano e quindi, per esempio, può permettere a un ragazzo di famiglia straniera di andare in gita in una città europea senza le difficoltà burocratiche che oggi questo comporta e che spesso portano a “saltare” la gita. Ma sono molte le cose sui cui si dovrebbe intervenire». Proprio a partire dal permesso Ue di lunga durata, che secondo il vicepresidente dell’Arci «implica una definizione di cittadinanza “per censo”, per cui i bambini nati in Italia verrebbero distinti in base alla capacità economica delle loro famiglie. Per noi si deve invece puntare sul soggiorno legale o quantomeno sulla residenza legale da cinque anni, che deve peraltro essere resa più coerente rispetto alla normativa vigente, semplificando le procedure che competono allo stato civile».
Non solo: «La disciplina dovrebbe essere retroattiva» e applicarsi a tutti i minori già presenti nel nostro Paese e non solo ai nascituri o ai futuri arrivi e dovrebbe intervenire anche a favore delle persone che vivono in condizioni di disabilità psichica: «Per avere la cittadinanza italiana si deve dimostrare di conoscere la lingua e la Costituzione», rileva Miraglia, ma ci sono forme di disabilità grave che lo rendono impossibile, anche solo perché coinvolgono l’uso della parola. Molte persone disabili non possono parlare». A questo va poi aggiunta l’esigenza di estendere agli stranieri comunitari le norme sulla cittadinanza previste per i non comunitari e di intervenire sulle naturalizzazioni, per consentire ai ragazzi maggiorenni «di avere un diritto soggettivo alla cittadinanza italiana, senza passare per forza dal vaglio del ministero dell’Interno».