COMUNITÀ KAYROS: NON ESISTONO RAGAZZI CATTIVI

Il nuovo podcast della giornalista Gabriella Simoni, Quei cattivi ragazzi, racconta la storia degli abitanti della comunità Kayros, gestita da Don Claudio Burgio

di Maurizio Ermisino

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Kayros significa «momento opportuno». Quel momento che può arrivare subito o dopo tanto tempo. Si tratta di saperlo aspettare. Il nuovo podcast della giornalista Gabriella Simoni, Quei cattivi ragazzi, prodotto da Chora Media, una società del gruppo Be Water, on air dal 13 giugno in sei episodi, racconta la storia degli abitanti della comunità Kayros alle porte di Milano, gestita da Don Claudio Burgio: ragazzi appena usciti dal carcere o messi alla prova, ragazzi che definiamo cattivi ma non conosciamo, che hanno un futuro intero da scrivere, tutte le possibilità per farlo e anche tutto il rischio di sprecarlo. Appena fuori Milano, nel comune di Vimodrone, c’è un luogo che non fa parte della città: sono quattro case – di quattro colori diversi a cui corrisponde un grado di complicazione differente – dove vive una cinquantina di ragazzi. All’ingresso c’è una scritta: «Non esistono ragazzi cattivi». Eppure è così che tutti li considerano: qui vivono quelli che vengono definiti ragazzi difficili, che iniziano il percorso delle carceri minorili o finiscono nelle pagine di cronaca locale. Quelli che non ne possono più di vivere per strada. Questo posto si chiama Kayros.

Gabriella Simoni: non metto mai uno spazio tra me e queste persone

Quei cattivi ragazziQuei cattivi ragazzi è un podcast che è avvincente come un grande film o la migliore delle serie tv, dove le storie dei ragazzi sono costruite alla perfezione: il passato, cioè l’ambiente da cui sono venuti e poi il carcere, il presente, cioè la comunità, e poi il futuro. Ma Quei cattivi ragazzi è soprattutto la straordinaria empatia con cui Gabriella Simoni riesce a comunicare con i ragazzi. «Ho una grande passione per queste storie» ci spiega la giornalista. “Quando non sono sul fronte sono in periferia. Ho sempre avuto non tanto la necessità di essere in un posto, ma di raccontare le anime di un posto. Raccontare le cose dal punto di vista di quelli che noi etichettiamo, che crediamo lontani». «L’empatia dipende dal fatto che io non ho pregiudizi» riflette. «Non mi sento diversa da questi ragazzi. Penso che possa capitare a ognuno di noi, non mi sento meglio di loro, e loro lo sentono. Un po’ perché ho vissuto un certo tipo di vicende, un po’ perché sono curiosa, ribelle. Anche io sono nata in una situazione complicata. Ma la chiave è nel fatto di non mettere mai uno spazio tra me e queste persone». «La costruzione sapiente del racconto e il montaggio sono merito anche dello staff di Chora Media» aggiunge.

Intercettare un malessere e cambiarlo

Parla di situazioni complicate, Gabriella Simoni. Alla base delle vite di questi ragazzi ci sono sempre storie familiari complesse, madri troppo giovani o già finite in carcere troppo presto, la guerra, crescere vedendo morti ovunque. Per tanti di loro il destino sembra già segnato dall’inizio. «Dopo aver immagazzinato violenza poi è difficile levarsela di dosso» commenta Gabriella Simoni. «Se da piccolo ti pigliano a schiaffi tendenzialmente prenderai a schiaffi tuo figlio. A meno che tu nella tua vita non faccia un percorso. Ed è qui che interviene Kayros. Che prova a infilarsi nei momenti opportuni dei ragazzi per cercare di ribaltare quella storia predestinata. Come nel caso di genitori che sono stati bambini picchiati non abbiamo altra possibilità di lavorare su quello che ha fatto loro male, qui si tratta di intercettare quella reazione violenta e di trasformarla in qualcosa di positivo». Che può essere uno sbocco artistico, come lo studio di registrazione. Ma anche un sbocco pratico, imparare a fare il muratore, a cucinare. E, per tutti, imparare a vivere. A Kayros si fa teatro, parkour, musica, clownerie, si impara l’italiano per chi non lo sa. E poi c’è il calcio: con il pallone Don Claudio ha agganciato gli irraggiungibili. Su un campo, e con due porte vere o segnate a terra, tutti riescono a dimenticare chi sono e da dove vengono. «Si tratta di intercettare un malessere e cambiarlo» ragiona Gabriella Simoni. «Bisogna lavorare sullo spazio che c’è tra il brutto e la possibilità di trasformarlo, se non in bello, in vivibile».

