WELFARE: IL FUTURO È NELLA COPROGETTAZIONE
Nel Lazio continua il percorso per la redazione partecipata del Piano socio-assistenziale. Che funzionerà se costruito dal basso
22 Luglio 2016
Per attuare nuove politiche sociali, c’è bisogno di riscoprire il valore della coprogettazione. Se n’è accorto anche il Lazio, dopo anni di vuoto legislativo. Mettere insieme idee, progetti ed obiettivi è la soluzione ad una crisi che non è solo economica, ma anche culturale e sociale. E favorisce quella che per molti è la rivoluzione copernicana del sociale: il passaggio dallo stato assistenziale ad una collaborazione attiva e proficua tra enti pubblici, Terzo settore, famiglie e imprese. Argomenti di cui si è parlato giovedì 21 luglio presso la sede della Regione, a Roma, nell’incontro Dal partenariato pubblico/privato alla coprogettazione per un nuovo welfare generativo e di comunità”, che fa parte parte del percorso per la redazione partecipata del nuovo Piano socio-assistenziale regionale triennale.
Verso il welfare generativo
Oggetto di discussione la riforma del welfare approvata dal Consiglio regionale del Lazio nella notte tra venerdì 15 e sabato 16 luglio, che riforma i servizi sociali, fino ad ora regolati da una norma del 1996. Vent’anni dopo arriva finalmente il “Piano regolatore” delle politiche sociali, un progetto “a redazione aperta”, come l’ha definito Vincenzo Panella, direttore generale di salute e politiche sociali del Lazio. In totale 71 articoli, elaborati al termine di una fase di ascolto e partecipazione che ha coinvolto gli amministratori locali, i dirigenti, i funzionari e gli operatori dei servizi pubblici, ma soprattutto il mondo del Terzo settore, del privato sociale, i sindacati, le associazioni e tutti i cittadini sensibili alla tematica.
Fino a questo momento le politiche sociali della Regione si sono costruite giorno per giorno, senza un quadro generale di riferimento che indicasse prospettive di lungo termine. «Finalmente avremo una politica sociale programmata ed omogenea sul territorio – ha dichiarato Rita Visini, assessore regionale alle politiche sociali, sport e sicurezza – e questo cambia totalmente la prospettiva di intervento: leggere i bisogni delle persone diventa di primaria importanza, dando risposte integrate e con gli stessi criteri per tutti, tenendo conto delle individualità di ognuno». Il cambiamento più evidente è un nuovo modo di intendere il rapporto tra istituzioni e servizi: «il welfare assistenziale si trasforma in welfare generativo, che favorisce quella partecipazione dal basso che è tipica del terzo settore», ha spiegato Visini.
La coprogettazione col non profit e con i privati
Certo, le istituzioni avranno ancora un ruolo di responsabilità, coordineranno i gruppi di lavoro e daranno le linee guida. I vari attori sociali, nell’ottica della coprogettazione, avranno però l’occasione di sedersi in una tavola rotonda, con la stessa dignità di chi fino a ieri aveva solo finanziato e diretto. «Stiamo imparando giusto ora ad ascoltarci – ha ammesso Alberto Giustini, presidente regionale di ARCI Lazio – Speriamo che questa interazione diventi sempre più proficua. Negli ultimi anni il pubblico ha solo tagliato fondi». Tutto molto bello, ma rimane un problema: le realtà del Terzo settore sono in grado di fare rete e abbattere per sempre invidie e competitività?
Per Claudio Tosi, operatore del Cesv, c’è ancora molto da lavorare, a causa di istituzioni poco stabili soprattutto in una città come Roma, che più delle altre sa cosa vuol dire vivere nel caos politico.
Futuro vuol dire partecipazione e anche le aziende rivestiranno un ruolo di primo piano nella co-progettazione. Emblematico il “Job day”, l’evento organizzato dal comune di Albano, che il consigliere con delega alle politiche sociali, Gabriele Sepio, ha descritto come «una soluzione innovativa in tema di politiche attive del lavoro». Gli abitanti della cittadina ai castelli romani possono consegnare i loro curriculum al Comune (quest’anno raccolti più di 2500), che li seleziona in funzione alle richieste di oltre 25 imprese, che successivamente svolgono dei colloqui con l’obiettivo di assumere. Il Comune che fa da mediatore tra le aziende e i suoi cittadini è un esempio di coprogettazione. E ce ne sono tanti altri.
Nessun segreto, la ricetta è semplicemente la conoscenza del territorio e dei suoi utenti, la capacità di fare rete (sia tra enti pubblici e attori sociali, sia tra le associazioni stesse) e l’individuazione di bisogni reali e circoscritti partendo dal basso (e non, viceversa, partire da problematiche generali per poi dedurre eventuali soluzioni).
La strada è in salita e piena di ostacoli, ma un milione di volontari del Lazio – come ha ricordato Roberto Rosati, vice presidente dell’Osservatorio regionale del volontariato – sono un popolo attivo che è già in grado di proporre, progettare, realizzare e rivendicare. Sta alle istituzioni ascoltare le realtà associative e creare il giusto circolo virtuoso. La legge è arrivata, ora sarà necessario evitare che le idee rimangano solo su carta e che questi fogli vadano ad impantanarsi nel fango della burocrazia.