COVID19. IL VOLONTARIATO NON CI ABBANDONA
Perché il "distanziamento sociale" non diventi una condanna per chi è in difficoltà, occorre raccogliere nuove sfide. L'impegno di CSV Lazio
23 Marzo 2020
Pochi giorni sono passati dall’esplosione del Coronavirus e, insieme al disorientamento e al dolore, è riemersa con forza la voglia delle persone di manifestare il loro impegno, di confermare la scelta di essere cittadini attivi, responsabili, di fare la propria parte.
Un centinaio sono le associazioni della regione che abbiamo contattato come Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio, in queste prime settimane. E molte sono quelle che non si sono fermate e di cui trovate le notizie nel nostro portale.
Magari hanno rimodulato le loro attività, ma tutte hanno espresso il desiderio di mettersi al servizio, cercando in vario modo di rispondere alle esigenze e agli appelli fatti anche dai Municipi e dai Comuni, affinché non si fermasse il flusso degli aiuti, ma soprattutto non si spegnesse il calore dell’umanità.
Lo tsunami delle relazioni
Il primo sentimento, che tutte le associazioni hanno manifestato agli operatori delle Case del Volontariato, come sempre all’ascolto e al servizio dei volontari, è stato infatti questo: «non vogliamo che questo tsunami delle relazioni ci faccia sentire più soli». Soprattutto «non vogliamo che proprio coloro che hanno maggiori difficoltà, perché anziani o disabili, si sentano ancora di più abbandonati». Insomma non vogliamo che un disagio sociale, una disabilità, si trasformino in una emergenza sanitaria, perché le famiglie non reggono il carico assistenziale che si è riversato su di loro con la chiusura delle scuole o di alcuni servizi. Ma ci sono anche situazioni sociali a rischio come quella dei senza fissa dimora, dei detenuti o dei rifugiati. Insomma un caleidoscopio di diverse vulnerabilità che nella crisi sanitaria si acuiscono.
Da qui sono nate le prime richieste al CSV, di farsi portavoce di due esigenze fondamentali: la prima, di avere dispositivi di sicurezza (come le mascherine e i guanti), che consentissero quindi ai volontari di recarsi in sicurezza presso un domicilio per portare viveri o farmaci. La seconda, quella di essere autorizzati a recarsi presso il domicilio delle persone non autosufficienti, per svolgere qualche forma di assistenza leggera. Senza però per questo violare le disposizioni, le norme imposte dai decreti.
L’ordinanza sulla mobilità
Per questo, appena il capo di gabinetto della Regione, il dottor Albino Ruberti, di concerto con l’assessora alle Politiche sociali e al Welfare Alessandra Troncarelli, hanno attivato una concertazione con il Forum e altri trenta enti del Terzo settore della Regione, noi come Centro di Servizio, abbiamo chiesto un provvedimento che legittimasse gli spostamenti dei volontari, oltre appunto al rifornimento delle mascherine.
La risposta è stata tempestiva e puntuale, di esempio anche per tante altre Regioni, con cui siamo in contatto. E così il 20 marzo è stata emanata una specifica ordinanza (“Indicazioni sulle attività e mobilità dei volontari”), che crea la giusta cornice in cui i volontari e le associazioni posso agire, ma soprattutto rende possibile quell’azione di rete che tanti Municipi e distretti stanno organizzando.
L’ascolto che la Regione ha avviato permetterà certamente, noi auspichiamo, di affrontare tante diverse situazioni che si stanno delineando, ma certamente permetterà di dare gambe, concretezza e risposte alle situazioni contenute anche nel più recente decreto 115 del 17 marzo dell’Assessorato alle Politiche sociali della Regione, che prevede appunto forme di coprogettazione e di rete con le associazioni. Insomma un asse importante in questo momento di emergenza, funzionale a dare risposte necessarie e che debbono sicuramente interconnettersi con altri Assessorati ed enti come le ASL, per i progetti a valenza sociosanitaria, o con le scuole, perché i ragazzi più svantaggiati non si vedano ulteriormente esclusi.
Il distanziamento sociale
Stiamo tutti affrontando nuove sfide, consapevoli che abbiamo necessità delle competenze di tutti, del contributo di ognuno e che, mai come in questo momento, la tempestività delle decisioni è importante. Un esempio per tutti è la collocazione, in sicurezza, dei senza fissa dimora che risultassero positivi. Ma altrettanto delicata è la situazione di tante persone disabili e delle loro famiglie, che in questi giorni di chiusura dei centri diurni si trovano a far fronte a nuovi bisogni, a fare i conti con il rischio di vedere vanificati i progressi fatti verso il reinserimento sociale e l’autonomia. E ancora altre difficoltà emergono ad esempio in quei nuclei famigliari dove sono presenti il disagio relazionale o anche la patologia psichica, che rendono difficili le coabitazioni e dove invece i laboratori e i centri diurni potevano essere un importante punto di riferimento.
Ma ancora altre sono le problematiche che il distanziamento sociale – questo nuovo termine, che abbiamo scoperto in questi giorni – sta provocando e che sono collegate alla necessità di sostenere gli adolescenti a rischio, o i giovani disabili, che attraverso i tirocini e l’inserimento lavorativo potevano uscire dalla marginalità e dall’assistenzialismo.
Insomma, siamo tutti consapevoli che abbiamo di fronte molte incognite, ma dobbiamo costruire nuovi strumenti per non interrompere i progetti di vita di tante persone, magari pensando a forme più leggere di supporto, svolto a domicilio oppure con l’aiuto di sistemi informatici, che permettano di conservare quel legame sociale così necessario per darci fiducia nel futuro.
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