COME SI DICE DREAM? STORIE DI PICCOLI NOMADI IN ESILIO
In due comunità genovesi che accolgono minori stranieri non accompagnati Louise Mottier ha conosciuto Momo e gli altri ragazzi arrivati via terra e via mare per avere un futuro. Come si dice dream? racconta questi ragazzi e le difficoltà di una politica di accoglienza che non c’è
14 Febbraio 2023
Momo, 16 anni, si è imbarcato in Mali una sera, con oltre un centinaio di persone. «Un lato della barca si è rovesciato, la gente è caduta in acqua. Io ero dalla parte giusta, ma i miei due amici sono morti». Poi il viaggio per l’Italia passando dalla Libia e dai suoi torturatori. Fino a Genova. Dove c’è anche il 17enne nigeriano Yobo, che durante il suo percorso migratorio «è stato vittima di tratta e continua a subire pressioni finanziarie in Italia. Ha chiesto la protezione internazionale, ma sta facendo fatica a parlare di cosa gli è successo, anche con l’avvocato che lo aiuta regolarmente a preparare la sua udienza. Ha paura di denunciare coloro che lo opprimono».
Che succede nella quotidianità di due comunità genovesi per una ventina di minori stranieri non accompagnati (msna) fra i 14 e i 18 anni, che affrontano un futuro nebuloso mentre cercano una difficile integrazione? Lo racconta l’educatrice Louise Mottier, con le illustrazioni in acquerello della designer grafica Michela Tirone, nel volume Come si dice dream? Storie di vita di adolescenti in esilio (edizioni Gruppo Abele), che ha partecipato al Premio letterario per scrittori esordienti Italo Calvino. L’autrice ha vissuto per due anni (2019-2020) nelle comunità con ragazzi arrivati via terra e via mare, definiti «piccoli nomadi»: Jallow, Dhimitris, Yobo, Momo, Bakaye, Alji, Doumbia, Joseph, Mamadou, Lassana, Yaya e gli altri, da soli, hanno affrontato un viaggio pericolosissimo per cercare una nuova vita e mezzi per sostenere la famiglia d’origine. La maggior parte arriva dall’Albania: «I minori albanesi, infatti, rappresentano da qualche anno la prima tra le cittadinanze di arrivo per numero di persone accolte. Ho voluto far parlare queste anime, venute dall’Albania, dall’Algeria, dalla Costa d’Avorio, dall’Egitto, dal Gambia, dal Mali, dalla Nigeria, dal Pakistan, dal Senegal, dalla Somalia, dalla Tunisia».
Passi che svaniscono ogni giorno
«Mentre li guardo cadere e rialzarsi subito, mi sento scossa dal loro coraggio di essere partiti verso l’ignoto. Questi ragazzi in costruzione sono dei conquistatori», commenta l’educatrice. E aggiunge: «Spesso mi chiedo cosa significhi educare, cosa fa l’educatrice». Il turn over è costante: «Col passare del tempo, i letti della comunità si sono svuotati e riempiti, sono arrivati nuovi ospiti, altri se ne sono andati. Alcuni sono rimasti solo una notte, qualche settimana, qualche mese. Di sera, capitava che non tornavano più. In comunità i corpi occupano lo spazio e a volte lo lasciano quasi subito», scrive, ricordando il fenomeno delle fughe che è abbastanza frequente. In ogni caso, «questo è il protocollo: i giovani spengono le candeline dei loro 18 anni e firmano contemporaneamente il documento di uscita dalla convivenza. Il permesso di soggiorno che possedevano de facto in quanto minori viene spesso rinnovato, ma non sistematicamente. A seconda del percorso e di ciò che si sarà riusciti a fare per loro, potranno di nuovo essere tutelati fino ai 21 anni, in una casa che accoglie giovani neo-maggiorenni o in alloggi per richiedenti asilo o rifugiati statutari. La maggior parte andrà prima da un amico, per chi ne ha uno, o da un concittadino. Alcuni torneranno nel loro paese o riprenderanno la strada per la Spagna, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Inghilterra…». L’educatrice si chiede in che modo «il passaggio alla maggiore età può significare, per l’amministrazione, un passaggio automatico e immediato allo status di adulto, con la responsabilità e l’autonomia che richiede».
Poi la denuncia di una mancata politica di accoglienza: «I paesi europei faticano a proporre una politica comune di accoglienza delle persone in esilio, rifugiate, in fuga, e in particolare di protezione dei minori non accompagnati. Tra il 2016 e il 2020, questi bambini soli e in cerca di rifugio erano quasi 210mila sul continente. E l’Europa non riesce a seguire le loro tracce: l’associazione Lost in Europe, un collettivo di giornalisti di Germania, Belgio, Paesi Bassi, Italia, Grecia, Francia e Regno Unito che indaga sui percorsi di questi giovani in fuga, stima che tra gennaio 2018 e dicembre 2020 siano scomparsi più di 18mila minori». Numeri impressionanti, «probabilmente inferiori alla realtà: lo scambio di dati tra gli Stati membri è limitato e i minori sono spesso registrati come maggiorenni. Partiti, nella migliore delle ipotesi, per ricongiungersi a parenti in altre regioni, queste ragazze e questi ragazzi sono e rimangono altamente vulnerabili e in pericolo, in quanto possibili vittime di tratta, lavoro forzato o prostituzione. Diversi Stati europei non raccolgono alcun dato su queste sparizioni e non avviano alcuna procedura di ricerca. Ogni giorno, i passi di questi bambini da proteggere svaniscono, come se non fossero mai esistiti». Secondo i dati Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ad aprile 2022 i msna presenti nel sistema di accoglienza italiano erano 14.025, il 16,3% bambine e ragazze; quasi il 70% avevano tra i 16 e i 17 anni e oltre il 22% meno di 14 anni.
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Louise Mottier
illustrazioni di Michela Tirone
Come si dice dream? Storie di vita di adolescenti in esilio
Edizioni Gruppo Abele
pp. 104, € 18