COOPERAZIONE SOCIALE: UN MANIFESTO PER L’INSERIMENTO LAVORATIVO
Le cooperative sociali di tipo B sono il luogo giusto per rispondere a molte domande che pone oggi il mercato del lavoro. A ribadirlo c’è un Manifesto
29 Novembre 2018
Il lavoro è un nervo scoperto dell’Italia di oggi. È un tema, da qualunque parte lo si guardi, estremamente delicato. Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato di come alcune realtà si stiano occupando dell’inserimento lavorativo di persone con disabilità. Oggi vi parliamo di un mondo molto importante, quello delle cooperative di tipo B. CNCA, Consorzio Abele Lavoro e Idee in Rete hanno deciso di diffondere un Manifesto per Rilanciare la cooperazione sociale di inserimento lavorativo. Il Manifesto è nato dall’esperienza di molti cooperatori sociali. Parliamo di un mondo molto particolare, quello delle cooperative di tipo B, che prevedono l’inserimento di persone con fragilità nel loro organico. «La cooperativa sociale di tipo B nasce con un obiettivo specifico molto importante» ci spiega Marina Galati, vicepresidente nazionale CNCA. «Per includere nel mercato del lavoro persone che vengono da percorsi con problemi, di salute mentale, di dipendenza, di disabilità, o con un passato di detenzione. I dati che oggi abbiamo ci dicono che la cooperazione di tipo B nell’ultimo decennio è stata molto in crescita». Si parla infatti di 73mila lavoratori, in crescita del 25% tra il 2008 e il 2017, 25mila dei quali con fragilità e solo il 4% di parasubordinati che decrescono rispetto al totale. Sono risultati economici eccellenti. «L’esperienza si è sempre fondata sul fatto di stare in equilibrio tra l’inclusione nel mercato del lavoro e il dare competenze e professionalità mentre si lavora. Competenze che le persone potevano poi reinvestire nella stessa cooperativa o in un altro luogo di lavoro. È stata una funzione sociale che è stata d’esempio in tutta Europa. La legge prevedeva che i comuni potessero progettare insieme alle cooperative di tipo B favorendo i processi di inserimento proprio alla luce del fatto che queste svolgono un lavoro sociale, accanto al fatto di stare nel mercato del lavoro».
RACCOGLIERE LE SFIDE DEL MERCATO DEL LAVORO. Eppure oggi le cooperative sociali di tipo B incontrano fatiche crescenti, sia sul fronte della sostenibilità, sia del senso del proprio lavoro. Colpa di un mercato sempre più competitivo e di enti locali alla ricerca di risparmi ad ogni costo e incapaci di cogliere come l’inserimento lavorativo rappresenti un interesse pubblico, che i soggetti pubblici dovrebbero salvaguardare. «Il lavoro sociale delle cooperative oggi è sempre meno realizzato» riflette Marina Galati. «Sia perché, con la crisi economica, i comuni tendono a lavorare ormai sempre più al minimo ribasso. Sia perché, dall’altro lato, la cooperazione di tipo B si trova sempre più stretta nella morsa tra l’essere sempre più competitiva sul mercato e la funzione sociale che ha per certe persone che vivono in una situazione di svantaggio».
La cooperazione sociale può essere rilanciata in questo momento in Italia, può essere un mondo in grado di raccogliere le sfide del mercato del lavoro di oggi, proponendo soluzioni convincenti. «In questo percorso noi vogliamo dare delle indicazioni» spiega Marina Galati. «Il Manifesto per l’inserimento lavorativo vuole essere un modo per aprire un dibattito in Italia, in luoghi dove si parla di cooperazione, ma anche in altri luoghi, dove si sta parlando di mercato del lavoro. Pensiamo che possa essere una risposta anche per tutte quelle fasce nuove che oggi sono escluse dal mondo del lavoro. Pensiamo a tutti i giovani cosiddetti “Neet”, cioè tutti coloro che né studiano né lavorano, una categoria che oggi in Italia è abbastanza allargata (si parla di due milioni di persone, ndr). Se riflettiamo sul fatto che in Italia la povertà è in aumento, ci sono 4 milioni e mezzo di poveri, ci chiediamo se la cooperativa sociale di tipo B possa essere uno spazio dove possiamo ripensare l’inclusione sociale di queste persone».
