COME UN GATTO IN TANGENZIALE: IL VOLONTARIATO COME NON LO AVETE MAI VISTO
Un film popolare, divertentissimo, che racconta il volontariato cogliendo con efficacia un certo modo di intendere il mondo. Intervista a Riccardo Milani
07 Settembre 2021
Monica e Giovanni, cioè Paola Cortellesi e Antonio Albanese, la strana coppia, sono tornati. “Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto”, al cinema dal 26 agosto, è l’atteso seguito di “Come un gatto in tangenziale”, la storia che raccontava l’incontro di una donna della periferia, de quartiere Bastogi a Roma, e di un uomo di cultura, abituato a lavorare a stretto contatto con la politica. Il seguito è forse ancora più divertente e intenso del primo film.
Ma perché vi parliamo del film di Riccardo Milani su Reti Solidali? Perché lo spunto è molto particolare, e nasce da un’esperienza altrettanto importante del regista e di Paola Cortellesi, sua compagna nella vita oltre che sul set. La storia che vede il suo personaggio, Monica, dedicarsi ai servizi sociali in una parrocchia, quella del carismatico Don Davide (che ha il volto di Luca Argentero), dopo che una detenzione viene commutata in una pena alternativa, nasce da un fatto vero. Riccardo Milani e Paola Cortellesi sono stati ospiti di una parrocchia a Milano che aveva messo in piedi una rassegna di cinema, e tra i film c’era Come un gatto in tangenziale. Così hanno conosciuto il parroco, le persone che ci lavoravano, e quel fervore ricordava loro un po’ le sezioni del partito di una volta. In quella parrocchia si stava facendo davvero molto per i più poveri.
Quello che ci piace di “Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto” è che in un film popolare, divertentissimo, come quello di Riccardo Milani, si vada così dentro al senso del volontariato – quello cattolico, delle parrocchie, ma il discorso può valere per ogni tipo di realtà – andando a cogliere con efficacia un certo modo di intendere il mondo.
Il sequel di “Come un gatto in tangenziale”, poi, offre anche riflessioni non banali. Come il dibattito tra i diversi modi di intendere un intervento nel sociale, l’occuparsi delle prime necessità, il pensiero corto, e il pensiero lungo, il pensare anche a lungo termine, con la necessità di crescere, di portare stimoli culturali, di creare politiche di prevenzione al degrado e al disagio.
Ma è interessante vedere anche come può venire visto il volontariato da chi non lo conosce. Come quando Monica, nella biblioteca della parrocchia, incontra due giovani volontari, e non capisce perché qualcuno non viene pagato per aiutare gli altri. La solidarietà, il volontariato, in questo senso, sono raccontati come non li avete mai visti prima, in un modo che fa risaltare la loro forza, ma che riesce, in un film comico, a sviscerare molti dei nodi legati a questo mondo. Ne abbiamo parlato con Riccardo Milani.
Il film è nato dalla frequentazione di una parrocchia a Milano. Cosa ha trovato in quel mondo, cosa l’ha sorpresa?
«Tornare, dopo molti anni, a contatto con una realtà così viva di intervento concreto sul sociale. Vedere, nel 2019, in epoca contemporanea, un tipo di impegno che sembrava un po’ perso nel tempo. Ma, soprattutto, una grande concretezza. Quello che mi ha colpito è stata la grande sinergia tra il mondo cattolico e il Comune di Milano, un’istituzione laica e una realtà cattolica che lavoravano in perfetto accordo. Non era qualcosa di limitato alla parrocchia, ma una cosa strutturata bene. Mi è sembrato un modo di fare anche politica, un intervento sul sociale che però ha una cultura dietro, uno spirito, una contemporaneità. Mi ha sorpreso moltissimo. Questo mio incontro avveniva in un periodo in cui la Chiesa era un po’ sotto attacco, con una lacerazione interna piuttosto forte. Preti che fanno solo il loro mestiere, lo fanno bene, sono tacciati di comunismo solo perché fanno cose concrete».
