CRONICITÀ. IN ITALIA LA SANITÀ NON È UGUALE PER TUTTI
Il Lazio ha liste d'attesa troppo lunghe, ma ha approvato il Piano nazionale della Cronicità, coinvolgendo il maggior numero di associazioni
10 Luglio 2019
La sanità non è uguale per tutti. A ricordarlo è Cittadinanzattiva, attraverso il 17° rapporto approfondito sulle politiche della cronicità, dal titolo Regione che vai, cura che trovi (forse) (qui la presentazione). Facendo un ipotetico giro d’Italia tra le strutture ospedaliere, e non solo, emerge quanto le disuguaglianze (definite “pericolose” dallo stesso rapporto, a cui ha partecipato MSD) siano all’ordine del giorno. Essere malati in Lombardia non garantisce gli stessi diritti che esserlo in Calabria, Molise o Sicilia, per citare degli esempi.
Non si parla solamente di tempestività nella diagnosi, ma anche di tutto quello che, nel percorso di prevenzione e cura, viene garantito in una regione e negato in un’altra: come farmaci e dispositivi, liste di attesa (dove il Lazio è da record nei tempi prolungati con il 55,5% dei casi gestiti in maniera non sufficiente), accesso alla riabilitazione, barriere architettoniche, sostegno psicologico e tanto altro. Se sei nella regione “giusta” avrai determinati diritti, altrimenti chissà. Al contrario di quanto invece sostiene la Costituzione nell’articolo 32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Per tutti e allo stesso modo. Un passaggio strettamente connesso al valore della dignità umana esplicitato nell’articolo 3 («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»).
L’ambito principale nel quale le disuguaglianze vengono riscontrate è quello relativo a invalidità e handicap (71,4%), seguito dal sostegno psicologico (62,8%) e dai tempi di attesa per gli esami diagnostici (57,1%).
Nel rapporto emerge prima di tutto un dato demografico: gli italiani invecchiano. Vivendo più a lungo, sorgono nuove esigenze di tipo medico-sanitario. E non solo: 5 milioni di persone (dati Istat) sono in povertà assoluta e non hanno i mezzi per sopravvivere dignitosamente (nel 2005 erano 2 milioni): sono quelli maggiormente esposti al rischio di trovarsi con cure carenti, non potendosi rivolgere a strutture private. Nello specifico del tema “salute” la regione dove si sta meglio è il Trentino Alto Adige (80,9% dei cittadini gode di buona salute), la percentuale minore invece è in Calabria (62,5%). Il Lazio è a metà strada, con 7 cittadini su 10 che si considerano in forma, ma risale nelle classifiche dell’osteoporosi (6° posto, 9,2 cittadini su 100 ne soffrono) e delle malattie allergiche (4° posto, con 11,3 persone su 100).
IL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITÀ. Per monitorare queste tendenze è nato nel 1996 il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC) – che redige questo rapporto – una rete di Cittadinanzattiva a cui hanno aderito 122 associazioni. Rappresenta un esempio di alleanza trasversale per un obiettivo condiviso: migliorare il sistema sanitario italiano. Risale al 2016 invece la creazione del Piano nazionale della Cronicità che «nasce dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo, proponendo un documento, condiviso con le Regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio».
Il piano prevede una collaborazione delle associazioni di pazienti; dopo 3 anni, però, il sistema fa ancora fatica a strutturarsi. Il punto di vista medico prevale quasi sempre sul feedback dei cittadini, venendo a mancare così quello strumento di valutazione che rendeva il piano rivoluzionario in termini soprattutto culturali. «Il fine», si legge, «è quello di contribuire al miglioramento della tutela per le persone affette da malattie croniche, riducendone il peso sull’individuo, sulla sua famiglia e sul contesto sociale, migliorando la qualità di vita, rendendo più efficaci ed efficienti i servizi sanitari in termini di prevenzione e assistenza e assicurando maggiore uniformità ed equità di accesso ai cittadini».
Dopo l’approvazione in Conferenza Stato Regioni, il 15 settembre 2016, il Piano nazionale delle Cronicità ha iniziato il suo lento e travagliato percorso di applicazione nelle singole regioni. A distanza di quasi tre anni, sono 14 le regioni e due le provincie autonome, che lo hanno approvato: Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e P.A di Bolzano e Trento. La Lombardia ha un suo «Piano Regionale della Cronicità e Fragilità» e successivi provvedimenti attuativi. Non si hanno dunque elementi effettivi per misurare l’applicazione di quanto previsto. Ma c’è una nota positiva e riguarda proprio il Lazio, dove almeno sono state coinvolte il maggior numero di associazioni (il piano stesso lo prevede per adattare le disposizioni che arrivano dall’alto alle reali necessità del territorio) con il 16,6% del totale nazionale.
LA CAMPAGNA. «Va affrontato con urgenza il tema delle disuguaglianze» dichiara Antonio Gaudioso, Segretario generale di Cittadinanzattiva, in occasione della presentazione del rapporto a Roma. «Per questo, abbiamo avanzato una proposta di riforma costituzionale che incida sull’articolo 117, introducendo come elemento di garanzia per la tutela della salute il riferimento esplicito al diritto del singolo individuo e il richiamo al principio di sussidiarietà per consentire ai livelli istituzionali più alti di intervenire qualora quelli più prossimi ai cittadini non garantiscano i servizi. La campagna La salute è uguale per tutti è stata già sottoscritta da oltre 80 realtà del non profit e delle professioni, e accolta già alla fine della passata legislatura da un ampio fronte bipartisan. Ci batteremo affinché la stessa venga presto calendarizzata in Parlamento».
I problemi sono tutti sul tavolo: i piani di cura personalizzati sono attuati solo in alcune realtà e per il 40% delle associazioni non esistono affatto. Anche i Percorsi diagnostici-terapeutici, laddove esistono, valgono solo per alcune patologie e soltanto in alcune regioni. In tema di assistenza ospedaliera, il 70% lamenta di doversi spostare dalla città in cui risiede; il 53% denuncia la mancanza di personale specializzato, uno su tre lunghe liste di attesa per il ricovero. C’è anche chi si porta i farmaci da casa (17%). Per colmare queste lacune e per ridurre le differenze territoriali sembra sempre più necessario dare piena attuazione al Piano nazionale cronicità. Questo report è un appello alle regioni, affinché inizino a muoversi nella stessa direzione per salvaguardare la salute dei propri cittadini.
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