TERRITORIO, FORMAZIONE, MERCATO. Il Manifesto è articolato in una serie di punti di partenza, aspetti su cui lavorare perché le cooperative sociali di tipo B possano tornare essere un punto di riferimento importante. Il primo è investire in comunità, essere e fare territorio. «È uno spunto diretto sia al mondo della cooperazione che a quello del territorio» ci spiega la vicepresidente del CNCA. «Crediamo che la cooperazione di tipo B possa avere un senso nel momento in cui investe sempre all’interno del territorio. Noi non crediamo in quelle mega cooperative che investono in tutta Italia, ma crediamo che la cooperativa di tipo B, proprio per la funzione sociale che ha, abbia il dovere di continuare a costruire relazioni con la comunità e di dare un senso al suo operato all’interno del territorio».
Il secondo punto prevede che la cooperazione sociale continui ad integrare la funzione formativa. «È un altro aspetto importante» riflette Marina Galati. «Perché è una cosa che non ci è mai stata riconosciuta dal punto di vista economico. Quando inserisci persone prive di competenze professionali, oltre alla condizione di svantaggio, vuol dire che attivi tutto un lavoro di accompagnamento a questo inserimento sociale e lavorativo. Noi vorremmo ci venisse riconosciuto il fatto che le persone, all’interno delle cooperative di tipo B, possono fare questo percorso di formazione e che un ente terzo ne possa certificare le competenze acquisite. Riteniamo che possa essere una proposta che non vada solo indirizzata alle categorie svantaggiate, ma anche un percorso di accompagnamento e affiancamento ai giovani Neet».
Il terzo punto ha a che fare con la cooperazione sociale e i lavori utili di comunità, con la capacità della cooperativa sociale di integrare entro un contesto produttivo lavoratori con debolezze e fragilità. «Bisogna che tutto ciò avvenga realmente in un contesto di mercato del lavoro» argomenta la vicepresidente. «Non puoi inserire persone o pensare di utilizzare misure pubbliche, come quelle di contrasto alla povertà o gli attuali ammortizzatori sociali, fuori dal contesto del mercato del lavoro. Il rischio che ci sia un approccio assistenzialistico è molto alto. Noi pensiamo che la cooperativa di tipo B, che cerca comunque di coniugare il mercato del lavoro con l’inserimento delle fasce svantaggiate, possa essere il luogo giusto, utilizzando anche strumenti innovativi, per coniugare questi due elementi».
NUOVA GENERAZIONE. Nel Manifesto si scrive anche che probabilmente saranno delle cooperative di inserimento lavorativo di nuova generazione quelle in grado di rispondere a queste nuove sfide. «In qualche modo, dal nostro punto di vista, alcune di queste cooperative sono già pronte per affrontare percorsi di innovazione» ci spiega Marina Galati. «Ma dovranno coniugare il fatto di essere organizzazioni che operano sul mercato del lavoro con una quota minoritaria di azioni formative e di integrazione. Dando ovviamente luogo a nuovi strumenti di realizzazione di questi obiettivi. Vanno ripensate come luoghi dove possano agire percorsi e progetti di integrazione inclusione socio-lavorativa di tante fasce svantaggiate. Che oggi non sono più solo quelle categorie, ma ci sono nuovi soggetti che dovrebbero essere individuati meglio». Ci chiediamo se, in queste categorie fragili, ci possano essere anche gli stranieri, e se le cooperative possano rispondere anche alle loro esigenze di integrazione lavorativa e sociale. «Sicuramente» ci risponde Marina Galati. «Già all’interno di questo documento guardiamo al tema dei richiedenti asilo. Riteniamo che i nostri siano luoghi importanti, non solo di mercato, ma luoghi sociali, dove le persone possano essere accompagnate in un’inclusione a livello territoriale».
OLTRE GLI SCANDALI. Nel documento si fa anche riferimento alla cattiva reputazione che, dopo gli scandali come Mafia Capitale, ha investito tutto il mondo delle cooperative. Stiamo riuscendo a superare questa immagine? «C’è stato un cattivo utilizzo dello strumento cooperativistico» riflette la vicepresidente CNCA. «E c’è stato tutto un mondo della comunicazione che l’ha utilizzato in modo scandalistico. Ritengo che la percezione stia mutando, la cooperazione ha investito nel mettere in gioco in modo più visibile le azioni che compie sul territorio. L’importante è che il territorio riconosca la restituzione che la cooperativa di tipo B fa nel suo percorso di inclusione. Credo che la percezione sia mutata anche perché il dato di realtà non può dire che stiamo parlando della cooperazione, ma di alcune cooperative che sono rientrare negli scandali. E anche perché, quando c’è uno scandalo, le cose prendono la giusta piega quando la magistratura esplicita le cose per come sono».
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