Lei ha detto che nelle parrocchie sembra di ritrovare quel fervore che c’era una volta nelle sezioni di partito…
«È vero. È una passione, una passione politica, una passione civile: occuparsi degli altri. In un’epoca dove tutto ormai ci sta spingendo dentro casa – pandemia a parte, tutto – i vari consumi ma anche la cultura – arriva a casa ed è a portata di mano – in una società che si sta chiudendo, questa apertura mi è sembrata importante. È stato finalmente un alzare la testa e guardarsi intorno. È una cosa che mi pare fondamentale oggi ».
Possiamo dire che una certa parte della Chiesa, quella delle parrocchie, abbia colmato oggi un vuoto che aveva lasciato la politica?
«È così. Anche questo è un fatto. Mi pare che faccia dei passi avanti mantenendosi sempre se stessa, mentre tutto il resto fa dei passi indietro. Quel cinismo imperante di cui oggi tutto si impregna, che vuole che tutto questo sia qualcosa di superato, credo ci debba spingere a dire che c’è una parte del mondo della Chiesa che è ancorato a dei valori che non devono essere necessariamente antichi, vecchi, obsoleti. Quello che rende giuste le persone non è necessariamente la modernità: ci sono dei valori che valgono sempre, che sono universali, inattaccabili nel tempo. C’è un mondo in cui chi fa delle cose normali, giuste, di normale senso civico viene tacciato o di essere obsoleto o di essere comunista».
Tra due personaggi c’è un dibattito sul pensiero corto e pensiero lungo, tra l’intervento concreto per risolvere i bisogni immediati e quello di fare politiche sociali e culturali a lungo termine…
«Le due cose devono convivere. Stiamo parlando di due cose che dovrebbero essere alla base di una società civile. Tutto il resto è una discussione campata in aria. La concretezza dell’azione è una cosa che interviene nell’immediato. È vero che le cose vanno pianificate, pensate a distanza di anni, che si debba pensare oltre. Ma le due cose devono convivere. Perché l’immobilismo il non risolvere i problemi, li fa marcire, li esaspera. I risultati immediati, in un Paese in cui le cose non si risolvono mai, la necessità che la concretezza riesca a far vedere alle persone che c’è qualcosa che si muove diventa fondamentale».
Nel momento in cui, quando arriva in parrocchia, Monica si trova a contatto con due volontari, sembra non poter accettare il fatto che possano mettere a disposizione il loro tempo gratuitamente. Come viene percepito il volontariato da chi non lo conosce?
«Sì, per lei è incomprensibile che facciano un lavoro senza essere pagati. Intanto non si sa perché tutto quello che è volontariato, interesse nel sociale, ambiente, tutto quello che è attivismo diventa comunismo. È una cosa che non sta in piedi. È come se tutto quello che è attivismo debba essere ideologico. Non è così. Credo che questa sia la prima cosa da affermare, tant’è che per Monica quella cosa lì è lontanissima. Non le riesce possibile pensare una cosa simile. Però capisce una cosa stando vicino a Don Davide, sa discernere le cose giuste. Quando ascolta una frase di Papa Francesco, e crede sia di Don Davide, dice “Sta cosa chi l’ha detta l’ha detta, ma è giusta”. L’importante è che qualcuno l’abbia detta. Monica è un personaggio che io amo molto, pur avendo spesso assorbito principi sbagliati. Ma è una chiave per capire l’incontro. Cosa fanno Monica e Giovanni? Si ascoltano. Riescono ad avere uno dall’altro informazioni utili, giuste, pur appartenendo a mondi opposti».
Sia lei che Paola Cortellesi conoscete le periferie romane. Come le vede oggi?
«A proposito di Tor Bella Monaca, nel film abbiamo citato l’iniziativa Cinema In Piazza, realizzata dall’associazione Alice nella Città, che a Roma fa quel tipo di progetti. Lo stesso è avvenuto a Quartaccio con il balletto, a Ponte di Nona con i concerti. Io e Paola abbiamo un retroterra di formazione che è in quei territori. Mi permetto di dire che le periferie, che siano viste a Roma, come a Bologna o Palermo, Cagliari o Torino, si assomigliano un po’ tutte. È un mondo globalizzato che ha globalizzato anche le cose peggiori, le ha rese un po’ tutte uguali. Il vero problema è la malavita: sono territori sotto il controllo della malavita organizzata. Dove c’è povertà attecchisce».
Il trailer si può vedere qui.