VIVERE BENE E LAVORARE ANCHE SE AFFETTI DA UN DISAGIO PSICHICO
Alla scoperta del Club Itaca, struttura per il reinserimento socio-lavorativo delle persone con disagio psichico sul modello di Club House International
03 Novembre 2016
Il Club Itaca di Roma si trova in una struttura in via Terminillo, una stradina dietro piazza Sempione, che grazie alla sua particolare posizione gode di una notevole tranquillità pur trovandosi in piena città. Da fuori, leggendo il cartello di benvenuto e notando il giardino ben curato, con tanto di aiuole e gazebo in legno, sembra quasi uno di quei piccoli e deliziosi B&B ideali per passare qualche giorno di relax. Entrandoci dentro e conoscendo le persone che lo vivono e lo fanno vivere ogni giorno però, si scopre che quello che il Club Itaca offre e rappresenta è qualcosa di molto più raro e importante.
Si tratta di una struttura diurna non sanitaria dove persone con disagio psichico trascorrono la giornata facendo diverse attività con l’obiettivo di raggiungere autonomia sociale e occupazionale. È un centro autogestito, dove gli utenti sono soci e lavorano alla pari con i membri dello staff, che “facilitano” lo svolgimento dei vari lavori. Si gestisce la cucina, l’orto, il bar interno, la reception, si fanno dei laboratori e dei percorsi di inserimento lavorativo e si tiene in grande considerazione la necessità di socializzare.
Il Club Itaca attraverso gli occhi di Paolo
«L’importanza del centro è data anche dalla volontà di rompere lo stereotipo del rapporto paziente-medico e puntare su un rapporto alla pari, volto a far emergere talenti e peculiarità di ognuno, non ci si concentra sulla malattia ». A spiegarci il funzionamento del Club Itaca è Paolo, 44 anni, colpito da una patologia psichiatrica dall’età di 18 anni, dal 2011 socio del club Itaca e oggi membro del consiglio direttivo dell’associazione, ma soprattutto esempio e guida per gli altri soci.
Con lui abbiamo visitato la struttura, dalla reception, alla sala del GOL (Gruppo di Orientamento al Lavoro), dove si cercano le offerte di lavoro adeguate ai soci, le sale pranzo e conferenze, il laboratorio artigianale, la cucina, la “job station”, dove ci sono le postazioni per il telelavoro con aziende esterne.
« La cosa più importante è lottare contro i pregiudizi, che sono il vero grande problema», dice Paolo, «far capire che con la malattia mentale si può convivere e si può avere una vita soddisfacente». Paolo è un fiume in piena, trasmette una irrefrenabile voglia di raccontare nei dettagli come è organizzata la struttura, il suo comunitarismo e i suoi benefici, con la forza di chi ha vissuto un’esperienza e cerca in tutti i modi di trasmetterla. Così parla di come il Club Itaca sia «una working community», di come « rinforzino le persone nell’autostima, in genere molto bassa per gli affetti da disagi mentali», di come si favorisca « la loro intraprendenza, il loro involvement, come soci». Paolo parla inglese, «me la cavo» risponde, «ora uno dei nostri soci sta anche facendo un corso per gli altri; è così, chi sa fare qualcosa lo insegna agli altri, è una formula rivoluzionaria ».
Tutti i soci contribuiscono al funzionamento della struttura, ci si dividono i compiti e ognuno contribuisce volontariamente, lavorando fianco a fianco con altri soci e con i “facilitatori”. Durante il tour abbiamo avuto modo di conoscerne diversi. Flavio, al bar, di una cortesia che manca ai baristi di mezza Roma, Elena e Valeria, due ragazze solari e piene di energia, mentre si preparano per lavorare in cucina, Emanuela, una socia-senior che di staff e visitatori deve averne visti passare molti, «ah un giornalista, pensavo fosse un altro del Servizio Civile», dice dopo la stretta di mano.
Finita la visita della struttura e prima di intervistare il direttore generale di Clubhouse Joel Corcoran, abbiamo avuto modo di scambiare due parole anche con il Direttore di Club Itaca Roma Guido Valentini. « L’obiettivo finale di tutto questo è dare una vita dignitosa e salvare vite», ha detto Valentini. « Lo facciamo grazie a donatori privati e nostre raccolte fondi. Speriamo di aver presto un riconoscimento da parte del sistema sanitario nazionale, visti i grandi risultati che riusciamo ad ottenere, come riuscire a far assumere a tempo indeterminato persone con schizofrenia, ad esempio». Il Direttore va avanti descrivendo il Club Itaca come una “fabbrica di scelte”, una “palestra lavoro” e ”un paradiso senza miracoli”, con tutti i dettagli già descritti. «Ma perché non prendi appunti?» chiede. Non sa che mi era già passato sopra il fiume di informazioni di Paolo.
Il Clubhouse International e i numeri delle malattie psichiche
Il movimento di riabilitazione psichiatrica Clubhouse International nasce nel 1948, quando sei persone rilasciate a New York da strutture psichiatriche, si sono incontrate per strada e hanno formato un gruppo: WANA (We Are Not Alone). Frequentandosi fuori dalle strutture psichiatriche avevano capito l’importanza del lavorare insieme e aiutarsi l’un l’altro.
Hanno iniziato ad avere aiuto anche dall’esterno e questa idea di fondo è stata sviluppata fino alla creazione di questa rete ormai internazionale. Ora il Clubhouse International ogni anno accoglie 100mila utenti in 330 centri di 34 Paesi. « Siamo impegnati nel porre fine ovunque all’esclusione sociale ed economica delle persone con disagio psichico» dice il direttore generale Joel Corcoran, venuto in visita al Club Itaca di Roma. «Costruiamo una comunità per persone tipicamente escluse dal mondo sociale, educativo, lavorativo. Siamo convinti che abbiano bisogno di qualcosa in più delle sole cure mediche e per questo nelle nostre Clubhouse ci si focalizza sull’abilità della persona, non sulla sua disabilità. Per le persone affette da disabilità mentali rappresentiamo quello che una rampa rappresenta per le persone su una sedia a rotelle, un mezzo attraverso cui potercela fare da soli ».
«Chi è affetto da malattia mentale muore in media 20 o 25 anni prima della media, 830mila persone muoiono a causa di malattie psichiche ogni anno, soprattutto perché non hanno accesso a cure, ma nessuno ne parla», ha detto Corcoran, «noi lavoriamo per renderli visibili».
Dove è parte del sistema sanitario nazionale il Clubhousing si è sviluppato più facilmente, soprattutto nei paesi del Nord Europa, ma sono presenti club house in ogni parte del mondo, anche in India, Cina,Sudafrica, ad esempio. In Italia, il progetto Itaca Onlus conta undici sedi (Milano, Asti, Roma, Firenze, Palermo, Genova, Parma, Napoli, Catanzaro, Padova e Lecce) e tre comitati promotori (Como, Torino e Lecco). «Il risultato in Italia è impressionante» ha detto Corcoran «ci sono comunità che si stanno sviluppando senza alcun supporto. Siamo ottimisti perché bastano poche, forti club house; il successo che hanno e avranno genererà popolarità tra le famiglie e le comunità e questa è la cosa più importante per lo sviluppo».