E SE ABBANDONASSIMO LA GLOBALIZZAZIONE? ANCHE I “GRANDI” CI STANNO PENSANDO
Dal Washington Consensus al Cornwall Consensus: due modi di essere Grandi nell’economia globale. Rivalutando il ruolo dello Stato
25 Ottobre 2021
Nel suo recente articolo “Un nuovo consenso economico globale” (qui il link), Mariana Mazzuccato afferma che la pandemia provocata dal Covid-19 ha fatto emergere le criticità della globalizzazione e della liberalizzazione del mercato. Cosa dice essenzialmente Mariana Mazzuccato? Che il “Washington Consensus”, quello che negli ultimi 30 anni ha dominato il mercato mondiale, è prossimo (o dovrebbe) essere prossimo alla fine, lasciando spazio al Cornwall Consensus.
Mariana Mazzuccato[1] (una delle poche tra gli “economisti” di cui si riesce a comprenderne e a condividere il pensiero) fa parte del G7 Economic Resilience Panel, il quale chiede ci sia un rapporto diverso tra il settore pubblico e privato, per «creare una economia sostenibile, equa e resiliente».
Su una economia equa e sostenibile si può essere d’accordo, sull’economia resiliente nasce qualche dubbio: i lavoratori a basso reddito, le persone in povertà devono farcela da sé da quando sono nate, loro possono insegnare anche all’economia come essere resilienti, ammesso che qualcuno le ascolti.
Il Cornwall Consensus
Il 30 e 31 ottobre 2021 si riunirà il G20 e i grandi del mondo dovranno discutere e decidere come porsi davanti alle sfide che hanno di fronte e che i cittadini stanno affrontando e subendo: il cambiamento climatico, la perdurante pandemia, le disuguaglianze che continuano a crescere nonostante i dati economici siano migliori di quanto previsto, e non solo in Italia.
Un’alternativa alle crisi finanziarie, economiche e sanitarie del periodo 2008- 2020 i Grandi ce l’avrebbero: superare i dettami del “Washington Consensus” (che da più di trent’anni sostiene una globalizzazione neoliberista, aumentando le diseguaglianze e perpetuato la sudditanza del Sud del mondo nei confronti del Nord), tenendo conto del “Cornwall Consensus”, che rilancia il ruolo economico dello stato. Infatti nel giugno scorso nel Summit del G7 che si è tenuto in Cornovaglia – cui hanno partecipato Canada, Francia, Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Germania e Italia, autoproclamatasi leader mondiali – hanno “rinnegato” quelli che erano i dettami della globalizzazione: libero mercato, deregolarizzazione, privatizzazione, in favore invece di un maggior ruolo dello Stato, della necessità di perseguire obiettivi sociali, di una riforma globale della governance (chi decide cosa, come e quando).
I problemi restano sul tavolo
Se riusciranno in questi obiettivi non è dato prevedere: si vedrà nel prossimo incontro di fine mese, se continuerà a prevalere la globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta e subìta fino ad ora, oppure se realmente i grandi si sono resi conto della catastrofe verso cui l’umanità sta andando incontro.
Resta il fatto che, nonostante le Nazioni Unite e l’Unione europea si siano dotate di strategie e agende da qui al 2030, il cambiamento climatico e le sue conseguenze di tragedie e disastri ambientali che provocano spostamenti di migliaia di persone verso una vita migliore; la pandemia che rallenta, ma non scompare; il fatto che in Africa, Sud America, Sud-est asiatico tra povertà, siccità, alluvioni, dittature, massacri, chi può scappa verso Paesi meno rischiosi dove poter garantire a se stessi e ai propri familiari una vita migliore, trovando muri di acqua, cemento, filo spinato…tutto ciò resiste.
Tanto da farci domandare: cosa abbiamo imparato, quale lezione abbiamo appreso dalla pandemia, per citare l’ultima tragedia che ha colpito tutte le nazioni e milioni di persone? Quale ruolo i Grandi intendono riconoscere alle Nazioni Unite e all’Unione europea?
[1] Mariana Mazzucato insegna Economia dell’Innovazione e del valore pubblico presso lo “University College London”, ha fondato l’ Institute for Innovation and Public Purpose. Di lei consigliamo la lettura de “Lo Stato innovatore”, edito da Feltrinelli.