CORRIDOI UMANITARI: SI POSSONO FARE
Sant'Egidio, Evangelici e Valdesi insieme hanno organizzato già tre viaggi, portando in Italia, in sicurezza e legalità, profughi in particolare difficoltà
06 Luglio 2016
Sono 2868 le persone che spinte dalla necessità di abbandonare il loro paese, distrutto da una guerra logorante, da persecuzioni e torture, dalla povertà estrema e affidandosi a trafficanti senza scrupoli, hanno perso la vita in mare.
I dati raccolti nei primi mesi del 2016 confermano la necessità, sempre più impellente, di trovare una soluzione alle numerose morti che, ormai da troppo tempo, fanno del Mediterraneo il principale spettatore inerme.
Sono numeri che si aggiungono, in maniera drammatica, ad un bilancio che anno dopo anno diventa sempre più pesante e difficile da ignorare, non solo per il nostro paese, ma per tutta l’Europa, che arranca nel tentativo di creare una policy condivisa.
Ma di fronte a uno scenario così tragico, c’è chi, con un gesto semplice e concreto, è riuscito a creare un’alternativa al business dei trafficanti di uomini e ai pericolosi e precari viaggi con i barconi della morte, dando vita ai Corridoi umanitari, uno strumento che permette, a coloro che hanno diritto alla protezione internazionale, di arrivare in Italia in modo sicuro e legale.
Corridoi umanitari. Un’idea divenuta realtà grazie alla collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese e che, attraverso un accordo con il governo italiano, Ministero degli Esteri e dell’Interno, ha dato origine a un progetto – ecumenico, che coinvolge cattolici e protestanti, e totalmente autofinanziato – che a oggi ha permesso a 272 persone, per la maggior parte di nazionalità siriana, di arrivare in Italia senza mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari.
Accogliere nel nostro paese, nell’arco di due anni, circa mille persone provenienti da Libano, Marocco ed Etiopia, in modo legale e sicuro. È questo il grande obiettivo che si vuole raggiungere.
Chi arriva
E intanto si è cominciato dal Libano, paese che dal 2013 in poi ha accolto, nei campi profughi e non solo, oltre un milione di siriani in fuga dalla guerra.
«La selezione avviene attraverso colloqui effettuati dai nostri volontari e dagli operatori delle Chiese Evangeliche, nei campi profughi in Libano, anche grazie a segnalazioni provenienti da organizzazioni internazionali, associazioni, religiosi, medici operanti in loco», spiega Massimiliano Signifredi, della Comunità di Sant’Egidio. Il progetto si rivolge,soprattutto alle persone che vivono in condizioni di particolare vulnerabilità, indipendentemente dall’origine etnica o religiosa, ossia famiglie con bambini, persone disabili, donne rimaste sole, perché il marito è scappato, è stato preso prigioniero o è morto, anziani, persone affette da gravi patologie invalidanti.
«Per esempio è questo il caso di una donna che in ospedale, dopo aver partorito il figlio nato con la spina bifida e un grave idrocefalo, dopo essere venuta a conoscenza dell’esistenza dei corridoi umanitari, ha cercato e trovato i responsabili del progetto ed è riuscita ad essere inserita nella lista delle persone che sono giunte a Fiumicino lo scorso maggio», racconta Signifredi. «Ma è importante sottolineare che quando si parla di selezioni non si deve pensare che ci sia qualcuno a cui si dice di no. Finora non è mai successo. Certo il numero di persone che intendiamo far venire in Italia è limitato. E sarebbe necessario che altri in Europa seguissero questo progetto-pilota».
La procedura
I profughi arrivano in Italia seguendo una procedura, ormai collaudata e applicata per tutti e tre i viaggi organizzati fino ad oggi.
Una volta acquisite dalle persone individuate le informazioni necessarie, queste vengono inoltrate alle autorità consolari italiane, per permettere il controllo da parte del Ministero degli interni del nostro Paese, il quale verifica che non siano mai state in Italia, che non abbiano già avanzato una richiesta, che non siano state coinvolte in atti di terrorismo o reati in territorio italiano.
