CODICE DEL TERZO SETTORE, OK COMMISSIONE UE ALLE NORME FISCALI. LE NOVITÀ

La Commissione Europea ha dato il via libera alle norme fiscali previste nel Codice del Terzo Settore che richiedevano l'autorizzazione europea per entrare in vigore. Le disposizioni interessate e le novità

di Alessio Affanni e Sergio Zanarella

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L’8 marzo 2025 la Commissione Europea, con una comfort letter (lettera di approvazione), ha comunicato al Ministero il placet alle misure fiscali del Codice del Terzo Settore. Dal momento in cui si ottiene l’autorizzazione decorrono i termini per l’entrata a regime del Titolo X del Codice del Terzo Settore: in base all’art. 104 del Codice, infatti, le disposizioni fiscali approvate entreranno in vigore dal periodo di imposta successivo a quello in cui è pervenuta l’autorizzazione (quindi in vigore dal 1° gennaio 2026, considerando acquisita l’autorizzazione dell’UE nel 2025).
Dal primo gennaio 2026 – ha spiegato nel comunicato stampa Maria Teresa Bellucci, Viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega al Terzo Settore – entrerà in vigore un regime fiscale ad hoc che include la defiscalizzazione degli utili destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del patrimonio. La Commissione Europea, date le caratteristiche e l’unicità del Terzo Settore italiano, ha ritenuto che tali disposizioni fiscali agevolative non si configurano come aiuti di Stato, in quanto rivolte ad enti non lucrativi che realizzano attività di interesse generale.

L’adeguamento delle ONLUS

Con l’entrata in vigore del regime fiscale degli enti del Terzo settore, inoltre, cesserà definitivamente di esistere l’Anagrafe delle ONLUS e non saranno più applicabili le norme fiscali previste per questo tipo di enti. Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2026, le organizzazioni con la qualifica fiscale di ONLUS (che decadrà) avranno tre mesi di tempo per adeguarsi alla normativa del Terzo settore. In concreto, considerando a titolo di esempio le associazioni, occorrerà modificare il proprio statuto e conseguire una delle qualifiche contemplate dal Codice del Terzo settore – ossia organizzazione di volontariato (OdV) oppure associazione di promozione sociale (APS) oppure ente del Terzo settore (ETS) – mediante l’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS). Il suggerimento, quindi, è di predisporre per tempo questo adeguamento, al fine di evitare di perdere la qualifica di ONLUS senza aver ottenuto l’iscrizione al RUNTS. Gli effetti, infatti, non sono di lieve entità considerando che in questi casi l’associazione ex ONLUS dovrebbe devolvere parte del proprio patrimonio e precisamente, in base alla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 59/E del 31 ottobre 2007, l’incremento patrimoniale realizzato, in virtù di tale qualifica, a partire dal periodo di imposta in cui l’associazione ha conseguito l’iscrizione all’Anagrafe delle ONLUS.

Codice del Terzo Settore: le disposizioni interessate

Le disposizioni del Codice del Terzo Settore interessate da questa autorizzazione dell’UE sono, in particolare, quelle degli articoli 79, 80, 84, 85 e 86 (a cui si aggiungono le specifiche disposizioni per le imprese sociali del Decreto Legislativo n. 112 del 2017). Restano momentaneamente non inclusi nel placet della Commissione Europea, per necessità di approfondimenti, gli istituti a sostegno del finanziamento degli enti del Terzo settore (i titoli di solidarietà previsti all’art. 77 del Codice) e delle imprese sociali.
L’art. 79 del Codice contiene disposizioni in materia di imposte sui redditi. In base a tale articolo le attività di interesse generale realizzate dagli enti del Terzo settore non saranno soggette a tali imposte non solo se effettuate a titolo gratuito, ma anche nel caso in cui siano svolte a pagamento ottenendo corrispettivi che non superino i costi effettivi sostenuti per realizzarle, oppure ottenendo un margine di ricavi che non superi di oltre il 6% i relativi costi sostenuti nel medesimo anno di imposta (margine di utile consentito per non più di tre annualità consecutive). In sostanza non scatterà nessuna forma di imposizione diretta in quanto considerate, entro tali limiti, attività non commerciali.
Passando all’art. 80 del Codice, si consentirà agli enti del Terzo settore non commerciali che svolgano anche attività commerciali di optare per la determinazione forfetaria del reddito d’impresa, applicando un coefficiente di redditività piuttosto favorevole, che cresce progressivamente in base ai ricavi conseguiti. L’art. 86, invece, disciplina nello specifico il regime forfettario per le attività commerciali eventualmente svolte dalle ODV e dalle APS: se i ricavi annui derivanti da tali attività non sono superiori a 130.000 euro, le ODV possono applicare un coefficiente pari all’1% e le APS pari al 3%.

Le attività di natura non commerciale per OdV e APS

Infine l’art. 84 (regime fiscale delle ODV e degli enti filantropici) e l’art. 85 (regime fiscale delle APS e delle società di mutuo soccorso) contengono indicazioni su quali attività non vengono considerate di natura commerciale.
Per le OdV non si considerano commerciali (oltre alle attività realizzate nelle modalità già indicate all’art. 79) le seguenti attività, purché svolte senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente: la vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito, curata direttamente dall’ODV senza alcun intermediario; la cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari, curata direttamente dall’ODV senza alcun intermediario; le attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale.
Per le APS, invece, non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate tramite pagamento di corrispettivi specifici nei confronti dei propri associati e dei loro familiari conviventi (da verificare come impatterà il passaggio previsto – salvo proroghe – a partire da gennaio 2026, dall’attuale regime di esclusione IVA a quello di esenzione IVA per questo tipo di corrispettivi). Non si considerano, altresì, commerciali, ai fini delle imposte sui redditi, le cessioni a pagamento anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati e ai familiari conviventi, in attuazione degli scopi istituzionali. Non si considerano commerciali, infine, le attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’associazione senza alcun intermediario e senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente. L’articolo indica anche quali attività sono sempre considerate di natura commerciale (ad esempio, la gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale).
Quando sarà concluso l’iter di autorizzazione, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, insieme al Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’Agenzia delle Entrate, elaborerà documenti di prassi interpretativa volti a chiarire gli aspetti applicativi delle nuove norme.

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