COME SIAMO DIVENTATI RAZZISTI A PRESCINDERE
Oggi è sdoganato il pensiero secondo cui ogni migrante in arrivo in Italia è un criminale. Eppure un modello di integrazione è possibile
16 Gennaio 2020
«Bisogna toglierli dalle nostre città, dalle stazioni, dai parchi pubblici, dai nostri quartieri, dalle piazze, dalle nostre chiese, dai semafori, dalle panchine, da sotto i ponti e dai mezzi pubblici. Scovarli nei centri sociali, o nei palazzi occupati, mentre spacciano o si prostituiscono, rubano o stuprano. Basta la pacchia è finita, non ne possiamo più! Via, devono essere mandati a casa loro, e poi perché li dobbiamo tenere solo noi e, il resto dell’Europa che fa?». Parole che sentiamo spesso, nel dibattito politico, ma anche nella vita di tutti i giorni. Perché noi italiani, che eravamo un popolo di “Razzisti perbene”, come suggeriva Maurizio Alfano in un suo noto libro, oggi siamo diventati “Razzisti a prescindere”. È questo il titolo del nuovo libro (Sensibili alle Foglie editore) dell’autore esperto di migrazioni, in prima linea contro discriminazioni e razzismi. Alfano, il nostro alfiere dell’antirazzismo, ci racconta, confrontando le migrazioni di oggi con quelle di 50 e 25 anni fa, come sia iniziato un lento ma progressivo dispositivo di criminalizzazione a prescindere di tutti i migranti presenti in Italia, che fagocita ogni diritto o tutela in capo a ognuno di loro. Sorvegliare e punire è la parola d’ordine delle nuove forze politiche xenofobe e sovraniste, che hanno organizzato sapientemente un gioco che porta dritto al loro obiettivo: i voti. Ne abbiamo parlato con Maurizio Alfano in una lunga e appassionata intervista.
Il libro parte parlando dalle migrazioni dall’Albania di 25 anni fa. È stato molto diverso da oggi: perché?
«Erano migrazioni diverse. Da una parte erano i nostri dirimpettai e c’era un senso di fratellanza rispetto a uomini e donne che venivano dall’altra sponda del mare. Dall’altra parte c’era il crollo di un regime e c’era un’empatia maggiore nel dare rifugio a chi fuggiva da una guerra civile. Ma questa migrazione ci ha trovato impreparati. Per cui c’è stata una spinta solidale, un’accoglienza informale di famiglie e organizzazioni, che hanno preso in mano la situazione, aiutando a trovare lavoro e casa gli albanesi. È stata un’accoglienza diffusa dal basso, che non aveva regole, non aveva leggi. Non c’era un riferimento giuridico e normativo e l’improvvisazione ha tenuto. Contemporaneamente la politica ha cominciato a sbandare: chi ha la spinta nazionalista nel dna politico ha cominciato a stigmatizzare gli sbarchi come le prime invasioni…»
In realtà c’erano state delle migrazioni già negli anni Settanta, provenienti dal Marocco, in cui c’era stata una certa integrazione…
«Eravamo ancora un Paese con una forte spinta migratoria. Molte delle persone che contrattavano con queste persone riconoscevano, in quelli che erano migranti economici, quei loro parenti che erano partiti per andare in Germania o in America. Ma quei marocchini che venivano qui non avevano niente a che fare con il mancato lavoro dei propri parenti, che erano andati all’estero. In quel contrattare sul prezzo, poi, in fondo si creava un dialogo. Con queste persone ci si chiamava “cugini”. Pensiamo se oggi un migrante dell’Africa nera o del Maghreb dovesse chiamare cugino un italiano nazionalista o sovranista… Una volta invece ci si riconosceva uno nell’altro. I flussi migratori di cinquant’anni fa ci dicono che i motivi sono rimasti inalterati: si parte per lavoro e per scappare dalle guerre».
In quelle prime prove di integrazione di 25 anni fa quanto sono state importanti le cooperative sociali, le associazioni, i piccoli consorzi?
«Hanno avuto una funzione di cerniera sociale: hanno ricostruito quello spazio che mancava tra la normativa giuridica sull’accoglienza e la sua attuazione. Era in atto un passaggio: smettevamo di essere Paese di esodo e diventavamo Paese di approdo. Se non ci fosse stata questa mediazione dal basso di organizzazioni che, casa per casa, ufficio per ufficio, hanno costruito una rete dell’accoglienza, su cui si basano anche i modelli di accoglienza di oggi, tutto questo sarebbe mancato. Il Terzo settore, dal lato cattolico cristiano e da quello della sinistra, congiuntamente ha lavorato costantemente per creare le migliori condizioni possibili dell’accoglienza, ma anche innovazione sociale e culturale rispetto all’accogliere. Ce lo possiamo dire: fino ai primi anni Duemila si potevano consumare episodi di razzismo, ma non c’erano delle situazioni strutturate di razzismo. Oggi, con il razzismo a prescindere, siamo in una situazione costante di stigmatizzazione dei migranti. Quella funzione del Terzo settore è caduta sotto i colpi incessanti di una politica nazionalista, che prende la scorciatoia per arrivare il governo e dice che i migranti sono il problema anziché affrontare i veri problemi del nostro Paese».
Nel libro scrive che l’antirazzismo non ha saputo cogliere le continue trasformazioni dei razzismi possibili: che cosa vuol dire?