Se non vi sono problemi, l’ambasciata italiana a Beirut viene autorizzata a rilasciare un visto per motivi umanitari, per la precisione, un visto a territorialità limitata, ossia valido solo per il territorio dello Stato che lo rilascia, come previsto dall’articolo 25 del regolamento europeo dei visti. «Ci sono anche casi limite di persone che non hanno più documenti siriani perché scaduti, perché li hanno persi o sono stati loro rubati o sequestrati», precisa Signifredi. «In questo caso, il consolato italiano a Beirut rilascia un documento, un lasciapassare che sulla base di vecchia documentazione come per esempio uno stato di famiglia, un passaporto scaduto, rilascia un documento di identità che ha gli estremi italiani». Una volta concesso, il visto viene inoltrato dalle autorità di polizia libanesi che si accertano che queste persone possano effettivamente uscire dal paese. Se anche questo controllo viene superato, si può procedere a programmare il viaggio verso l’Italia, con un volo di linea regolare.
L’arrivo, l’ospitalità
Una volta giunti nel nostro Paese i profughi, come previsto dalle normative europee, fanno richiesta di asilo in Italia e vengono sottoposti ad un ulteriore controllo: foto segnaletiche e impronte digitali. Se tutto è in regola, è fatta: i ragazzi, le donne e gli uomini, gli anziani, le famiglie possono finalmente entrare in Italia. In modo legale. Sicuro. Riconosciuto.
Varcate le porte dell’aeroporto di Fiumicino, i profughi vengono accolti dalle organizzazioni promotrici di questo progetto e, con l’aiuto di altri partner, vengono ospitati in strutture e case – anche di semplici cittadini che, volontariamente, decidono di partecipare in modo attivo e di contribuire in prima persona al progetto mettendo a disposizione la propria abitazione – collocate in diverse regioni italiane, quali il Lazio, l’Emilia Romagna, il Trentino, il Piemonte, la Toscana, la Lombardia, la Basilicata e la Liguria.
L’integrazione, il lavoro
Ma corridoi umanitari non vuol dire solo questo. Non è “solo” sicurezza per i profughi e per il paese che li ospita. Vuol dire anche progetti di vita, inclusione, istruzione, socialità, integrazione.
Il progetto promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese prevede anche che chi arriva segua dei corsi di lingua italiana o di formazione professionale e permette ai bambini di frequentare la scuola italiana, nella convinzione che lingua sia la prima chiave per l’integrazione.
Tutto questo per evitare che queste persone, in un paese nuovo, con una cultura diversa dalla propria, possano sentirsi emarginate, sole, lasciate a se stesse.
L’intero progetto – la fase di accoglienza e assistenza, anche economica fintantoché queste persone non risultano essere in grado di provvedere a se stesse in modo autonomo – viene finanziato in gran parte dall’ 8xmille della Chiesa Valdese e dalla Campagna di donazione lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio.
Il progetto dei corridoi umanitari può crescere
Ma l’ambizione dei promotori dei corridoi umanitari è creare un modello replicabile.
Recentemente il viceministro agli esteri Mario Giro, ha presentato all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York la sperimentazione italiana, che ha raccolto un grande interesse.
Nel frattempo il progetto continua, si diffonde e si allarga
Il primo paese europeo che ha deciso di aderire ai corridoi umanitari è stato la Repubblica di San Marino che, lo scorso 16 giugno, ha accolto una delle famiglie giunte in Italia con il terzo corridoio umanitario.
Un importante interessamento è stato manifestato dalla Chiesa polacca che, insieme alla Caritas, ha proposto al Governo di creare corridoi umanitari per far giungere i profughi siriani in Polonia.
È evidente a tutti che l’idea è buona, innovativa, concreta, che il progetto funziona e che è in grado di creare un’alternativa alle morti in mare. Lo dicono i fatti. Riuscire a organizzare tre viaggi in quattro mesi, permettere a 272 persone di poter iniziare una vita diversa, senza sofferenza e distruzione, è un risultato che poco tempo fa sembrava impossibile da raggiungere.
Oggi, invece, è una realtà. È un monito all’Europa perché colga l’occasione per dare vita a una politica comune sul tema dell’immigrazione.