COVID19. SERVE UNA COMUNICAZIONE PUBBLICA POSITIVA

Una ricerca ci dice che la comunicazione pubblica finora ha funzionato per imporre il distanziamento sociale. Ma ora bisogna affrontare l'ansia

di Ksenija Fonovic

Bravo Gianfranco Zucca dell’IREF – Istituto di Ricerche Educative e Formative che tempestivamente ha presentato in italiano i risultati di una veloce indagine, coordinata dall’università di Harvard, che si poneva l’obiettivo di valutare l’efficacia della comunicazione pubblica sulle misure di distanziamento sociale adottate.

Il distanziamento sociale

Il promotore dello studio è Federico Raimondi Slepoi, consulente della Giunta del Comune di Roma, che ha commissionato lo studio. Il giovane Raimondi Slepoi è esperto della “nudge theory” – la teoria dei sostegni positivi, l’approccio dell’economia comportamentale, che postula che piccole “spinte” usate sapientemente dalle politiche pubbliche possano orientare, diffondere e radicare comportamenti virtuosi in cittadini.

Per quanto riguarda questa prima parte, lo studio conferma – per mezzo di dati rilevati da 3.452 adulti on line nell’arco di tre giorni (18-20 marzo) – che la comunicazione delle misure del distanziamento sociale è stata efficace: in larghissima misura siamo convinti che mantenere la distanza e stare a casa è necessario e ci comportiamo di conseguenza.

Siamo ansiosi

È dura però. Tutti, proprio tutti, accusiamo effetti negativi sul nostro benessere mentale. Anche su questo aspetto, i dati dello studio corroborano il vissuto del buon senso. I giovani accusano maggiormente la noia e le conflittualità nella famiglia. La generazione di mezzo (in particolare genitori, tra 40 e 49 anni) sono più di altri preoccupati dagli impatti economici negative, immediati e in prospettiva. Coloro che sono più a rischio e sono quindi in maniera ancora più stringente vincolati al domicilio – gli anziani e persone in condizioni di salute fragile – soffrono, molto di più di altre categorie di cittadini, di solitudine.

 

distanziamento socialeIn sostanza, tutti siamo ansiosi. Più del mediamente ansiosi sono: donne, persone in cattive condizioni di salute e gli anziani. E se nel primo periodo di chiusura l’ansia rappresentava un’alleata preziosa per le misure di distanziamento sociale, poiché ha aiutato a sostenere i comportamenti di prevenzione virtuosi, nel periodo che ci attende può risultare gravosa per il benessere psichico. Rappresenta anche un fattore di rischio: la gente si scoccia e ricomincia ad uscire, il contagio, di ritorno si anticipa e abbiamo tutti sofferto parzialmente in vano.

Una comunicazione positiva

E qui arriviamo al dunque. Come mitigare l’ansia? Come contrastare la noia? Come supportare chi attraversa secche e tormente emotive in una condizione di isolamento? Lo studio Harvard–Comune di Roma fa alcune raccomandazioni.

La comunicazione ai cittadini dovrebbe cambiare: dallo spiegare perché devono stare a casa a proporre cosa fare a casa. Ad esempio interazioni sociali virtuali, letture on line, formazione a distanza, esercizio fisico guidato. Sono tutti esempi di modi che riducono la noia dell’isolamento sociale a lungo termine. È importante che le raccomandazioni per la salute pubblica conservino una qualche attrattiva e che propongano modi alternativi per impegnare il tempo, ricorrendo a tecnologie digitali che sostengono interazioni a distanza. Lo studio suggerisce diverse forme di interazioni sociali virtuali, individuali o di gruppo: letture, corsi, esercizi fisici. In queste si ravvede la possibilità di mitigare gli effetti negativi del distanziamento sociale

È esattamente quello che le associazioni di volontari fanno fin dal primo giorno. Seguono i loro beneficiari dal remoto e reinventano attività e modi di stare insieme ricorrendo al telefono, skype, facebook, piattaforme digitali, video tutorial. E soprattutto, video chiamate. Per guardarsi negli occhi. Fondamentale.

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