IN UN PAESE CHE DISCRIMINA LE DONNE, SERVE UNA COMUNICAZIONE INCLUSIVA
"La comunicazione di genere", di Saveria Capecchi, ripropone la necessità di superare gli stereotipi e di aprire finalmente alla valorizzazione delle donne
27 Dicembre 2018
Se ad un’adolescente di oggi provassi a chiedere se si sente femminista, probabilmente ti sgranerebbe in faccia i suoi occhi ben truccati e ti chiederebbe meravigliata: femminista? e perché? La ragazza potrebbe essere, senza saperlo, un’esponente di quel postfemminismo, che sceglie alcuni dei valori del femminismo tradizionale e li coniuga con il liberismo e l’individualismo oggi predominanti. Per cui, mentre concetti come parità e pari opportunità vengono dati per scontati, viene portato in primo piano quello della libertà di decidere per se stesse (“perché io valgo”), che si coniuga con il narcisismo tipico di un certo modo di usare i social media per mettere in mostra se stesse e il proprio corpo – della cui riduzione a oggetto non ci si preoccupa più (anzi, in qualche modo fa parte del gioco). Un femminismo pop che ha molto spazio nei media, da “Sex and the City” a Chiara Ferragni, passando per tante pubblicità oggi si parla perfino di femadvertising).
I FEMMINISMI. Chi oggi è giovane e si sente libera di fare le proprie scelte, non sa quanto deve alle battaglie portate avanti dal femminismo a partire soprattutto dagli anni sessanta, né quanto ancora c’è da fare per conquistare una effettiva parità di opportunità e di diritti per le donne in Italia. Lo scoprirà, magari, quando cercherà entrare nel mondo del lavoro o di fare altre scelte fondamentali nella vita – come la maternità – , e allora molte discriminazioni cominceranno a farsi evidenti.
Nel suo ultimo libro, “La comunicazione di genere. Prospettive teoriche e buone pratiche”, Saveria Capecchi, Professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna, offre un manuale interessante e chiaro per chi volesse rifare il punto e, magari, riaprire la discussione.
Nella prima parte del testo, l’autrice ricostruisce il susseguirsi delle diverse ondate del femminismo e dei concetti-chiave attorno a cui i movimenti discutevano e si agglomeravano: uguaglianza e differenza, sesso e genere, parità e pari opportunità, femminismo e post femminismo.
LE DISCRIMINAZIONI. Parallelamente, Capecchi ricorda quanto profondi sono ancori gli stereotipi di genere e quanto ancora condizionino gli uomini e le donne del nostro tempo. Siamo un paese in cui per ogni cento uomini iscritti all’università ci sono 136 donne, che prenderanno la laurea con voti migliori, ma faranno molta più fatica ad entrare nel mondo del lavoro e, se ci riusciranno, verranno pagare meno. Secondo il Global Gender Gap Index 2017 il nostro paese si colloca al 118 posto per la scarsa partecipazione economica e le offerte ridotte di lavoro rivolte alle donne. In barba alla teoria della womenomincs, in base alla quale proprio il lavoro femminile è il principale motore di sviluppo mondiale.
La disparità di vede però in molti altri campi, a partire da quello della politica e in generale delle istituzioni. Se guardiamo al Parlamento, troviamo che nell Camera le donne sono il 35,71%, e nel Senato il 34,48%: percentuali buone, considerato quelle del passato, ma comunque non rappresentative. Tanto più che nell’esecutivo, considerando anche sottosegretari e viceministri, le donne sono solo il 17,19%. E che nelle Regioni troviamo solo due donne governatore su 20, e tra i Comuni solo 9 capoluoghi sono guidati da una sindaca.
PER UNA COMUNICAZIONE DI GENERE. L’elenco degli ambiti in cui le discriminazioni sono abituali potrebbe essere molto lungo, ma la conclusione è unica: occorre adottare una prospettiva inclusiva, che riguarda le politiche (comprese quelle del welfare, ma non solo), l’organizzazione sociale, ma anche e forse prima di tutto la comunicazione. Compresa quella comunicazione pubblica che può e deve sostenere il cambiamento sociale.
Nel libro “La comunicazione di genere” c’è una parte interessante dedicata alla comunicazione delle istituzioni pubbliche, con l’indicazione di una serie di documenti e direttive da parte di Ministeri e Regioni per il raggiungimento della parità di genere e per la valorizzazione dell’immagine femminile, l’adozione di un linguaggio non sessista e di un’ottica d genere. Purtroppo l’impressione è che siano spesso lettera morta, ma comunque indicano una strada.
Più in generale, per dare valore e visibilità alle donne servirebbe un’informazione che non invitasse nei salotti televisivi solo esperti maschi(le esperte donne esistono!), che permettesse anche alle donne di fare carriera nel giornalismo e nelle case editrici, che non raccontasse i femminicidi come risultato di “troppo amore”, che diffondesse più notizie che hanno per protagoniste le donne e non solo notizie che hanno per protagonisti uomini, e via dicendo.
Forse, un’informazione così, potrebbe essere utile anche a quell’adolescente che non sa cos’è il femminismo, ma che prima o poi scoprirà di averne bisogno.
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Saveria Capecchi
La comunicazione di genere. Prospettive teoriche e buone pratiche
Carocci Editore 2018
pp. 160, € 16,00
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