ISTITUZIONI LOCALI IN CRISI? IL CENSIS PUNTA SULLE FILIERE DEL MADE IN ITALY
Le istituzioni locali non fanno più da cerniera tra politica e corpo sociale. Così Province, Comunità montane, Camere di Commercio si indeboliscono. Per De Rita bisogna investire sul territorio
16 Giugno 2017
C’è una faglia pericolosa, oggi, in Italia: quella che si è instaurata tra il mondo della politica e il corpo sociale. Due mondi che sembrano andare ognuno per contro proprio, guardandosi addirittura con rancore. Lo si legge nelle ultime pagine delle considerazioni generali del Rapporto Censis del 2016. Il Censis ha deciso di approfondire la crisi delle istituzioni locali in occasione dell’annuale iniziativa Un Mese di Sociale, quest’anno dedicato proprio a “La crisi delle istituzioni come giunture fra potere e popolo”.
In particolare l’incontro di ieri, 15 giugno, nella sede di Piazza di Novella, a Roma, è stato incentrato sul tema “Investire sulle istituzioni del territorio”. Questa crisi tra corpo sociale, che si sente vittima di un sistema di casta, e la politica, che – senza mediazione con la dinamica sociale quotidiana – sceglie di slittare in alto, sta interessando anche le istituzioni territoriali, spesso eliminate, depotenziate, desertificate, quando un tempo erano strutture sulle quali si erano costruiti programmi, progetti e alleanze di sviluppo locale.
Crisi delle istituzioni locali, associazionismo e terzo settore presidi importanti
Lo sviluppo italiano degli ultimi settant’anni, infatti, è vissuto spesso grazie alla spinta delle dinamiche locali, e delle istituzioni che di queste dinamiche si sono fatte portatrici e sostenitrici. Grandi città o piccoli borghi, distretti industriali o parchi naturali: il loro sviluppo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto delle istituzioni locali come le Province, le Camere di commercio, le banche locali e le sedi locali di rappresentanza categoriale.
L’impegno italiano dei decenni passati è stato uno sviluppo comunitario collettivo, frutto di una coesione collettiva che si è vista anche nei momenti di declino.
Ma le tensioni politiche degli ultimi anni, che hanno portato a verticalizzare sempre più poteri e intenzioni, hanno desertificato quella rete di strutture su cui hanno poggiato per anni progetti e alleanze di sviluppo locale. Oggi Province, Comunità montane, banche locali, Camere di Commercio sono scomparse, o sono più deboli.
La volontà della politica è quella di non avere intermediazione fra il potere e i cittadini, e il risultato è proprio la crisi delle istituzioni locali, realtà fatte solo da soggetti singoli, come cittadini, imprese e comuni. Viene a mancare quella giuntura che era l’insieme delle organizzazioni locali, e mancano così organi di trasmissione fra impulsi nazionali e interessi locali. Restano dei presidi importanti, come l’associazionismo, il Terzo Settore, le fondazioni bancarie. Ma risentono della stanchezza del quadro istituzionale e non hanno la forza di essere protagoniste in proprio.
Quale soluzione? Le piattaforme di filiera
Perché le dinamiche territoriali tornino ad avere un sostegno istituzionale ci sono, secondo il Censis, tre vie. La prima, che sarebbe già parzialmente in atto, sarebbe quella di recuperare per quanto si possa le strutture “rottamate” da questa politica di disintermediazione. Sta avvenendo nel sistema camerale, nel funzionamento operativo delle Province, nel mondo delle banche locali.
La seconda sarebbe provare a governare tutte le anime del territorio italiano con i cardini di potere esistenti, le Regioni e le Città metropolitane. La terza possibilità è quella più rivoluzionaria, creativa, moderna, ed è quella per cui propende nettamente il Censis. Si tratta di puntare sulla dimensione urbana, in particolare sulla crescita funzionale delle grandi conurbazioni, che di fatto si stanno già muovendo come delle “piattaforme di filiera”. Parliamo di realtà organizzate non in maniera politica ma funzionale, che nascono per la promozione e lo sviluppo di eventi, per dare spazio a iniziative innovative, per la valorizzazione di infrastrutture e strutture esistenti. È una sorta di marketing territoriale su grande scala.
Secondo il Censis ci sono già città in grado di proporsi in questo senso contro la crisi delle istituzioni locali, come Milano, Torino, Verona e Napoli, mentre altre città sembrano troppo inerti per entrare in questa competizione. Parliamo di Genova, di Firenze. E purtroppo parliamo di Roma. Se le prime due vie paiono un trascinamento del passato, la competizione tra città vogliose di essere piattaforme funzionali di filiera potrebbe evitare l’autoreferenzialità degli enti pubblici locali e creare delle giunture istituzionali tra le realtà locali e la dinamica con cui il sistema italiano vive nel mercato globale di filiera.
Le filiere italiane di successo e le possibili piattaforme
«Dove sta la potenza italiana?» si chiede Giuseppe De Rita. «Nelle nostre quattro grandi filiere: quella enogastronomica, quella del lusso, dei macchinari e del turismo. Il Made in Italy pensavamo fosse una moda, invece dura da più di trent’anni ed è una struttura vera.
Sull’enogastronomico eravamo considerati quelli che facevano pizze per il mondo, ora siamo dappertutto, con ristoranti stellati a Shangai e piccoli e grandi produttori che esportano in tutto il mondo. Nessuno ci conosce per questo, ma siamo i primi al mondo sui macchinari e ricambi di macchinari. E poi c’è il turismo».
«Salviamo quello che c’è sul territorio, ma cerchiamo di diventare forti nei flussi di filiera, facendo dei presidi», è l’appello di De Rita. «Quando Farinetti dice: per tutta la mia filiera mi faccio una piattaforma a Bologna, crea qualcosa che il comune di Bologna subirà, ma che dovrà accettare. Se il sindaco di Verona dice di voler creare una piattaforma sull’asse con il Brennero sta facendo questo. Tentiamo una soluzione diversa, è l’unica possibilità di crescere e di superare la crisi delle istituzioni locali. Milano, sull’onda di Expo, può diventare la città della filiera della modernità europea, Bologna il luogo della filiera dell’agroalimentare e Torino la capitale della filiera culturale».