Se una cosa non la conosci ti fa paura

Ma è importante anche negare il fatto che illegale è bello, come ci propone una certa narrazione di romanzi criminali. «Noi dobbiamo capire, ma perché capire non serva a giustificare quanto a spiegare» commenta la giornalista. «Se una cosa non la conosci ti fa paura. Se arrivi in una realtà di umanità complicate e violente e ci entri dentro, conoscerle le rende meno estranee e non ti fanno più paura. Più chiudiamo, più abbiamo mura da difendere e più ci armiamo. Più cerchiamo di capire meno abbiamo bisogno di difese e più possiamo investire in costruzione e futuro».

Capire quando è il momento giusto

Don Claudio racconta che a Kayros il tempo dell’intervento sui ragazzi non è mai deciso dall’alto, a priori. Ogni ragazzo va ascoltato e non puoi decidere tu quando è il momento giusto. Se fai un errore, a Kayros di possibilità te ne danno ancora. E ancora, fino a che non scatta qualcosa.  «A Kayros hanno deciso che le regole e le sbarre non servono» ci racconta la giornalista. «Qualunque tipo di tunnel tu attraversi sei tu che devi decidere di uscirne. La comunità può offrire un’opportunità. Se un ragazzo ha voglia di parlare di una cosa che davvero lo ferisce quando la tira fuori? Quando c’è uno spazio dedicato o quando se la sente? Si fa un tentativo e poi un altro. Come per i figli non è che la stessa regola vale per tutti». «E Don Claudio è come se avesse creato una grande famiglia» continua Gabriella Simoni. «Che è fatta anche di fallimenti. Ci sono ragazzi che non sono tornati, che sono spariti, che si sono arruolati nell’ISIS, che sono morti o sono in carcere. Non è solo una storia di successi, è puntellata anche di piccole sconfitte. Ma ogni vittoria è una grande vittoria».

Disinnescare delle micce e innescarle in maniera positiva

A proposito di vittorie e sconfitte, a Kayros ogni casa ha un colore: ogni colore è un diverso livello di complicazione. Il passaggio da una casa all’altra è il segno del progresso nel percorso di recupero, ogni casa ha un livello di libertà e autogestione diverso. «È un sistema difficile» commenta la giornalista. «Devi fare attenzione, hai sempre paura di sbagliare. A volte serve imporre una regola uguale per tutti, a volte serve lasciare che ognuno trovi la sua strada per il futuro. Kayros a volte sembra il cortile di un liceo. A volte sembra un carcere, perché senti quella tensione palpabile che c’è in un posto in cui ci sono tutte le vite complicate messe insieme. È come se Don Claudio e chi lavora con lui ogni giorno dovesse disinnescare delle micce e poi innescarle in maniera positiva».

Il carcere, la violenza racchiusa in un microcosmo

Quei cattivi ragazzi non racconta solo la comunità Kayros, ma con dei vividi flashback, anche quello che accade prima. «È un carcere» ci risponde Gabriella Simoni. «Il concetto della privazione della libertà non ha nessuna possibilità di costruzione. Abbiamo perso di vista quello che era il principio, costruire una vita diversa. Dentro il carcere è come se la violenza venisse racchiusa in un microcosmo. Non c’è speranza di applicare quello che la costituzione ci chiede. Ci sono agenti, direttori di istituti che fanno tantissimo. Il fatto che ci sia la possibilità di uscire e avere la messa alla prova, la misura alternativa, è uno spazio di libertà. Il principio alla base è che noi dobbiamo usare quel momento per fermare una violenza e cercare di creare un’ipotesi diversa. Se a violenza sommi violenza non funziona. Ma che cos’è il carcere uno che viene da fuori non lo saprà mai. Il carcere nessuno di noi sa come è se non ci finisce dentro».

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