«L’antirazzismo ha colpe identiche, se non maggiori, rispetto a quelle dei gruppi xenofobi o sovranisti. Si è sempre concentrato sulla produzione giuridica dei governi, e quindi di contrastare la singola legge o la singola norma, perdendo di vista il fatto che contemporaneamente accadevano delle trasformazioni nella società italiana, di cui la politica era a volte la conseguenza, a volte dettava i tempi. Siamo passati da una forma di differenzialismo culturale, nei primi anni Duemila – in cui qualcuno cominciava a dire che comunque eravamo differenti culturalmente, perché sembrava riprovevole dire che come razze siamo differenti – a dire “io non sono razzista, ma…”, dal modello di razzismo democratico, cioè il razzismo perbene, a un razzismo a prescindere. Ci sono cose penetrate nel linguaggio nei titoli dei giornali che ormai non riconosciamo più come razziste, perché non creano più scalpore: dire che sono migliori quelli che partono e peggiori quelli che arrivano è una frase razzista. Ma non sortisce più indignazione. All’impoverimento delle condizioni sociali ed economiche del Paese non si risponde mai facendo capire, che sia le nuove povertà italiane che i migranti sono frutto dello stesso sistema capitalistico, che si è identici, tanto che si potrebbe fare una rivendicazione unanime. Invece i movimenti di destra hanno fatto credere che i problemi degli italiani dipendessero dalla presenza degli stranieri. Quando vengono meno le proprie possibilità economiche, quando qualcuno perde il posto di lavoro o la casa può arrivare a delle approssimazioni concettuali. L’antirazzismo non è riuscito a far capire che il nemico non è il clandestino, ma chi evade il fisco».
Così è iniziato un lento ma progressivo dispositivo di criminalizzazione a prescindere di tutti gli immigrati presenti in Italia. È questo il razzismo a prescindere?
«Abbiamo sdoganato questa forma di pensiero, per cui chiunque arrivi in Italia arriva quasi per delinquere piuttosto che per mettere in salvo la propria vita. Quando si parla di sbarchi ormai c’è una retorica nazionalista/sovranista che dice “sono arrivati i nuovi clandestini”; non dice mai sono arrivati i “nuovi uomini e donne” o “sono arrivarti minorenni che scappano da luoghi di conflitto armato”. Siamo razzisti a prescindere: anche perché abbiamo sdoganato il concetto che chi arriva qui, nella stragrande maggioranza, è di religione musulmana (non è vero, come vi abbiamo raccontato qui, ndr) ed è come se fossero tutti terroristi. Abbiamo questa globalizzazione della paura che abbiamo reso fluida nei linguaggi. Ecco che cos’è il razzismo a prescindere. A prescindere dico “non voglio più l’ingresso di stranieri”; prima dicevamo “non voglio i migranti economici, facciamo entrare chi scappa dalla guerra”. Oggi anche a questi migranti stiamo chiudendo le porte, diciamo che sono tanti e non possiamo accoglierli. Il razzismo a prescindere è un dispositivo della politica che favorisce l’insicurezza. Qual è? Ho bisogno che i migranti arrivino e lo facciano in clandestinità perché, come forza politica, posso dire che contrasto questa clandestinità e in questo modo posso tenere una nazione costantemente sotto la paura, e avere sempre dei voti. In realtà l’emergenza sicurezza in Italia è la criminalità organizzata».
Al razzismo a prescindere possiamo pensare di opporre modelli di integrazione possibile?
«C’è un grande imbroglio: quando si parla di stranieri, che sono oltre sei milioni, non si dice che il 90% sono legalmente residenti, hanno un lavoro, producono reddito e pagano le tasse. L’esempio dell’integrazione ce l’abbiamo già sotto gli occhi, nella vita tutti i giorni. Dovremmo arrivare a un sistema di migrazione naturale. Banalmente dico: se una persona per lavorare vuole venire in Italia, è normale che, se dopo 15-20 giorni non trova lavoro, si sposterà in un altro Paese. Se uno è partito per creare reddito, si fermerà dove ci sono le condizioni di sopravvivenza. È n modello che si autoregola. Invece abbiamo creato un modello criminale per chi sbarca in Italia deve rimanere due o tre anni, e non può fare nulla se non ricadere nel lavoro nero, nel caporalato. Pensiamo al fatto che l’immigrazione rumena e bulgara è finita, e queste persone prediligono la Gran Bretagna, la Germania, dove si sono create condizioni di lavoro migliori. Molti albanesi stanno tornando in patria».
Quando incidono in tutto questo i cambiamenti climatici?
«Il mondo di oggi è frutto di due variabili: i mutamenti climatici e le migrazioni. Una serie di mutamenti climatici, nel corso dei secoli, hanno determinato grandissimi spostamenti, esodi di popolazioni, flussi migratori conseguenti. Nel terzo millennio, dove dalla nostra infanzia pensavamo di conoscere civiltà extraterrestri, non riusciamo a riconoscere gli extracomunitari. Il terzo millennio ci sta portando una doppia radicalizzazione. Una è quella dei fenomeni climatici: il mondo così come lo conosciamo non esiste più, ci sono più aree desertiche, meno ghiacciai, meno porzioni di territorio. Ed è chiaro che le popolazioni si spostano dove ci sono le condizioni di sopravvivenza. Dall’altra parte abbiamo radicalizzato i nostri comportamenti: siamo diventati razzisti a prescindere, non conosciamo questi cambiamenti climatici, e abbiamo iniziato un mutamento sociale che ci porta a vedere nell’altro un nemico. In Australia un miliardo e mezzo di animali sono morti a causa dei roghi, dovuti ai mutamenti climatici. Pensare che tra 50 anni possa morire anche un miliardo di persone non è fantascienza. Molte delle persone che arrivano dai noi sono dei profughi ambientali. Dobbiamo accoglierli perché il mutamento climatico lo abbiamo determinato noi».
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Maurizio Alfano
Razzisti a prescindere
ed. Sensibili alle Foglie 2019
pp. 136, € 15,00
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